
Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli: stavolta è vera Fase 4 [SPOILER]
Il nuovo inizio della Marvel è pieno di roba. Prima Black Widow, ora Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, poi a novembre arriverà Eternals e infine a dicembre Spider-Man: No Way Home. Sono 4 film in meno di 6 mesi. Ma non solo. Sono già uscite 3 serie originali su Disney+, Wandavision, The falcon and The winter soldier e Loki, e la quarta, What If…?, è in corso di svolgimento. Considerando che per la Saga dell’Infinito mediamente la Marvel faceva uscire 2, massimo 3 film all’anno, direi che sono partiti carichi.
Oggi parliamo di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli.
CI SONO SPOILER, ORMAI LO SAPETE. METTETEVI AL RIPARO.

Dopo quella schifezza totale e autoreferenziale di Black Widow, finalmente la Marvel arriva con una storia nuova. Qui si ripete il copione, di grande successo ahimè, seguito per Black Panther. Il meccanismo è all’incirca questo. Si prendono una comunità e una cultura storicamente discriminate e si fa un film paraculo su di loro; un film che, ingrediente essenziale, conferma la ghettizzazione culturale rappresentando la minoranza servendosi di stereotipi e appiattendone la diversità uniformando i comportamenti dei suoi membri a quelli occidentali.
In Black Panther il problema era evidente. Cioè per dire l’ovvio: i wakandiani sono una comunità tecnologicamente avanzatissima e che peraltro possiede la più grande riserva del più potente metallo nell’universo, ma comunque vivono in case simili a palafitte coi tetti in paglia.
In Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli quest’elemento è di gran lunga meno evidente, ma forse proprio per questo ancor più insidioso. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso, sia chiaro. La Marvel in ogni caso ci tiene a rassicurarci: anche ‘stavolta i cinesi hanno una tecnologia formidabile. Paura del nucleare, eh?!
E quindi wuxiapian. Che per chi non lo sapesse sono i film cinesi di arti marziali. Sì, tipo Bruce Lee e quelle cose là. Scusate il pessimo gioco di parole.
Che per l’appunto: fai un film su quello che diventerà un supereroe cinese e quindi per forza fa kung fu no? Mica i cinesi sono tutti Jackie Chan?
Ok, forse sto facendo troppo il cattivo. Anche perché l’elemento del wuxia in realtà è il più interessante di tutto Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli.
Le coreografie sono ottime e i combattimenti offrono dei momenti di buon intrattenimento. Diciamo che rispetto alla solita gente che si picchia e supereroi che fanno cose da supereroi è perlomeno una ventata d’aria freschina. Poi c’è sempre il tizio grossissimo che per l’occasione ha anche un machete al posto del braccio. In realtà è lui lo Chef Tony.
Correlato ai combattimenti c’è un netto miglioramento del montaggio, che è di gran lunga uno dei maggiori problemi dei film Marvel dall’alba dei tempi. Anche nei film più riusciti del MCU si è sempre lamentato un montaggio confusionario, in particolare nello svolgimento dei combattimenti. Una cosa che allo spettatore medio di un film Marvel interessa giusto un po’ meno di quanto agli occidentali stia interessando la sorte degli afgani. Ma questo è un altro discorso.
In Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli invece il montaggio è quantomeno decente, abbastanza da farti capire chi sta colpendo chi.
Per il resto la trama è quella tipica di presentazione di un nuovo personaggio nel pantheon del MCU. Anche se mi sembra evidente che come target ci si stia indirizzando sempre più verso “canoni Disney“.
La struttura tipica di un cartone animato Disney è quella del coming of age, cioè la storia di un personaggio imperfetto che intraprende un percorso di crescita per giungere infine a realizzarsi nel finale. Praticamente ogni film Disney ha questa struttura. Per dirne 3: Il re leone, La spada nella roccia, Hercules, ma la scelta è arbitraria.
Ecco, Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli segue perfettamente questo schema, che ha i suoi vantaggi se usato in maniera intelligente; e Shang-Chi ci riesce per metà.
Ciò che patiscono ormai tutti i film Marvel è l’estrema prevedibilità delle trame. Lo spettatore avvezzo a quest’universo è sostanzialmente in grado di prevedere, non tanto lo svolgimento dell’azione, quanto invece lo scioglimento dei nodi di trama. E anche in questo caso la regola vale. Cioè è palese che alla fine Shang-Chi otterrà i Dieci Anelli, è palese che riuscirà a sconfiggere i nemici; così come è palese che il padre di Shang-Chi avrà la sua redenzione e che la sorella lo perdonerà per averla abbandonata.
Tuttavia ciò non toglie che i personaggi di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli siano sopra la media per complessità e approfondimento psicologico.
Questo è il momento in cui vi parlo del padre di Shang-Chi, ma prima devo dirvi una cosa. Il padre di Shang-Chi È IL VERO MANDARINO. Ve lo ricordate, no? il terrorista di Iron Man 3, quello che teoricamente è interpretato da Ben Kingsley ma che poi si rivela essere solo un fantoccio per attirare Tony Stark. Bè, esiste davvero ed è il padre di Shang-Chi.
Ma non solo. Qui per la prima volta vediamo anche all’opera l’organizzazione dei Dieci Anelli, la stessa che rapisce Tony Stark in Iron Man e la stessa, di nuovo, presente in Iron Man 3. MA NON SOLO. Ben Kingsley torna nei panni di Trevor e vince la Palma al personaggio migliore del film. Solo perché è Ben Kingsley.
E quindi, il padre di Shang-Chi.
