
Run: quando il vero mostro è (soprattutto) dentro di noi
Non sono un’amante degli horror. A dire il vero non lo sono mai stata perché sono una cagasotto che più cagasotto non si può. In pratica ogni volta che hanno provato a propinarmi un qualsiasi film di questo genere ho passato 3/4 del tempo con le mani davanti agli occhi. PERÒ. C’è un però. Ci sono pochi, rarissimissimi casi in cui sì mi spavento (com’è normale che sia), ma in cui riesco ad apprezzare (e soprattutto a guardare) tutto il film. E Run è uno di questi.
Insomma, gli horror con i mostroni, col sangue che esce pure dai muri, con le bambole assassine e con un jumpscare un secondo sì e l’altro pure non sono il mio genere. Ma quei film che invece ti fanno sentire la tensione sin dentro le ossa e ti spaventano non tanto perché ti fanno saltare dalla sedia, ma in quanto sono cose che potrebbero realmente succedere.. quelli mi fanno davvero paura.
Ci sono tre motivi in particolare per cui ho amato questo film. Innanzitutto perché c’è Sarah Paulson. E già qui ho detto tutto. È un’attrice che apprezzo tantissimo e che poco tempo fa ha rapito definitivamente il mio cuore con Ratched, serie che vi consiglio assolutamente di recuperarvi. Quest’ultima credo abbia influenzato abbastanza Diane, il personaggio che la Paulson interpreta in Run. Da sottolineare infatti che l’attrice sembra perfettamente tagliata per inserirsi nel genere horror, come testimonia tra l’altro la sua presenza in American Horror Story.
Devo però ammettere che in Run il primato della recitazione lo conquista Kiera Allen, che interpreta Chloe, la figlia di Diane. E qui troviamo il secondo motivo per cui penso che questo film sia davvero ben costruito: il fatto che noi spettatori scopriamo tutto man mano insieme a Chloe. Perfino la scena iniziale che sembra suggerirci una determinata pista si ribalta solo nel momento in cui anche la protagonista viene a conoscenza della verità.
Last but not least, un altro motivo per cui credo che Run sia un ottimo film è il modo in cui gestisce i meccanismi dell’horror. Ci sono diverse scene in cui canonicamente ci aspetteremmo un effetto sorpresa, uno spavento o in cui siamo lì che pensiamo “adesso la scopre”. E invece il film ci prende quasi in giro, ci fa morire d’ansia facendoci credere che basta, è finita. E INVECE NO.
Ci avete fatto sudare 24 camicie. Ma va bene così.
Altro elemento su cui vorrei riflettere è Diane, la madre.
AVVISO CHE DA QUI IN POI POTREBBERO ESSERCI SPOILER.
Diciamo che preso in analisi il suo personaggio è molto complesso, in quanto ha vissuto un forte trauma. Credo che nessuno che non abbia vissuto la perdita di un figlio possa lontanamente immaginare cosa si provi in una situazione simile. PERÒ. Anche qui c’è un però. Essendo una situazione così delicata, così profondamente straziante mi chiedo se non si dovesse approfondire ulteriormente il suo personaggio.
Ed è qui che la mia riflessione si amplia. In Run questo forte dolore di Diane per la perdita del figlio precedente si traduce nell’ossessione per Chloe, molto mooooolto evidente. Però non riesco a prendere una posizione decisa. Avrebbero dovuto calcare di più la mano su Diane e su quello che le è successo? O forse non l’hanno fatto appositamente per non farci empatizzare troppo? E soprattutto: si riesce a empatizzare con Diane o solamente con Chloe? Ancora non ho trovato una risposta.
In conclusione voglio parlare del finale, per concludere la conclusione del mio articolo e la conclusione del film. Bene. Run sarebbe potuto finire benissimo in ospedale, quando Diane cade giù dalle scale. Oserei dire che sarebbe stato perfetto terminare con un primo piano su Chloe E BASTA. PERÒ. Abbiamo un ultimo però. Non so per quale motivo è stata presa la, a mio parere insensata, decisione di andare a 7 anni più tardi. Ma non solo. Non capisco la scelta di concludere con la vendetta.
Voglio dire. Per il personaggio di Chloe non era necessario. Ma anche proprio per il film stesso. Al di là che si possa condividere o meno la scelta in questione, parlo proprio a livello cinematografico. NON CE N’ERA BISOGNO.
Parlando più nello specifico proprio della scelta in sé di Chloe, ci troviamo di fronte a un bel dilemma etico. Diciamo che per esperienza anche filmica possiamo appurare che la vendetta non solo non ci ripaga di ciò che abbiamo subito e/o perso, ma soprattutto non è detto che ci faccia sentire meglio. Spezzando però una lancia a favore della protagonista posso dire che essendo io abbastanza impulsiva ma soprattutto estremamente empatica, la capisco. A questa povera ragazza è stata rovinata la vita, è stata strappata dai suoi veri genitori e ha vissuto nella menzogna per 17 anni. Diciamo che non ha tutti i torti ad essere incazzata.
PERÒ. E vi giuro che questo è l’ultimo però, una persona molto saggia e più razionale di me ha detto: “Diane ha già avuto il suo contrappasso. È una donna malata, che passerà il resto dei suoi giorni in una clinica. Che senso ha infliggerle lo stesso dolore che ha vissuto lei? Anzi, proprio perché l’ha vissuto e sa cosa si prova non dovrebbe infliggerlo ad altri, perché non è migliore di loro se lo fa. È esattamente uguale a loro“.