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“Se non fossi stato attore avrei fatto l’operaio”. Semplicemente James Spader

L’UOMO CHE DECISE DI FARE A BRACCIO DI FERRO CON LA BANALITÀ

Di personaggi particolari nel mondo del cinema se ne sono visti tanti, ma interpreti singolari e poliedrici come James Spader si fa sempre fatica a catalogarli. Da Wolf a Secretary, da Sesso, bugie e videotape a Stargate, passando per Boston Legal e The Blacklist, fino ad arrivare a La musica del caso. La carriera di James Spader è stata sensazionale, ricca di alti e bassi più o meno calcolati, ma sempre nel segno dell’imprevedibilità.

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Aprendo un ipotetico vaso di Pandora con l’etichetta “Spader” appiccicata sul coperchio, scopriremmo l’assoluta unicità del suo personaggio: mimica, retorica e carisma sono gli ingredienti che nel corso del suo altalenante viaggio tra gli studi cinematografici e televisivi d’America hanno “sedotto” registi come Cronenberg e Soderbergh, con cui ha lavorato rispettivamente nel controverso Crash (1996), tratto dall’omonimo romanzo di Ballard, e in Sesso, bugie e videotape (1989), grazie al quale ha ricevuto l’unico importante riconoscimento cinematografico in carriera: miglior attore al Festival di Cannes.

Con Sex, Lies, and Videotape il vaso di Pandora l’ha aperto davvero, dando vita alla parabola in cui essenza b-movie ed ecletticità si fondono creando il vero essere spaderiano. Se fossimo in cucina, potremmo considerare la pellicola come un primo esperimento (ben riuscito) verso la creazione di un piatto fusion, una pietanza particolare che non piace a tutti gli ospiti che vengono a cena ma di cui si apprezza la fattura.

Per inquadrarntumblr_nsrlbmU2R51rx2f6jo1_1280e ancora di più lo spirito bisognerebbe guardare La musica del caso (1993). Più di tutti è il film che forse ha dato a Spader più di quanto egli abbia dato al film stesso, una pellicola, tratta dall’omonimo romanzo di Paul Auster, in cui il suo ruolo, quello di Jack Pozzi (per gli amici Jackpot), possiede le caratteristiche che spesso ritroveremo in ruoli successivi: fascino, personalità ed eccentricità. Se la settima stagione di The Office è riuscita comunque a far ridere è merito del suo Robert California…

James Spader è così. È uno che fondamentalmente se ne frega di ciò che dice la gente, che da sempre si disimpegna in ruoli inusuali o comunque distanti l’uno dall’altro, prendendo tanti rischi ma uscendo comunque a testa alta. Facendo la conta, è impossibile non rendersi conto dei vari flop che macchiano il suo CV – uno su tutti Supernova (1999) – ma il tutto rimane in perfetta armonia con l’essere Spader.

“Sono stato un attore abbastanza pigro. Ci sono stati anni in cui ho fatto un solo film, in altri addirittura in nessuno. Vado in giro dedicandomi a un’altra cosa: vivere. E mi piace molto di più. Recitare è solo un contorno. Se non fossi stato attore probabilmente avrei fatto l’operaio”.

L’essere Spader, per chi ama il personaggio, è praticamente un mantra da seguire, un costante promemoria sul rifiutare la costanza e, allo stesso tempo, la monotonia. Il nostro buon James è l’anti-routine per eccellenza, una vita fatta di eccessi cinematografici, di sconfitte e rivincite, in un costante moto perpetuo che al giorno d’oggi sembrava quasi definitivamente archiviato. E sapete che è successo? Il vaso di Pandora si è aperto ancora. Dopo la ritrovata notorietà, arrivata grazie al ruolo di Raymond Reddington nella serie tv The Blacklist,  in molti hanno riscoperto Spader, concedendosi sperticate lodi all’uomo che si è da sempre frapposto ai kolossal hollywodiani. E lui ha zittito tutti facendo la voce di Ultron nell’ultimo Avengers – Age of Ultron (2015), ritrovando sul set Robert Downey Jr., con cui aveva condiviso le esperienze di inizio carriera in Ultima occasione (1985) e Al di là di tutti i limiti (1987).

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 Perché Spader può tutto, è solo che non vuole.

Giuseppe D'Amico

Classe '93, venuto al mondo in una metropoli di 5000 anime sull'Appennino abruzzese. Da ragazzino ascolta musica, legge libri e soprattutto guarda un sacco di film con i suoi teneri amichetti in cameretta, proseguendo poi fino ai 23 anni. Osserva molto e scrive bene, almeno questo è quello che gli dice sua madre.
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