Film

Se la strada potesse parlare – Il paradigma della cupidigia per i premi

Da dove iniziare… Da dove iniziare… Facciamo così: Se la strada potesse parlare è il nuovo film di Barry Jenkins, il tanto chiacchierato regista del film “scippatore” di Oscar due anni fa, Moonlight; che poi io faccia parte dello schieramento La La Land, è un altro discorso. Soprattutto perché il film sulla crescita e vita del piccolo Shiron mi era piaciuto parecchio. Non mi aveva rapito o fatto urlare al capolavoro per motivi che non ho voglia di starvi a spiegare dopo tutto sto tempo, ma era sicuramente qualcosa di molto intimo e introspettivo.

Ero curioso, curiosissimo, di vedere se Barry avesse definitivamente tracciato un solco. Una nuova linea di inizio e traguardo per il genere drammatico, portando alla ribalta delle nuove e convincenti storie sull’affascinante cultura afroamericana del XX secolo contro il becero razzismo made in USA.

Ebbene,  Se la strada potesse parlare è un completo fallimento sotto tutti i punti di vista. Adesso vi spiego perché.

Il crogiolo di crederci troppo

Se la strada potesse parlare è tratto dall’omonimo romanzo di James Baldwin e racconta la storia di una giovane donna, Tish, rimasta in cinta di Alonzo “Fonny” Hunt, un pischello poco più grande di lei, ora dietro le sbarre con l’accusa di stupro. Di qui in poi, una mappazza incredibile: due ore di film che sembrano 4 anni, totale assenza di ritmo e di verve, un’opera piatta e piena di autoerotismo filmico. È stato un po’ come vedere un palestrato mentre si guarda allo specchio e si masturba gridando “Quanto ce l’ho grosso!”.

Non riesce manco ad essere sensuale.

Dalla ricerca della lacrimuccia facile, a un discorso sul razzismo che avrebbe potuto fare anche un bambino di terza elementare, Se la strada potesse parlare sarebbe dovuto essere un film romantico e pregno di orgoglio quando in realtà non è altro che uno sceneggiato lagnoso e pretenzioso, costruito giusto per raccattare qualche premio.

Retorico all’inverosimile, tragicomico in più di un momento e ilare senza motivo… Non immaginavo di dover assistere a una proiezione autoparodia di sé stessa.

Non voglio spargere benzina sul fuoco, ma…

Persino gli attori non aiutano a risollevare una sceneggiatura blanda e senza grinta: l’esordiente Kiki Lane non ha assolutamente la forza emotiva per trasportare lo spettatore, sempre poco espressiva e monocorde. Lei è l’esempio di come per tutto Se la strada potesse parlare si susseguano una trafila di attori poco credibili e stereotipati. Cameo del tutto casuali, spessore nullo per tutti i personaggi secondari… Davvero devo continuare? Mancava giusto Oprah ed eravamo a posto!

Da come lo stesso Jenkins ne parla, il romanzo originale (che non ho letto per ignoranza letteraria) è un prodotto underground, in grado di toccare le giuste corde della cultura afroamericana nella sua versione Roots/Blues/Jazz e malinconica; Se la strada potesse parlare non è niente di tutto questo. È un film bulimico per i premi, costruito a tavolino e tanto presuntuoso da farmi incazzare.

E il problema è che in tutta questo marasma, Barry Jenkins dirige pure bene! Chiaro, nel 2018 è difficile trovare chi non sa tenere la macchina in mano (esclusi Bay, Nispel and Co.), ma siamo di fronte a un film dal comparto tecnico promosso e ripromosso, privo però della potenza espressiva che ha caratterizzato Moonlight.

Speranze in fumo

Io odio dare i voti. Perché la gente si focalizza solo su un numero e non va a capire il perché di tale voto, contestualizzato al prodotto e al parere personale. L’arte è tutto tranne che oggettiva e Se la strada potesse parlare sono sicuro piacerà a più di qualcuno.

Nessuno riuscirà a togliermi dalla testa l’idea che mi sono fatto di un film impacchettato benissimo, ma dal contenuto maleodorante; niente di più di qualcosa visto e rivisto in mille salse e questo mi ha profondamente deluso.

Liberatemi da questo supplizio-mode

Ma non demordo, io credo ancora in un futuro Barry ancora più aggressivo e determinato. In caso, ti consiglio di ripassare qualcosina da Spike Lee.

Davide Casarotti

Antipatico e logorroico since 1995. Scrivo di Cinema da quando ho scoperto di non saper fare nulla. Da piccolo volevo fare il cuoco, crescendo ho optato per il giornalista; oggi mi limito ad essere pessimista, bere qualche birra con gli amici e andare al Cinema da solo. Giuro, non sono una brutta persona.
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