
Sami Blood: il mio sangue, la vostra terra
Se vi dico Svezia vi viene subito in mente la nazionale che ci ha eliminato dai mondiali di Russia o tutte le matite che per vendetta abbiamo rubato all’Ikea. Se invece vi dico popolazione Sami, Lapponia, anni 30′ e razzismo a cosa pensate? Probabilmente vi guardate intorno, girate la testa su e giù e chiedete al signor Google la soluzione. Io per rispondere a questa domanda ho guardato Sami Blood, film d’esordio di Amanda Kernel. Presentato in anteprima mondiale a Venezia e vincitore del premio Lux dato dalla Comunità Europea
In un lungo flashback Christine racconta la sua vita da bambina intrappolata tra le renne e le montagne della Lapponia con un futuro tutto da scrivere. La giovane in realtà si chiama Elle-Marja e vive con la sorella Njenna in una piccola comunità di pastori agricoltori. Si può notare molta complicità tra le due e un forte legame dato anche dal fatto che le due attrici (LeneCecilia e MiaErika Sparrok) sono figlie degli stessi genitori. Stufa d’indossare i colorati abiti tradizionale Christine/Elle-Marja decide di fuggire dalla sua terra in cerca di un proprio posto nel mondo.
Qui inizierà un viaggio fatto di insofferenze, paure e sogni infranti che lo spettatore seguirà in modo quasi morboso vista la vicinanza della cinepresa. Riuscirà la ragazza a realizzare i suoi desideri o la sua sarà un inutile ribellione adolescenziale?
Sami Blood è una storia dimenticata che porta lo spettatore a interrogarsi inconsciamente sul proprio modo di vivere. Davvero è meglio cedere ai piaceri di una società dove macchiarsi le labbra di rossetto è un privilegio rispetto al calore di una notte davanti al fuoco? Quanto pesa la tradizione, i vecchi racconti in un mondo sempre più globale e interconnesso?
La regista vuole denunciare un razzismo vissuto anche sulla propria pelle viste le origini sami della sua famiglia, ma ormai nascosto sotto il cappello della grande ed evoluta civiltà svedese. La comunità viene vista dagli altri come un esperimento da analizzare scientificamente, per poi scattare foto ricordo come farebbe un turista durante un safari. Una canzone yoik, tipica della tradizione, viene richiesta da un’antropologa per soddisfare la sua sete di conoscenza, con una delicatezza che non andrebbe bene neanche per inserire delle monetine in una cassa automatica.
Come nel meraviglioso Into The Wild, il tema è quello del viaggio immersi nella natura dove si può contare solo su stessi. In questo caso la protagonista subisce però l’attrazione della città e dalla società moderna. La cerimonia della marchiatura della renna è il simbolo di questo percorso che, glorificato da ragazzina come rito di passaggio, viene rifiutato con rabbia in età adulta.
In alcune scene c’è un silenzio assordante riempito da sguardi e gesti che aiutano la riflessione e mistificano il dibattito, cioè se sia una scelta giusta tradire quello che siamo, il nostro io, per cercare di diventare qualcosa di meglio. Sognare un futuro migliore è quello che facciamo tutti noi. Vogliamo sempre vivere alzando l’asticella dei nostri obiettivi anche se la realtà è capace di spingerci continuamente a faccia in giù. Solo piccoli sforzi quotidiani ci permettono di galleggiare sulle acque dei nostri giorni come fa Njenna, aiutata dall’amore della sorella che la tiene a galla in una dei momenti più dolci del film.
Quest’estate non rinunciamo alle cene con gli amici programmate da tempo per sostenere gli Azzurri, ma vediamoci per guardare un film e condividere insieme qualche nuova storia.