Sense8 rappresenta la quintessenza di una serie Netflix. Non solamente perché è un telefilm che anche in Italia possiamo vedere unicamente attraverso la piattaforma online – come noto, altre come House of Cards nel nostro paese sono state trasmesse in maniera più tradizionale, su canali televisivi – in maniera del tutto LEGALE e PULITA (guardate che vi vedo; fate piangere Gesù), ma anche perché è l’esempio lampante di quale rivoluzione ha comportato la nascita di tale piattaforma per il mondo delle serie TV.
In Italia abbiamo una percezione un po’ lontana di come solitamente funzionino in USA le cose per una nuova serie, poiché qua in genere è d’uso importare solo quelle già di successo consolidato: in pratica, di norma, nella stagione autunnale vengono trasmessi i cosiddetti “episodi pilota” delle nuove serie proposte. Se il pilota ha successo (non come quello di Mia Wallace di Pulp Fiction, insomma), la rete commissiona agli autori una serie intera. Se la serie ha successo, viene rinnovata per una seconda stagione. Se la serie delude, viene chiusa e spesso l’autore è costretto a rivedere i suoi piani in corsa (qualcuno ricorda ciò che accadde anni fa per Flash Forward? Era considerato il nuovo possibile Lost, grandiosi ascolti per il pilota, il telefilm però perse audience di puntata in puntata e il canale obbligò gli autori non solo a fare una “chiusa” rocambolesca, ma diede loro a disposizione meno episodi del previsto per farlo). Un vero macello per qualunque umana persona abbia mai un’idea creativa. Di contro, se una serie fa grandi ascolti, viene trascinata oltre il suo esaurimento naturale nonostante la dipartita di tutto il cast e quattro o cinque salti di squalo (non sapete cos’è il salto dello squalo? Insomma, ne parleremo un’altra volta, qua non è che posso aprire altre subordinate) che non arrivano a tanto neanche i pro-life quando qualcuno tenta di staccare la spina a un paziente in coma vegetativo da cinquant’anni.
Devo dire Grey’s Anatomy? Non ce n’è bisogno.
Netflix ha generato un’alternativa che è il sogno erotico di ogni scrittore che lavori per qualunque media: commissiona una serie intera e solo quando è pronta e completa la mette a disposizione tutta, subito, permettendo al cliente di autogestirsi completamente la visione. Un episodio alla settimana, uno al giorno, una bella full immersion (il cosiddetto binge watching), come si preferisce. In fase di lavorazione, autori e registi non vivono più con l’incubo dell’audience che alita sulla spalla: portano a casa il lavoro con i tempi che ritengono adeguati e se poi la serie avrà successo bene, se sarà un flop pazienza, se sarà un gioiellino per pochi intellettualoidi bene lo stesso, tanto hai già pagato l’abbonamento alla piattaforma a prescindere.
Questa opportunità bypassa completamente la problematica dell’episodio pilota: se anche non fosse eccezionale, se anche la serie fosse un diesel e cominciasse a carburare solo dopo, con calma, lo spettatore ha la possibilità di giudicare l’intera stagione come insieme e non la singola puntata. Sicuramente, è il caso di Sense8.
Non è un mistero che il primo episodio di Sense8 sia una bella gatta da pelare. Molti personaggi, molte location, una dinamica fantascientifica quasi inedita, parecchi punti oscuri e trama ancora per lo più assente.
Ma è la serie intera che funziona, che conquista, e serve tutta per permettere allo spettatore di entrare nel mood. In breve, dopo due o tre episodi, si capisce che è un prodotto finora unico nel suo genere.
La trama ve la riassumo velocemente: ci sono 8 persone i 8 diversi luoghi del mondo. Il peggiore incubo delle Sentinelle in Piedi, poiché rappresentano quasi ogni possibile minoranza – c’è la donna indiana in carriera, in bilico se accettare o no un matrimonio che non è d’amore, la deejay islandese ex tossica dai capelli ossigenati e con un passato tragico alle spalle, l’attore messicano gay che vive col suo compagno – e per qualche ragione non del tutto chiarita pure con la fidanzata di copertura affetta dall’insana passione di fotografare la coppia nei momenti intimi (lo spirito guida di tutte le donne yaoiste insomma) -, il ragazzo africano di buon cuore fan dei film di Van Damme e che sogna un futuro migliore per sé e la madre, la ragazza coreana esperta di arti marziali che spacca i mattoni a quattro a quattro ma trattata come una pezza dal padre maschilista, il poliziotto americano che crede veramente nel suo lavoro (!), il rapinatore biondissimo e tedesco che fa gli occhi dolci all’indiana oltre a manifestarsi nudo nella mente altrui nei momenti meno opportuni, e la preferita di Adinolfi, Nomi, una hacker transessuale, nata uomo ma con disforia di genere, ora donna. E lesbica. Innamoratissima di Amanita, una ragazza di colore.

