
Signori! La paura è servita. – la Trilogia degli animali
Venghino, signore e signori! Venghino! Avvicinatevi! Benvenuti allo zoo più terrificante del cinema! Lo zoo argentino… argentiano… d’Argento… di Argento! Insomma… avete capito!
Stiamo parlando della cosiddetta Trilogia degli animali di Dario Argento, dove troviamo in ordine L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio.
Alla faccia dello zoo…
Siamo agli inizi degli anni ’70 e con questi tre film viene segnato l’esordio alla regia del nostro Darione nazionale.
La Trilogia degli animali è una serie di tre pellicole di genere giallo/thriller che giustifica il suo nome con la presenza di animali nei titoli… e fin qui c’eravate arrivati tutti.
Da questo momento in poi Dario Argento inizierà a fare da scuola a livello internazionale, non solo nella scelta dei titoli (infatti in quegli anni compariranno almeno una quindicina di film che usano la stessa formula), ma anche e soprattutto per il perfetto abbinamento tra sceneggiatura, atmosfera, regia e musica.
Come è stato per Profondo rosso, questo articolo non vuole essere una minestra di spoiler, bensì (rimanendo in tema) una di quelle mosche fastidiose che ti ronzano vicino all’orecchio, una vocina che vuole incuriosirti e darti l’occasione per decidere finalmente se vedere queste pietre miliari del cinema oppure – ahimè – no.
L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO (1970)
Vai in Italia – mi avevano detto – lì non succede mai nulla…
Siamo a Roma. Sam Dalmas è un americano che si trova a lavorare per un istituto di scienze naturali. Un giorno, o meglio… una sera, assiste ad un tentato omicidio. Dalla vetrina di una galleria d’arte moderna vede una lotta tra due figure: una ragazza vestita di bianco e un uomo in nero con guanti, impermeabile e cappellaccio. La ragazza viene ferita e l’uomo riesce a scappare. Nonostante il caso venga affidato ovviamente alla polizia, nella figura del commissario Morosini (che vagamente somiglia all’ispettore Catiponda di Maccio Capatonda), Sam Dalmas decide di condurre parallelamente le sue indagini personali che lo portano di fronte ad un’inquietante quadro naif, che ricorda lo stile di Brueghel. Nel quadro è raffigurato l’omicidio di una giovane ragazza, nel mezzo di bosco innevato, da parte di un losco figuro con impermeabile e cappellaccio. Nel frattempo gli omicidi si moltiplicano e Sam è convinto che gli sfugga un particolare su quella sera alla galleria d’arte…
Liberamente tratto dal romanzo La statua che urla, si tratta di un brillante thriller per nulla scontato e, a mio parere, il migliore dei tre. La musica, firmata dal grande maestro Ennio Morricone, è glaciale e angosciante e conferisce al film un’atmosfera onirica parecchio fastidiosa, ma efficace per una perfetta resa dell’incubo nel quale vive il protagonista. Chiari riferimenti a Psycho, giustificheranno in seguito il soprannome ‘Hitchcock italiano’ appioppato sulle spalle di Dario Argento.
Vi starete chiedendo: in tutto questo potpourri dove sta l’uccello dalle piume di cristallo? Per non anticiparvi nulla, posso dirvi che il suo intervento sarà fondamentale per la soluzione del caso.
IL GATTO A NOVE CODE (1971)
Riassumendo, le tracce sono queste: i cinque ricercatori più Anna fanno sei; più Bianca Merusi fanno sette; le foto sparite… otto; e il tentato furto all’istituto… nove! Nove vie da seguire… un gatto a nove code.
Torino. Protagonisti della storia sono Carlo Giordani (giornalista), Franco Arnò (enigmista cieco) e la piccola Lori. Carlo e Franco giocano agli investigatori cercando di scoprire chi c’è dietro la morte di uno scienziato. Di mezzo c’è la sparizione di una fotografia scattata nel momento in cui lo scienziato veniva buttato sotto il treno. Inutile dire che le morti aumenteranno e con esse le piste da seguire. Come tema di fondo troviamo la ricerca di genetica intorno al cromosoma XYY, che parrebbe comparire solo nel DNA di soggetti predisposti alla devianza criminale…
Si tratta del film che dovrebbero far vedere sugli schermi di tutte le stazioni ferroviarie invece di mandare il solito disco “Allontanarsi dalla linea gialla”. La trama, seppur originale, sembra un pretesto per mostrare le violente scene di morte. Tensione e, spesso, malinconia vengono messe in risalto dalla colonna sonora del maestro Morricone. Vediamo sicuramente meno sangue rispetto a un film come Profondo rosso, ma si tratta di un thriller avvincente che passa direttamente attraverso gli occhi marroni dell’assassino.
QUATTRO MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO (1971)
Il film si apre con una performance degna di Whiplash che presenta il protagonista, Roberto Tobias, batterista. Per sbaglio uccide un uomo che lo seguiva da diverse settimane, ma tutto è stato architettato ad hoc, perché pronto a scattare la foto dell’incidente c’è un losco figuro coperto da una maschera infantile. Da quel momento la vita di Roberto diventa angosciante: questa mente malata lo segue ovunque, gli fa visita di notte, gli lascia copie della fotografia del delitto che ha commesso. Ma la cosa strana è che non si tratta di un ricatto. Già… niente soldi! Solo la voglia di farlo impazzire. Ma quando Roberto decide di assumere un investigatore privato i problemi sono solo all’inizio…
Nuova ed interessante storia e nuovi ritmi, che però tendono spesso ad allentarsi e a perdere di energia a causa di personaggi e scene inutili per la trama. Un film che poteva riuscire meglio togliendo un postino che non fa ridere, la fiera delle casse da morto, un Bud Spencer che puzza troppo di saloon e scazzottate, e un sogno premonitore che non trova il senso di esistere neanche e soprattutto dopo il finale troppo raffazzonato. Si salva la musica di Ennio Morricone che col suo stile inconfondibile aiuta a mantenere la suspence nelle uccisioni e una bella interpretazione dell’assassino che viene smascherato.
Cosa sono le quattro mosche di velluto grigio? Grazie ad un esperimento all’avanguardia sugli occhi di una vittima, la polizia riesce a vedere l’ultima immagine fissata sulla retina prima della morte: quattro mosche. Perché quattro e perché di velluto grigio? Beh, guardate il film!
Queste tre opere del regista romano ebbero un ottimo successo in Italia come negli States, ma Dario Argento era ancora agli inizi. La voglia di crescere e sperimentare era tanta e dopo questa serie fu la volta del grande successo di Profondo rosso, un prodotto ibrido, anello di congiunzione fra il thriller e l’horror, fra la Trilogia degli animali e la Trilogia delle tre madri.