Ci troviamo di fronte un personaggio dalla complessità psicologica anche superiore al protagonista. Infatti Wenwu a.k.a. Il Mandarino non è un generico cattivo che è cattivo perché è cattivo o perché si deve vendicare della stronzaggine di Tony Stark. Anzi, credo che in questo caso definirlo cattivo sia anche sbagliato.
Sicuramente a livello narrativo svolge il ruolo del villain, ma non è cattivo, è solo disperato perché porta appresso un senso di colpa enorme: essere stato la causa della morte della moglie. Per questo motivo tutto il suo agire si configura nell’ottica di riportare indietro la donna amata, in quello che diventa un evidente delirio di onnipotenza. Per quanto sia standard come costruzione di un personaggio, è tanta roba all’interno dell’universo Marvel, che spesso offre personaggi bidimensionali.
Peccato poi che nella risoluzione del personaggio Wenwu venga un po’ buttato via. La fin troppo buonista – e quasi del tutto ingiustificata – redenzione con annesso sacrificio finale lascia un persistente amaro in bocca.
Wenwu è il personaggio che più di tutti contribuisce a caratterizzare proprio Shang-Chi, che è come se fosse marchiato dai peccati del padre. Ovviamente per risolversi come personaggio deve ripercorrere il suo passato, affrontarlo e infine riscrivere il suo futuro.
Qui si apre un tema molto interessante e per certi versi inedito nel MCU, ovvero il “diventa quello che sei”. Prendendo in prestito (male) la frase di Nietzsche Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli riesce ad aprire un discorso introspettivo sul suo protagonista. Anche qui seguendo uno schema abusato, cioè quello del personaggio fintamente soddisfatto della sua vita ma che in realtà ha bisogno di altro ed è qualcos’altro. Lo svolgimento della trama poi segue il “conosci te stesso” socratico e alla fine Shang-Chi diventa quello che è. Cioè un combattente di kung fu in sneakers.
Scusate, ma questo mi ha fatto ridere. Ho apprezzato il fatto che abbiano vestito Shang-Chi uniformandolo all’abbigliamento occidentale. Voglio dire vive a San Francisco, farlo vestire “da cinese” – ammesso che un’espressione del genere abbia senso – sarebbe stata una paraculata e una stupida ghettizzazione dell’immagine del cinese negli USA.
Però non bisogna neanche eccedere nel senso opposto. Nel momento in cui Shang-Chi indossa la tunica tipo-Samurai è veramente orribile e idiosincratico vederlo combattere indossando delle sneakers. D’altronde: egemonia culturale.
Fatemi tornare giusto due secondi sul discorso “canoni Disney”. Per quanto i film del MCU abbiano da sempre tenuto in considerazione anche un audience molto giovane, a me sembra che negli ultimi tempi si sia andati sempre più verso un’uniformazione al modello disneyiano. E in Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli ci sono almeno due strizzate d’occhio in questo senso. Ve le illustro.
Trevor a.k.a. Ben Kingsley ha un “animale domestico”, di cui al momento mi sfugge il nome, che io definirei un pollo-porco senza faccia con ali d’aquila fluo. Ecco. Questo simpaticissimo animaletto non è altro che una mascotte Disney. Per carità, nulla contro le mascotte Disney, le trovo meravigliose.
Un’altra strizzatina c’è nel combattimento finale, che peraltro è un disastro a livello narrativo. Qui c’è lo scontro tra i due draghi e quello buono è davvero molto simile al design creato per i draghi di Raya e l’ultimo drago. Ma in realtà assomiglia molto anche al maestro Haku in modalità drago volante. Resta il fatto che è bellissimo.
Per il resto regà niente da dire. Ovviamente ignorando le incongruenze narrative e il solito problema degli equilibri di forza che nella Marvel sono la regola e ha veramente poco senso mettersi a criticarli. Cioè è evidentemente ovvio che Shang-Chi non potrebbe mai nella vita battere suo padre 1 vs. 1, perché quest’ultimo ha gli anelli che lo rendono potentissimo. Però Shang-Chi vince lo stesso. Ok.
Ottimi effetti speciali, in particolar modo nel momento che io definisco “Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli diventa Narnia“, ovvero quando Shang-Chi e compagnia riescono a raggiungere il villaggio della madre in cui abitano, oltre a esseri umani, anche strane creature tipo leoni mezzi grifoni e cose alate non meglio definite.
Ma il premio agli effetti speciali per forza lo deve vincere il momento “Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli diventa Dragon Trainer“, perché il design dei draghi e l’effettiva messa in scena di tutta la sequenza di combattimento è altamente spettacolare.
Però.
In questa scena tutti i problemi di montaggio che finora il film era riuscito a evitare tornano a galla. Nel combattimento a terra tra la fazione di Shang-Chi e quella di Wenwu non si capisce un cazzo e sembra di vedere il combattimento finale di Endgame ma con meno gente. La cosa più triste è che il combattimento tra Shang-Chi e il padre, di gran lunga quello che dovrebbe essere il momento di maggior pathos di tutto il film, è moscio e girato malissimo, con delle scelte stilistiche – in particolare gli inutilissimi ralenti, conditi da una pessima recitazione – raccapriccianti.
Vi lascio il trailer del film qui. Qualcosa si muove ai Marvel Studios: ma ancora non si è capito in che direzione.
Ah già. Nel film compare Abominio. Ve lo ricordate? Il villain de L’incredibile Hulk interpretato da Tim Roth? In quanti hanno visto davvero L’incredibile Hulk? E in quanti si ricordano che Hulk era Edward Norton?
Ci sono anche Wong e, nella scena post-credits, Captain Marvel e Bruce Banner. Qualcosa mi dice che Doctor Strange sarà molto importante in questa Fase 4…