Film

Room

ATTENZIONE : QUESTA RECENSIONE CONTIENE SPOILER

Room non è un film. Room è un qualcosa che ti porta in un angolo buio, ti prende a cazzotti nello stomaco e poi ti accompagna, mano nella mano, verso la luce.

Room (2015, regia di Lenny Abrahamson) non può e non deve essere visto come un film normale, ha bisogno di concentrazione e predisposizione da parte dello spettatore a ricevere delle ondate di emozioni che raramente una pellicola riesce a trasmettere.

Descriverlo quindi risulta difficile proprio per questo, poiché si deve procedere nel descrivere le emozioni che il film suscita e riesce a trasmettere più che la trama e il suo svolgimento.

Partendo dalla parte più semplice, quindi l’aspetto tecnico del film, non possiamo non citare la recitazione. Per la prima parte della pellicola, ambientata tutta in una piccola stanza, ci troviamo di fronte esclusivamente a due attori, più un terzo ma più simile ad una falsa comparsa che altro (Old Nick),  che svolgono un lavoro che definire eccellente è dir poco. Abbiamo una madre e un figlio, rispettivamente interpretati da Brie Larson, vincitrice proprio per questo ruolo del premio Oscar 2016 come Miglior Attrice Protagonista, e Jacob Tremblay che interpreta Jack.

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Una recitazione così viva e densa di emozioni che riesce ad immergere lo spettatore completamente nella loro, assurda, situazione sia mentalmente che fisicamente. Diventiamo tutt’uno con i protagonisti, riuscendo a spegnere tutte le idee e le consapevolezze che avevamo di quella situazione, quasi come se fossimo la terza persona nella stanza e successivamente la terza persona ad esserne uscita.

Per tutta questa prima parte scopriamo che Jack non ha mai conosciuto ed avuto un contatto con il mondo esterno e di conseguenza per lui il mondo è rappresentato dalla stanza e da quello che c’è al suo interno.

Fuori da Stanza c’è Cosmo.

Noi siamo veri, le persone nella tv no.

Scopriamo che la mamma, Ma, lo ha fatto crescere con questa consapevolezza, inevitabile per riuscire a sopravvivere in una situazione del genere, che di fatto ha permesso al bimbo di formarsi comunque con dei principi morali ed etici e di sviluppare quelle emozioni e quelle idee che la vita ci fa scoprire sin dalla nostra nascita.

Ed è proprio in questa prima parte che abbiamo il piacere di osservare una recitazione da parte di questo piccolo attore che ci lascia spiazzati. Jacob riesce, a mio avviso, a superare l’altrettanto ottima prova attoriale della Larson tanto da bucare lo schermo, da prenderci per mano ed accompagnarci per tutto il film.

Lo svolgimento della pellicola può essere diviso in tre parti: il tempo nella stanza, l’uscita da questa e quella della rinascita.

A cavallo tra la prima e la seconda parte abbiamo una delle scene più belle, più emozionanti, più stupefacenti e ben realizzate di sempre: la realizzazione pratica dell’idea che Ma aveva escogitato per fuggire dalla stanza. Jack doveva fingersi morto in modo che questo terzo personaggio fosse costretto a trasportarlo in un luogo isolato per seppellirlo, e lungo questo tragitto Jack sarebbe dovuto scappare.

Immaginate quindi un bambino che ha vissuto in una stanza dalla sua nascita fino ai suoi 5 anni che si ritrova catapultato nel mondo vero: lo shock emotivo che si proverebbe, l’essere spaesati, l’incredulità e l’impotenza sono rappresentate tutte in modo perfetto e riescono ancora una volta a trascinare lo spettatore con sé: ci ritroveremo anche noi in questa situazione, proprio affianco a Jack, sdraiati con lui nel vano del Pick Up, e per alcuni istanti ci sembrerà di scoprire anche noi il mondo per la prima volta.

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Jack riesce a portare in salvo la madre e da questo momento in poi entriamo nel vortice finale del film, dove per la prima volta passiamo da un punto di vista interno a uno esterno e veniamo accompagnati, ancora una volta da Jack, attraverso tutte le fasi che a livello psicologico questo trauma comporterebbe.

E qui però abbiamo due differenti versioni di reazione: quella della madre e quella di Jack.

La madre, travolta dai pensieri, dai sensi di colpa, dai rimorsi e dal non banale fatto di essere ormai adulta, pian piano incomincia a cedere; vediamo la sua forza mentale che si affievolisce sempre di più, la depressione post-trauma e la mancanza sempre più frequente di voglia e soprattutto capacità di reagire, di andare avanti, di provare semplicemente a lasciarsi tutto alle spalle. Questa decadenza emotiva e mentale la poterà ben presto a tentare il suicidio, ormai visto come unica salvezza e possibilità di estraniarsi da questa situazione.

Al contrario per Jack, che intraprenderà un percorso perfettamente inverso alla madre, i primi periodi saranno quelli peggiori, per migliorare col passare del tempo. Jack viene salvato dal fatto che diventa un vero bimbo al di fuori della stanza, che dovrà imparare tutto da zero, capire il mondo e i suoi meccanismi e incominciare ad interagire con nuovi e più o meno banali problemi: Jack quindi subisce una seconda nascita, quella che alla madre purtroppo manca.

L’unica cosa effettiva che però Jack non dovrà imparare è il provare amore, capire il bene in senso assoluto, poiché il rapporto creatosi nella stanza tra di lui e sua madre va oltre qualsiasi rapporto immaginabile: per Jack, fino a pochi giorni prima, sua madre rappresentava tutto il suo mondo, l’unico essere a cui volere davvero bene oltre che ad una autorità superiore senza la quale lui non poteva (r)esistere.

È proprio dopo il tentato suicidio che però Jack capisce la fragilità della madre, capisce che così come lei rappresentava tutto per lui adesso lui deve ricambiare l’affetto e soprattutto la forza di cui ora la madre ha bisogno. Jack darà a Ma la forza di lottare e ricominciare una vita normale, la potenza di una forza unica che solo un figlio può dare ad un genitore  per spingerlo a non mollare mai, a continuare a camminare perché c’è qualcuno che ha bisogno dell’altro.

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In conclusione

Room non vuole farti ricordare nomi, fatti o avvenimenti. Room vuole essere un insieme di emozioni che riesce a spiazzarti tante volte, che ti fa riflettere e capire moltissimo. Non è assolutamente un film semplice, è complesso e ha bisogno di essere guardato in un’ottica particolare.
La regia accompagna silenziosamente tutta l’opera, non è nulla di particolare ma è come doveva essere: perfettamente invisibile.
Room, passando all’aspetto più tecnico, è un film low-budget che ancora una volta fa capire come il buon lavoro e la capacità di creare progetti seri non dipenda dai soldi spesi ma esclusivamente della idee di produzione e della buona e sana competenza.
Room va visto almeno una volta, sia per la superba recitazione che per quanto appena descritto, da vedere tutto d’un fiato e senza alcuna interruzione.

Salvatore Annarumma

Ho un anno in più di X-Files. Eredito dai miei zii la dipendenza al cinema. Crescendo cerco di capire come funziona il cinema: scrivo qualcosa, giro corti e sviluppo l'interesse per gli effetti visivi. Intraprendo un percorso di studi che mi porta a diventare un digital compositor. Adoro le serie TV, l'horror, i thriller, la fantascienza e il cinema sperimentale (chi non conosce Begotten dovrebbe far penitenza). Ah, non posso far a meno di guardare B-Movie: quando il mondo capirà realmente il loro valore sarà ormai troppo tardi.
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