Film

Sangue del mio sangue: orizzonti temporali un po’ confusi

Quest’anno Marco Bellocchio è il volto-manifesto della XVIIIa edizione del Ravenna Nightmare Film Fest. Del regista viene proiettato il film più enigmatico e misterioso, Sangue del mio sangue (2015), vincitore del premio FIPRESCI alla Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia.

Ed è con il regista di I pugni in tasca che si chiude quest’edizione del festival emiliano.

(P.S. potrebbero esserci spoilerzzzzzz)

bellocchio

Il titolo sembra alludere a una vena autobiografica, alla storia personale di Bellocchio. Il regista, infatti, ambienta il film nella propria patria natale, Bobbio. Ed il primo luogo che ci viene mostrato è il convento di Santa Chiara. Siamo nel XVII secolo.

Qui incontriamo Federico Mai, personaggio incarnato dal figlio del regista, Pier Giorgio Bellocchio. Egli interpreta un soldato spinto dalla madre a recarsi in questo convento, per onorare la memoria del fratello gemello, Fabrizio, suicidatosi nel fiume, e per dargli una degna sepoltura.

Nel convento Federico incontra suor Benedetta, accusata di stregoneria per aver sedotto il fratello. Tuttavia, anche Federico viene incantato dalla donna, che sarà murata viva. Ma Federico, trent’anni dopo, diventato cardinale, incontrerà nuovamente Benedetta, ancora rinchiusa in quelle mura.

sangue del mio sangue

A un certo punto, però, vediamo una lussureggiante macchina sportiva rossa. E uno dirà, cosa ci facevano suore e frati con una macchina nel XVII secolo? No dai, a parte gli scherzi. Siamo arrivati, non si sa come, ai giorni nostri.

Federico Mai è un ispettore che bussa al portone del convento, trasformato in prigione e poi abbandonato. Egli è in compagnia di un miliardario russo, che intende acquistare queste prigioni. In realtà quel luogo è ancora abitato da un misterioso conte che si aggira in città solo di notte. Pare essere un vampiro e no, non è Dracula. Lui è ancora in Transilvania con Coppola.

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Insomma, penso avrete capito che la temporalità di Sangue del mio sangue non è lineare. C’è ovviamente un’alternanza di epoche, iniziando la narrazione in epoca secentesca, approdando, poi, alla contemporaneità, andando avanti con un rapido ritorno al Seicento seguito da un finale nel nostro tempo.

Se nelle scene secentesche Bellocchio fa, probabilmente, una critica al potere spirituale, nel nostro presente vediamo una critica verso le istituzioni del nostro Paese. “Mio marito è sparito da otto anni, ma non è né vivo né morto. Quindi io non percepisco né gli alimenti né la sua pensione”. “Perché sa, per lo Stato è molto più costoso un pazzo piuttosto che un invalido al 50%“.

Queste sono solo alcune delle frasi che sentiamo dai personaggi che popolano la Bobbio moderna, parte che tra l’altro scorre più fluidamente rispetto alle sequenze precedenti. Pare quindi evidente che, insomma, come posso dirlo. Forse in Italia le cose non funzionano così bene.

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Tra gli elementi che invece notiamo durante le prime sequenze ci sono, innanzitutto, le associazioni con alcuni personaggi manzoniani: possiamo notare la Monaca di Monza, il suo amante Egidio, il Cardinale Borromeo. Italianità e cultura portami via.

Soprattutto, poi, possiamo notare diversi collegamenti con la pittura dell’epoca, in particolar modo con Caravaggio e con il Cristo morto di Mantegna (c’è una scena in cui vediamo Federico sdraiato a letto in vesti bianche che pare davvero il quadro di quest’ultimo pittore).

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Ciò che personalmente mi ha lasciato un po’ con l’amaro in bocca è la qualità delle riprese. Soprattutto all’inizio si nota una regia abbastanza televisiva. Insomma, sembra un film Rai. E mi aspettavo qualcosa di diverso.

Inoltre, questi cambiamenti temporali repentini, il non spiegare la maggior parte dei fatti, possono sì creare un’aura di mistero, possono sicuramente intrigare, ma in Sangue del mio sangue dopo un po’ stancano. Credo che gli spettatori si aspettassero qualche spiegazione in più, quanto meno sulla natura dei salti temporali.

Il detto-non detto è affascinante, sicuramente, ma in questo caso l’ho trovato un po’ forzato, il tutto mi stonava. E oltre a questo bisogna aggiungere che, soprattutto all’inizio, si avverte una certa lentezza della narrazione.

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Di certo, è un film giocato sul ricorrere del doppio, e troviamo, sia nel passato che nel presente, personaggi a metà strada tra la vita e la morte. Benedetta viene murata viva. Ci si aspetta che muoia ma in realtà rimane in vita. Allo stesso tempo, l’anziano conte Basta è vivente, ma è un vampiro (no, non chiedetevi il perché), quindi è un po’ di qua e un po’ di là, come ben sappiamo.

Anch’egli è in qualche modo “murato vivo”, poiché chiuso all’interno delle mura delle carceri di Bobbio, fuggendo la moglie (di cui sembra interessargli poco) e, soprattutto, l’evoluzione della società e della modernità, che egli tenta di ignorare, specialmente per quanto riguarda il progresso tecnologico (vediamo una scena in cui il conte è dal dentista in cui parlano proprio di questo).

Tra l’altro non si possono non notare i cognomi stravaganti che Bellocchio ci fornisce: Mai e Basta. Come a voler indicare una cesura, una fine. Un progresso che allo stesso tempo è uno stallo, un rifiuto, forse, dello scorrere degli eventi, motivo per cui ci sono questi continui salti temporali.

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Il doppio lo troviamo, poi, ovviamente, nella somiglianza tra i due fratelli gemelli, al punto tale che non si riesce più a distinguere di quale dei due si stia raccontando la storia. Forse è per questo che non si capisce la natura dei salti temporali.

Stiamo raccontando la storia di Federico Mai-‘600 o di Federico Mai ispettore? E come sono correlati ‘sti due? Tra l’altro l’ispettore in certe scene va in giro stile Commissario Montalbano. Per favore… Ma perché?A un certo punto pensavo spuntasse Catarella a dire “Sì Commissario”.

Mi spiace dirlo, ma pareva proprio la classica scenetta comica all’italiana, che a mio parere non centrava molto. Va bene la critica, va bene tutto, però no. A mio parere non in questo film. O meglio, per come stava andando la storia.

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Informazione: scavando nella biografia di Bellocchio, scopriamo che anche il suo passato è segnato  dal suicidio del fratello gemello. Ovviamente questo non fa che accentuare la dimensione autobiografica che pare caratterizzare tutto il film.

Detto questo. Penso sia un film che lascia un po’ a metà strada. Ci sono sicuramente dei buoni riferimenti, i costumi sono abbastanza curati, e ho apprezzato la vena critica e autobiografica. Tuttavia, Sangue del mio sangue non è particolarmente coinvolgente. Lo reputo un film poco interessante. Non si riesce a empatizzare con i personaggi, la recitazione è un po’ approssimativa, e da un regista come Bellocchio mi aspettavo sicuramente qualcosa di più.

Martina Catrambone

Affetta da cinefilia sin dalla nascita, cresciuta a suon di film e cartoni. Sono andata al cinema per la prima volta a quattro anni e da lì non ho più smesso. Mi faccio tanti film mentali e studio cinema per provare a fare film reali.
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