Serie TV

Perché Silicon Valley è la miglior serie comedy sulla piazza

Farò una cosa che non ho mai fatto, giusto per vedere che effetto fa: inizierò questo articolo parlando della trama.

Richard (interpretato da Thomas Middleditch, alias “il tizio a cui Jonah Hill ingoiava il pesciolino rosso in The Wolf of Wall Street) è un giovane programmatore. Richard è timido, ansioso, insicuro, ai limiti del sociopatico. Richard lavora a Palo Alto, e precisamente alla Hooli, che, per intenderci, è tipo la Apple. Nonostante un lavoro sicuro e ben pagato nella più avanzata azienda tecnologica del mondo, Richard sogna di sfondare con una piattaforma che sta sviluppando in privato, Pied Piper, un fantomatico “google per la musica”  di cui ancora non si capisce bene l’effettiva utilità.

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Richard però sembra non accorgersi che l’algoritmo utilizzato da Pied Piper è un qualcosa di mai visto, poiché permette di comprimere i dati praticamente alla metà del loro volume senza però che ci sia alcuna perdita di qualità. Una bomba che potrebbe cambiare per sempre il mondo dell’informatica e della tecnologia. 

Ecco allora che Richard ha finalmente fra le mani la possibilità di creare la sua società, una società che avrebbe tutte le carte in regola per diventare grande quanto Facebook e Google. Riuscirà il timido e (apparentemente) debole Richard a far crescere la sua creatura, proteggendola dalle grinfie di coloro che vorrebbero portargliela via?

CEREBROLESI INFORMATICI? NIENTE PAURA

Avendo le conoscenze informatiche equiparabili a quelle di un pastore valdostano, ci ho messo un po’ a decidere di cominciare questa serie. Temevo infatti che Silicon Valley, serie comedy della HBO iniziata nel 2014 (tre stagioni, 25 minuti ad episodio), sarebbe stata difficile da apprezzare per uno che con la tecnologia è in guerra totale da sempre. Che poi è più o meno lo stesso principio che mi tiene attualmente lontano da roba come Mr. Robot e Billionsanche se in quest’ultimo caso si tratta di finanza.

Lo so, sono stupido.

Fortunatamente, grazie alle insistenze di un paziente collega, e grazie anche alla valanga di nomination agli Emmy che Silicon Valley colleziona ogni anno nella categoria miglior serie tv commedia (portando però a casa zeru tituli, visto che agli Emmy pare faccia figo premiare le commedie brasiliane o belghe), ho deciso di farmi coraggio e di iniziare questa storia.

Bene, cari minus habens del mondo tecnologico, che condividete con me il culto e l’adorazione per quel sant’uomo di Salvatore Aranzulla, sono qui per scaldarvi con un affettuoso abbraccio di comprensione e rassicurarvi: Silicon Valley è adatto anche a voi

Certo, la serie ovviamente scende molto sul tecnico, ma questo aspetto non è fondamentale per potersela godere al 100%. E quando invece l’aspetto tecnologico è cruciale per lo sviluppo della trama, questo è trattato in modo chiaro e preciso, in modo che, con un minimo di attenzione, nessuno rischi di perdersi per strada. Poi oh, se riuscite a capire tutte quelle seghe fra programmatori allora bravi voi, ma è proprio un lusso. Tipo avere sia Higuain che Icardi al fantacalcio.

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QUALCOSA DI PIÙ DI UNA SEMPLICE COMMEDIA

Come dicevo però, non è questo l’aspetto che rende grandioso Silicon Valley. Perché la serie HBO è praticamente perfetta in tutto.

Parlando di una serie comedy, prima di tutto bisogna giudicarla su una domanda: Fa ridere o no? Di più, fa ammazzare dal ridere.

Prendete The Social Network, fondetelo con la comicità senza freni di Seth Rogen, aggiungete un pizzico di Seth McFarlane ed avrete un’idea di quale sia il tipo di humor che caratterizza Silicon Valley. La quantità di trovate geniali, di sketch memorabili e di siparietti da lacrime agli occhi è semplicemente impossibile da contare. Se poi siete amanti delle volgarità spudorate, allora non potete proprio trovare di meglio in circolazione.

Tuttavia, nonostante la volgarità, Silicon Valley non scade mai nel fuori luogo, nell’imbarazzante, o nell’idiozia fine a sé stessa. Mi verrebbe da dire che si tratta di una “volgarità autoriale” (in questo senso, il finale della prima stagione è qualcosa di magico). E questo ci porta al secondo punto che rende eccezionale questa serie: il livello della sceneggiatura.

