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Shame! I 5 film cult amati da tutti, ma che io odio

Tutti abbiamo un lato oscuro. Molti di noi convivono con piccoli segreti più o meno imbarazzanti. Anche i cinefili li hanno. Solo che noi appassionati del grande schermo abbiamo due liste nere della vergogna: la lista di film orrendi che in gran segreto amiamo, e la lista di film cult che a tutti piacciono ma che noi schifiamo abbestia.

Orbene, ho voluto mettermi una mano sulla coscienza e uscire dall’armadio, presentandovi la lista di film cult che tutti adorano, osannati dalla critica, ma che io trovo piacevoli quanto uno spigolo sul mignolino. I film che odio.

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Piccoli appunti: questa classifica è fatta, per una volta, in ordine di importanza, dal grado MEH al grado VACCATA; la sottoscritta non ritiene che gli amanti dei seguenti film siano stupidi, e si appella al secondo emendamento di essere trattata con pari cortesia; vietata la lettura a utenti con scarso senso dell’ironia e poco amanti del sarcasmo; ci sono ovviamente gigaspoilers. Lezgò!

 

Posizione numero 5: Barry Lyndon (Stanley Kubrick, 1975)

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                                                      La mia classe del liceo a fine visione del film

In fondo alla classifica sono presenti sentimenti contrastanti di fastidio e vergogna in uguali proporzioni.  Questo film lo vidi all’età di 17 anni nelle ore di Storia dell’Arte. Stavamo studiando la paesaggistica del XVIII secolo e la prof decise che un salto nel tempo di 184 minuti con lo zio Stanley avrebbe fruttato più degli appunti presi in classe. Lungimirante come poche eh, e non potevo di certo darle torto. Ma ragazzi, che due palle.

Non ricordo nemmeno bene di cosa parli il film, pensate come sto messa, ricordo solo il giovanotto di Love Story che scappa da un duello e finisce in mezzo alla *controlla in rete* Guerra dei Sette Anni. Ora, io mi rendo perfettamente conto che stiamo parlando di Kubrick, che la resa estetica è perfetta, che i costumi sono di Milena Canonero (una gentile signora che fa urlare ai cinefili hooligan “CANONERO!” mentre le persone normali al massimo urlano “Cannavaro!”), che hanno usato le lampade a olio e non le luci artificiali, che il tutto è realistico a un livello psicopatologico e che ci sono le battaglie, i fucili, gli scoppi, i duelli e il gioco d’azzardo. Ma io l’unica cosa che ricordo è una lungagnata lentissima con un protagonista irritante come la sabbia nelle mutande, meschino e avido. Odio questo film. Chiedo scusa a Kubrick e alla comunità cinefila tutta.

Posizione numero 4: Profondo rosso (Dario Argento, 1975)

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                                                  Il trucco dello specchio però era veramente figo

Pure qua mi rendo conto dell’abisso che separa i miei gusti da quelli di molte altre persone. Abbassate la voce, lo so che questo film ha fatto la storia dell’horror italiano, che a quel tempo Dario Argento era babbo del sangue e zio delle turbe mentali, che ha ispirato Tarantino, che i Goblin hanno inciso una pietra miliare della musica dello Stivale. Ma a me non piace penniente. Odio e fastidio. Dopo aver sentito grandi cose su questa pellicola alla fine mi sono decisa a vederla. Non ho avuto paura. Non ho provato inquietudine. Nemmeno ansia o nervosismo. Per tutto il tempo ho pensato “E quindi…?”

Non riesco ad apprezzare né la trama, né il finale, né i personaggi. I personaggi… il killer della situazione va in giro in impermeabile nero e cappello a falda larga. Ma seri? Metteteci pure il mostro in cantina e un nero che ha il ritmo nel sangue. Ok, la traccia musicale portante del film all’inizio è inquietante di sicuro, ma dopo 127 minuti pieni che viene rivangata ogni tre secondi mi sono cadute delle cose che neanche avevo. Poi l’assassina è una vecchia… ma cacchio, ammazza uomini grossi due volte lei! La signora si sbomba di Supradyn? Va in palestra con Jean Claude Van Damme? E il sangue a me sembrava Bitter. Lo so che questo è un cult, ma io non lo comprendo.

Posizione numero 3: Scream (Wes Craven, 1996)

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                                                               Niente, preferisco lui

Oh, niente, non mi prende. Però capisco perchè sia stato un successo al botteghino. Serial killer, satira horror, liceali fatti a pezzi, e una maschera diventata un feticcio. A me Ghostface piace molto esteticamente, ma niente di più. Non l’ho mai trovato spaventoso e nemmeno inquietante. Forse ho visto troppe volte Scary Movie, non so… ma rimane comunque un cult che non amo. Il fatto è che non lo trovo un assassino carismatico. Stiamo parlando in realtà di due ragazzotti mezzi matti che uccidono a causa di problemi di corna. Odio quegli sbarbini idioti. E la gente urla e sta ferma invece di scappare. Ma cosa ti urli cosa?? Scappa, deficente!

Posizione numero 2 : Un film qualsiasi con Lino Banfi (dagli anni ’70 in poi)

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                                              Ahahahahahahhahahahahah non fa ridere

Qui ormai siamo al di là della vergogna personale. Qui divento snob, non lo comprendo e me ne vanto. Odio Banfi e le sue battutine. Il successo di Lino Banfi nel cinema italiano è per me un mistero più impenetrabile della vittoria del Giappone nei mondiali di Holly e Benji. Nemmeno Nicolas Cage mi crea tanto sbalordimento. Mi sono trovata di continuo in mezzo a commenti entusiasti, citazioni a raffica e carrettate di gif a tema Banfi postate nei gruppi uassapp. Più di una volta sono stata tentata di abusare dei mittenti con una copia arrotolata della Storia del Cinema firmata Giammatteo.

