
Smetto quando voglio – Masterclass: essere pazzi è una qualità
Vediamo di parlarci chiaro: io preferivo di gran lunga Reloaded come titolo, soprattutto perché sarebbe stato seguito da Revolutions. E sono sicuro che lo preferiva anche il regista, Sydney Sibilia, però oh, le trame oscure della produzione cinematografica sono a noi ignote. Quindi va anche bene Smetto quando voglio – Masterclass, soprattutto se questa banda di matti riesce a tirare fuori un film così follemente bello.
Se faremo il sequel non ne faremo uno, ma il secondo e il terzo episodio insieme. Gireremo contemporaneamente il secondo e il terzo film […] il punto è che se vogliamo fare gli scemi, allora facciamo gli scemi bene. Funziona così. Si fa Reloaded e Revolutions. Se deve essere una operazione facciamo l’operazione più para-americana, becera che fa ridere. Fatta bene, ma becera.
Ecco, questo è quello che diceva Sibilia quando si paventava la possibilità di un sequel del primo Smetto quando voglio. Capite perché è bellissimo essere matti?
A voi che tremate per le anticipazioni lo dico subito: sarà una recensione spoilerz free, a sto giro faccio il bravo bimbo. Tra una pasticca di metanfetamina e l’altra posso anche permettermelo.
Quindi com’è sto Smetto quando voglio – Masterclass? Beh, più folle, imprevedibile e fuori dagli schemi del primo. Cioè, questi hanno usato un sidecar/macchina del Terzo Reich in un film con svastiche svolazzanti al seguito, solo ed esclusivamente applausi. Peccato che la gag era stata abusata nei trailer, ma resta comunque un colpo di genio.
Iniziamo dall’unico aspetto negativo (se così si può chiamare), così ci togliamo il pensiero. In Smetto quando voglio – Masterclass non si ride dall’inizio alla fine, ci sono tanti momenti simpatici, ma non è un continuo da lacrime agli occhi. In compenso però ci sono due scene davvero da lacrime agli occhi. Genuine proprio. Quindi il giochino vale la candela? Cazzo sì. Oh, un bel cazzo ci sta ogni tanto. Non fate battute please.
Perché tolta questa piccola pecca allora Smetto quando voglio – Masterclass scivola via nelle sue due ore come acqua ghiacciata ad agosto. In spiaggia. Dopo un pranzo a base di peperonata e friggitelli. Riesce a coinvolgerti così tanto che quasi non ti accorgi che è già finito, e ne vorresti ancora e ancora. Ma tanto sapete che Sibilia sta già girando il terzo, che a sto punto ha preso il titolo di Ad Honorem. Calzante, senza ombra di dubbio.
La trama di Smetto quando voglio – Masterclass ricalca ovviamente il primo, ma ribaltandone la storia: la “Banda dei ricercatori” è adesso al servizio della polizia, e deve trovare le nuove smart drugs debellandone la produzione. Avete capito bene, tutto loro, pure affrontare gli spacciatori. Per quello servono nuove leve, e su questo Pietro Zinni (Edoardo Leo) non transige: la banda si deve allargare, altro che Danny Ocean. I tre nuovi membri sono uno più sconclusionato dell’altro (com’è giusto che sia), ma il mio preferito resta quello zen. Basta. Non vi dico altro, chi sa, sa.
E poi, scusate per il piccolo inciso, è più forte di me, c’è l’amore della mia vita: Greta Scarano. In Suburra non avevo ancora capito di essermi innamorato (e nemmeno con la serie di Romanzo criminale), poi però In Treatment mi ha dato il colpo al cuore definitivo. Di una bravura pazzesca. Ho pure recuperato Senza nessuna pietà. Illegale, non c’è altro modo per definirla. Ora la smetto, perdonatemi. Il suo ispettore Coletti in Smetto quando voglio – Masterclass è una figura femminile con i controcoglioni, capace di tenere per i gioielli di famiglia tutta la banda e dire “ora fischiate”. Greta, se stai leggendo sappi che mi farei tenere per i gioielli di famiglia sei un’attrice fantastica e sono cotto di te. Ok, dignità persa, bene così.
Vediamo di recuperarla un minimo: la regia di Sibilia è perfetta per la situazione, ma riesce ad essere ficcante pure nelle scene d’azione. Tutta la “rapina al treno” è girata alla grande, usando benissimo camera car e quello che presumo fosse uno scorpio arm. Se mi sono sbagliato è solo perché volevo tentare la sortita sul tecnico per recuperare credibilità, sappiatelo.
Resta il fatto che tutta quella sequenza è una roba che il cinema italiano ultimamente si sogna. E io penso di sapere come sia andata nella testa di Sibilia: ah, quindi la gente rompe le palle perché dicono che ho copiato l’idea di Breaking Bad? Bene, ora nel secondo vi beccate pure la rapina al treno. Un folle genio, non si può che definirlo così.
Perché tolto il fatto che è una commedia, Smetto quando voglio – Masterclass ha una sceneggiatura scritta benissimo che regge dall’inizio alla fine. Soprattutto per il collegamento con il primo film (con tutte le chicche e i riferimenti annessi). I tre scrittori riescono ad infilarsi nelle pieghe volutamente lasciate dalla pellicola del 2014 per confezionarne una ancora più grande in termini di idee e pazzia. Se avessero deciso di renderlo un thriller sarebbe uscito comunque un prodotto di tutto rispetto. È lo stesso principio di Silicon Valley: puoi anche togliere le battute divertenti ma resterebbe comunque una roba che ti tiene aggrappato alla sedia/poltrona/divano/laqualunque.
Perciò lode lode lode all’ipnorospo a Smetto quando voglio – Masterclass, perché dimostra ancora una volta che le commedie italiane si possono fare bene, anzi, si possono fare molto bene. Registi come Sydney Sibilia sono una manna dal cielo, registi che hanno una visione e le palle di metterla in pratica. Poi vabbé, inutile stare a sottolineare la bravura di tutti gli attori, parla da sé. Edoardo Leo amo anche te. Non come Greta, intendiamoci, però ti voglio tanto bene, ecco.
Quindi che dire, fate un favore a voi stessi e al nostro Cinema (quello buono si intende) e andate a vedere Smetto quando voglio – Masterclass. Perché abbiamo bisogno di film così. Ma soprattutto abbiamo bisogno del terzo capitolo. Quando esce Ad Honorem?? Eh?! Che qui altro che L’Impero colpisce ancora. Ad Honorem sarà ancora più folle, spericolato, matto, geniale e fuori dagli schemi di Masterclass.
Scimmie fatte di Sopox mi danzano sulle spalle.