Sentite l’eco degli schiaffi morali a tutti quelli che ancora non hanno chiara la differenza tra identità di genere e orientamento e pronunciano frasi come “ma se voleva andare con le donne, non era meglio che si teneva il pene? :-/ ”
Beh, i nostri otto scappati dal centro sociale sono nati lo stesso giorno dello stesso anno (8-8-88 ovviamente. Bello no?) nello stesso esatto momento e, a un certo punto, cominciano ad accorgersi di essere uniti in una sorta di circuito psichico, che fa vivere le sensazioni l’uno dell’altro e, sempre più spesso, permette a ciascuno di loro di sostituirsi temporaneamente nelle azioni dei compagni. Una vera e propria rappresentazione “telepatica” di ciò che nel mondo reale sperimentiamo come rete virtuale; la possibilità di essere in un luogo e contemporaneamente in un altro, accanto a una persona che è in realtà all’altro capo del globo, condividere con lei confidenze, ottenere consigli, scambiarsi le ricette, etc.
Oltre a loro stessi, nelle loro visioni compaiono altre due persone che si rivelano una sorta di “genitori psichici”, interpretati da due figure cult: la mitica Daryl Hannah (sì, quella di Kill Bill, e prima ancora Blade Runner, scusa se è poco), che vediamo all’inizio essere uccisa poco dopo aver attivato il circuito psichico dei “figli”, e Naveen Andrews, che i fanatici di Lost senz’altro ricorderanno come uno dei tanti sbadatoni smarriti sull’isola del sole.
Ovviamente la questione non è tutta rose, fiori e orge psichiche – come quella in cui parte dei sensate (avete capito il gioco di parole? Sensate, Sense8 , ahah) è coinvolta durante l’episodio 1×06 – poiché questi poveri ragazzi sono anche perseguitati da un misterioso e inquietante figuro che si fa chiamare Whisper, il quale sembra ben intenzionato a sbarazzarsi di loro, o quantomeno renderli innocui con un buon vecchio rimedio della nonna: una bella lobotomia e passa la paura.
Il primo vero telefilm che riesce a rappresentare in un modo simile i meccanismi della “rete di affetti lontani” in cui siamo immersi ogni giorno, mostrandone quasi allegoricamente sia i vantaggi sia le insidie. Il rischio della perdita del contatto con la realtà è sempre in agguato – specie laddove nascono amori all’interno del circuito, destinati per loro natura a essere troppo stretti e lontani allo stesso tempo, morbosi, fonte di sofferenza. Resta indubbio però che gli 8, dalla loro unione, traggono forza, diventano un unico co-individuo dotato di capacità eccezionali, quasi un supereroe: hacker, maestro di arti marziali, genio della dissimulazione, truffatore provetto, poliziotto addestrato, chimico, tuttofare e… uhm… deejay, giusto per le serate di noia.
Un’idea secondo me geniale dei fratelli Wachowski, che finalmente, dopo avermi rovinato Matrix con i sequel, una serie di flop commerciali ingiusti come Cloud Atlas e altri parecchio giusti come Jupiter – Il destino dell’universo, dopo aver fatto parlare di sé per meriti più sensazionalistici che cinematografici (un fratello è diventato una sorella, tutto qua), trovano nella serialità la loro dimensione ottimale confezionando una serie che cammina pienamente sulle sue gambe ed è l’esperimento migliore di creatività che Netflix ci ha regalato al momento.
Ci sarà una seconda stagione. Speriamo che non mi rubi il Natale come fece Matrix Reloaded.
(Matrix Reloaded. La Bellucci. La scena con la Bellucci e il marito francese. La Bellucci che si doppia da sola. Mon dieu.)
(Lo so, lo sento che state andando ai matti per la questione del “salto dello squalo”. In pratica è quel trope ereditato dal telefilm Happy Days con cui si individua un preciso momento in cui la serie televisiva smette di essere ben confezionata e comincia a perdere colpi e a manifestare carenza di idee, compiendo scelte imbarazzanti e di dubbio gusto, per esempio introducendo figli o fratelli mai menzionati prima. Nel caso di Happy Days, si fa riferimento all’episodio in cui Fonzie facendo sci d’acqua “salta” uno squalo come prova di coraggio, continuando a indossare la sua giacca di pelle sul costume da bagno. Già a descriverlo fa tristezza, no?).
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