Film

Scary Stories to Tell in the Dark aka Stranger Things to Tell in the Dark

Stranger Things, si sa, è diventato un po’ il simbolo del revival di tutto ciò che ha a che fare con gli anni Ottanta. Tra le tante, prevedibili cose, la serie cult di Netflix ha pure aperto le porte a un’ondata di film horror ad alto tasso citazionistico/nostalgico che tra alti e bassi si è conquistato una buona fetta di ammiratori. Scary Stories to Tell in the Dark è solo l’ultimo arrivato di questo filone, e tra i più riusciti e affascinanti. Il film è prodotto dal regista Premio Oscar Guillermo del Toro (cosa che si nota soprattutto nel design delle creature) e diretto da André Ovredal, un regista norvegese che nel 2010 aveva diretto un abbastanza ansiogeno mockumentary intitolato Troll Hunter.

Scary Stories to Tell in the Dark inizia nella notte di Halloween. Un gruppo di ragazzini, giusto per passare la notte horror per eccellenza all’insegna del brivido, decide di avventurarsi all’interno di una vecchia casa. Qui trovano un libro di storie truculente, scritto da Sarah, un’adolescente precedentemente morta la cui vita è stata segnata da oscuri segreti familiari. Come da tradizione, il tomo è maledetto, e i suoi perversi poteri metteranno i ragazzi faccia a faccia con le loro peggiori paure.

Da questa breve sinossi diventa facile intuire che prodotto abbiamo per le mani. Quello di Ovredal è innegabilmente il tipico horrorino di consumo per ragazzi ben confezionato, riuscito nella mistura di racconto di formazione e buoni momenti di tensione. Ogni frame pulsa di tutti quei cliché e atmosfere provenienti dai romanzi di Stephen King con protagonisti in fase puberale, presi di mira sia dai bulli che dalle entità soprannaturali. Ma allora cosa rende Scary Stories to Tell in the Dark diverso (anche se non c’è certo da urlare al miracolo) da una qualunque pallida imitazione di Stranger Things?

A differenza della serie con Winona Ryder e di tutti i suoi cloni, il film di Ovredal è ambientato nel 1969, cosa che, se sulle prime potrebbe farvi urlare un sonoro “sticazzi!”, in realtà tanto banale non è. La scelta di questa precisa annata permette alla pellicola di affrontare di petto, semplificandoli come si conviene a un film per ragazzi, alcuni interessanti sottotesti sul razzismo (uno dei protagonisti è messicano), sulle elezioni di Nixon e sulla paura del Vietnam. In particolare l’ultimo punto si ricollega a It di Andrew Muschietti per quanto concerne la concretizzazione della paura astratta in mostruosità fatta di carne e sangue, modus operandi gestito discretamente nell’alternanza di spavento e divertimento.

L’amore di Ovredal per l’horror anni Trenta (quello della Universal, per capirci) e Settanta (George Romero) pervade il film inquadratura dopo inquadratura e lo infarcisce di simpatici ammiccamenti manco fosse un tacchino del Ringraziamento. Tutte le sequenze puramente orrorifiche, impreziosite poi da ottimi effetti speciali prospettici degni di Tom Savini, sono l’indice più esplicativo del talento visivo di Ovredal nella costruzione della paura atmosferica, ed è un vero peccato che ogni tanto un ingranaggio così ben oliato vada a volte a incepparsi in quella ricerca del jumpscare che ormai ha stufato.

Per il resto, Scary Stories to Tell in the Dark mantiene tutte le sue promesse, riuscendo anche ad abbattere qualche funerea aspettativa. Pur avendo come protagonisti dei ragazzi e un finale molto spielberghiano, il lungometraggio è sì leggero e divertente ma non si perde dietro a battutine dalla comicità spicciola, non fa pesare la sua durata di quasi due ore (che per un horror non sono poche), e intrattiene nella giusta misura sia gli adolescenti ai quali è indirizzato che i nostalgici cronici ai quali strizza l’occhio.

Chi spera in un tripudio di efferatezze o in atmosfere pesanti farebbe meglio a tenersi lontano.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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