Sì perché, nonostante rimanga una commedia, Silicon Valley è anche qualcosa di più. Perché, a mano a mano che la serie prosegue, la storia cresce, matura, si stratifica. Ed improvvisamente non sono più solo le risate a rubare la scena, ma è l’aspetto più drammatico della vicenda quello che ti conquista veramente.

La storia di Richard e dei suoi amici, che si battono con le unghie e con i denti per realizzare il loro sogno nonostante l’incredibile quantità di sfighe e di ingiustizie che infrangono su di loro, riesce ad appassionare e a coinvolgere in maniera totalmente inusuale per il genere al quale la serie appartiene.

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E questo perché l’epopea di Richard non è altro che la storia di Davide contro Golia. La storia di quelli che, quando il buonsenso e il mondo intero gli intimano di farsi da parte, trovano la forza di piantarsi come un albero accanto al fiume del coraggio e rispondere “No, spostati tu” (questa chissà in quanti si accorgono da dove l’ho rubata…).

Insomma, detta in parole semplici: se si spogliasse Silicon Valley di ogni suo aspetto comico, trasformandola totalmente in una serie drammatica sulla nascita delle start up, ciò che rimarrebbe alla fine sarebbe comunque una storia con i controcazzi. Una storia che trasmette dei valori, degli ideali, dei sentimenti.

LA FAMIGLIA DI SILICON VALLEY 

In tutto ciò, non si può non parlare dell’eccezionale caratterizzazione dei personaggi, probabilmente il vero punto di forza di questa serie. L’intero roster di Silicon Valley è una spassosissima orchestra di gente assurda, ma allo stesso tempo impossibile da non adorare. Partendo dagli amici di Richard, dei quali farete fatica a decidere quale sia il vostro preferito, fino ad arrivare al villain della serie, l’irresistibile Gavin Belson, amministratore delegato della Hooli, che farà di tutto per arrestare l’ascesa di Pied Piper.

È però il microcosmo di Pied Piper ad entrarti definitivamente nel cuore. Fra i personaggi che lo popolano, non ce n’è uno che sia anche solo minimamente normale. Elrich Bachman (Todd Joseph Miller, chiamato anche “quello che reggeva la telecamera in Cloverfield”) il proprietario dell’incubatore, la casa in cui la società di Richard ha creato Pied Piper, è un narcisista egocentrico che riscrive da zero il significato di vanità. Tuttavia, proprio nel momento esatto in cui arrivi alla conclusione che Elrich sia il più egoista dei coglioni, ecco che gli sceneggiatori cambiano le carte in tavola, facendolo apparire per la persona di buon cuore che è in realtà.

Ecco perché, assieme a Richard, lo ritengo il personaggio più importante di Silicon Valley: perché ne racchiude l’essenza. Senza contare che è il mezzo ideale tramite cui gli autori si divertono a rappresentare le stravaganze della vera Silicon Valley.

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Ci sono poi i programmatori, il satanista laveyano Gilfoyle e il pachistano Dinesh, che passano il tempo a rompersi la minchia a vicenda, rendendosi protagonisti di siparietti strepitosi, ma che in realtà sono i migliori amici l’uno dell’altro, probabilmente senza accorgersene. Si chiude infine con Jared, il cuore organizzativo della società, che però, beh, ha giusto due o tre problemini dal punto di vista sociale.

Ritengo Silicon Valley la miglior serie comedy attualmente in circolazione, ed in generale una delle serie che più mi hanno sorpreso negli ultimi anni, per il semplice fatto che si è rivelata completamente di un’altro livello rispetto a quello che mi aspettavo. Una serie scritta come dio comanda, che è cresciuta ed è maturata di puntata in puntata, e che fortunatamente sta riscontrando un successo tale da convincere la HBO a rinnovarla per una quarta stagione.

Ed io spero che l’avventura di Pied Piper sia ancora lontana dalla sua conclusione, perché so che, quando tutto sarà finito, Richard e la sua folle compagnia mi mancheranno terribilmente.

E sono sicuro che, se inizierete questa serie, mancheranno anche a voi.

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Roberto Lazzarini

25 anni, cresciuto fin dalla tenera età a film, fumetti, libri, musica rock e merendine. In gioventù poi ho lasciato le merendine perchè mi ero stufato di essere grasso, ma il resto è rimasto, diventando parte di quello che sono. Sono alla perenne ricerca del mio film preferito, nella consapevolezza che appena lo avrò trovato, il viaggio ricomincerà. Ed è proprio questo il bello.
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