Lo so che i gusti vanno rispettati. Ma io veramente allibisco. E mi sale l’odio nazista. Cosa c’è di comico in una serie di personaggi rozzi che rappresentano (dovrebbero?) tutto il peggio dell’italiano più basso che medio? Sono delle macchiette imbarazzanti, conditi di umorismo becero, scoregge e accompagnate dalle solite bonone con la quarta. E ovviamente non manca il personaggio forte della “comicità italiana” di allora: l’omosessuale effeminato. Isterico, vocetta stridula, snob e quasi sempre menato. Il gay maschio era checca isterica e assatanata; la gay femmina pomiciava con qualcuna davanti all’uomo “vero” della situazione, ma ovviamente non aveva nessuna personalità e funzione all’interno della trama.

Per onor di cronaca devo dire che Lino Banfi si è anche prestato a fiction dove finalmente veniva mostrata una relazione gay realistica. Tuttavia, credo che l’infornata di personaggi “fri fri”, come dicevano i “comici” di allora, abbia creato un certa immobilità nella visione dell’amore gay. Ci vorrà ancora un po’ perché certi stereotipi crollino. Bocciato.

Esperimento sociale interessante: cercare questo tipo di film su YouTube e leggere gli esilaranti commenti degli utenti nostalgici che rimpiangono i “bei vecchi tempi andati, senza questo fastidioso politically correct. Ai miei tempi potevi tranquillamente farti una risata dicendo finocchio, culattone, negro, e nessuno si offendeva”. Mancava solo quello che rimpiangeva il periodo in cui i treni arrivavano in orario.

Posizione numero 1: La vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013)

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                     Una foto che testimonia la sensazionale espressività di Adele e la lesbicità fuori dai clichè di Emma.

Uno dei film più brutti, squallidi, trascinati e imbarazzanti che abbia mai visto. Presentato come un filmone intellettuale al Festival di Cannes, di intellettuale e profondo non ha proprio un emerito. La pellicola è una sbobba di tre ore incentrata sulla relazione sentimentale di Adele ed Emma. Peccato che non si capisca per quale motivo queste due squinzie si innamorino. Adele è uno dei personaggi più irritanti e cerebrolesi della storia del cinema. Espressiva come una platessa e immobile come un cactus, si trascina tra un compito a scuola e un piatto di spaghetti rigorosamente mangiati a bocca aperta (no, non è il realismo che entra al cinema, fa schifo e basta), e si attacca al bel tenebroso della scuola solo perché le amiche le consigliano così.

La svolta arriva quando incontra Emma. Ricordiamo che il film vorrebbe essere un’opera che trascende i clichè dell’amore omosessuale. Infatti Emma è una lesbica con dei capelli orrendi e vestita alla cane cazzum con abiti di 012 Benetton, trasgressiva, con velleità sinistroide-artistiche e spocchia intellettuale. E, sorpresa sorpresa, le due fanno sesso. Il film intero è una strombazzata continua sul dimostrare che le lesbiche tra di loro si accoppiano. Ora, è vero che per troppo tempo si è creduto erroneamente che le donne esercitassero tra loro il sesso telepatico, ma quelle vi sembrano scene di passione amorosa? A me ha ricordato la WWE. Ululati, prese da lottatore, botte, schianti, tonfi, ceffoni a mano aperta sulle chiappe… e per tutto il tempo quell’espressione sul viso alla “EHI, GUARDATE, SIAMO DUE LESBICHE CHE FANNO SESSO!” Per niente irreale, per niente di maniera. Sapete chi ha apprezzato di più quelle scene? Gli uomini. Etero. A me si alzava l’odio, a loro qualcos’altro. Tantissime lesbiche nel mentre hanno espresso perplessità e un sacrosanto “Sì, vabbè e poi?”

Se a letto le due ragazze sembrano due che sono state sorteggiate a caso, nella vita quotidiana la loro relazione è basata ancor più sul nulla. Vanno a convivere, Emma trascura un po’ Adele e questa si fa cascare le mutande col primo che passa. E nemmeno con intenzione, ma con un’inerzia che fa crollare le braccia (e qualcos’altro). Adele è una spugna di mare, in tre ore di film o ragiona con le ovaie o non ragiona affatto, non valuta le conseguenze delle proprie azioni, dice “sì” a tutto. Poi piange e fa il moccio al naso, cercando di farsi Emma in un bar davanti a tutti. Davvero realistico. Vorrei far notare che duecento sequenze (irreali) di sesso tra donne e inquadrature (da dieci secondi) del Gay Pride francese non bastano per creare un’opera omosessuale di riguardo. La cura nelle relazioni affettive, le difficoltà dei coming out, l’impegno per veder rispettati i propri diritti, e soprattutto la ricerca di un rapporto sano e equilibrato sono qui del tutto assenti. Se volete vedere un film in cui veramente viene espressa tutta la passione, l’amore e la confidenza che ci possono essere tra due donne, guardatevi Room in Rome.

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La mia vena polemica è per il momento soddisfatta. Fatemi sapere quali sono i vostri film della vergogna. Lo so che li avete.

Michela Mellina

Nasce nel 1990 in mezzo ai colli toscani dove impara la dura legge della provincia. Coltiva la sua passione per i libri,il cinema,il disegno e la misantropia. Le piace confrontarsi con persone disagiate almeno quanto lei.
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