Serie TV

Sex Education – When you wanna come, do it

Prosegue la passione di Netflix per gli inglesi.

Dopo The End of the F**king World, Netflix torna a parlare di adolescenti britannici. Se siete di quelli che guardano le serie tv in italiano non ve ne fregherà niente, se invece siete in procinto di spararvi (anche) Sex Education in lingua originale, preparatevi al solito amore/odio per l’accento.

Solo questo però?

Fatta questa premessa veniamo al dunque. Ultimata la visione della serie, oltre a notare appunto la comunanza di soggetto con TEOTFW (ovvero adolescenti ribelli e incompresi con genitori inqualificabili) mi sono chiesta se ci sia speranza.

Perché Sex Education non sarà la serie che va a urlare al capolavoro (come d’altronde la maggior parte dei contenuti Netflix proposti di recente), ma continua il filone inaugurato dalla piattaforma già con Tredici: parlare delle incomprensioni adolescenziali attraverso contenuti godibili anche dagli stessi.

Non solo, ma l’intento sembra essere anche quello di dare spazio alle risate: e se Big Mouth è quella che vi dà maggiormente spazio, Sex Education è quella che trova meglio il proprio equilibrio.

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Ma di cosa parla Sex Education?

La serie racconta la storia di Otis e dei suoi amici, la vita di qualsiasi adolescente disagiato: c’è quello popolare ma figlio del preside, quella carina ma aggressiva, quello che è la star della scuola ma che non riesce ad essere se stesso, il ragazzo omosessuale. Otis però ha qualcosa in più: una madre sessuologa. Non una qualsiasi, ma una che, in nome del proprio lavoro, non bada a niente, nessuna barriera, nessun pudore. Questo in qualche modo è l’aspetto più evidente di tutta Sex Education: tutti i personaggi non hanno un senso del limite, faticano ad avere buonsenso, insomma, fanno saltare i nervi. Però non si riesce a non voler loro bene.

Le cose cambiano quando Otis si rende conto di quanto i problemi dei suoi coetanei dipendano dall’incapacità ad approcciarsi correttamente alla sessualità. In barba a qualsiasi precetto della psicanalisi, decide di proporsi come sessuologo della scuola, fornendo consulenze a pagamento. C’è solo un piccolo problema, oltre alla mancanza di lauree e abilitazioni varie: Otis stesso ha enormi problemi sessuali, tanto nei rapporti con altre donne quanto nell’autoerotismo.

Il problema messo a… nudo

Eppure Otis riesce a fornire un enorme aiuto ai suoi compagni di scuola, che dapprima non sono per nulla convinti e poi lo cercano sempre di più. Le cose intorno al ragazzo cominciano a cambiare, a sfuggirgli di mano talvolta, ma al centro di tutto resta sempre un dato di fatto: coi ragazzi non si parla abbastanza, soprattutto di sesso e di amore. Sono proprio i personaggi più popular della scuola a trarre maggior beneficio dalla consulenza, e a fare più fatica ad accettare questa necessità. Sembra un concetto banale, ma metterlo di fronte al pubblico con una tale trasparenza e utilizzando un espediente semplice come questo non è cosa da poco.

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La serie inoltre coinvolge tantissimo: i personaggi hanno tutti i giusti spazi, rendendo impossibile non empatizzare con ciascuno di loro, mostrando come abbiano tutti torto e tutti ragione. Proprio questa sembra essere la difficoltà nel trattare con gli adolescenti, in Sex Education come in tutte le altre serie Netflix che hanno trattato il tema: sono tutti irrimediabilmente confusi, incazzati, incasinati, ma hanno tutti ragione d’esserlo.

Quello che però Otis impersona con il suo bizzarro lavoro terapeutico (oltre al potere della stessa terapia) è l’importanza di non essere soli: il motore di ogni cosa, il punto di svolta di ogni personaggio, è infatti la presa di coscienza di non essere i soli in quella condizione, di non sentirsi così per qualche malattia che colpisce solo loro, ma di essere tutti sulla stessa barca. Anche se quella barca è il Titanic.

E quindi ode a Sex Education e a Netflix, che sembra voler dare sempre più spazio alle incomprensioni dei ragazzi, tra di loro, con gli adulti e con loro stessi. Ma sempre facendoci divertire, finendo la stagione in due giorni.

(Ovviamente non sto riferendomi a me stessa, giuro).

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Io realizzando di essere arrivata all’ultimo episodio.

Gaia Cultrone

1994, ma nessuno ci crede e ancora bersi una birra è complicato. Cinema, libri, videogiochi e soprattutto cartoni animati sono nella mia vita da prima che me ne possa rendere conto, sono stata fregata. Non ho ancora deciso se sembro più stupida di quello che sono, o più furba; pare però che il cinema mi renda, quantomeno, sveglia. Ah, non so fare battute simpatiche.
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