
Smetto quando voglio – Ad Honorem: Wachowski prendete appunti, da bravi
Parliamoci chiaro: ero l’unico convinto che Smetto quando voglio – Ad Honorem sarebbe stato un filmone? Perché giuro che non mi è mai passato per la mente un eventuale flop. Sibilia non poteva, gli era fisiologicamente impossibile, un po’ come una barzelletta di Silvio: tu sai benissimo che sta arrivando, la assapori, ridi e poi dopo ti senti sporco dentro. Almeno con Smetto quando voglio – Ad Honorem ti eviti l’ultima fase. Ma non divaghiamo, che qui c’è da chiudere una trilogia iniziata nel 2014, proseguita con Masterclass e terminata magistralmente con questo film. Oh già, magistralmente, me lo rimangio solo se in cambio mi fate ottenere un appuntamento con Greta Scarano (e sì, se ve lo steste chiedendo non sarà l’unica dichiarazione di amore incondizionato che le farò in questa recensione).
Perciò veniamo al film, che devo sbrodolare complimenti sulla tastiera a questa banda di matti, dentro e fuori lo schermo. Non farò spoilerz, ma se per caso fosse necessario li nascondo sotto la tendina così potete andare avanti a leggere. Che poi in realtà dovete prima correre al cinema, rapidi.
Solo una pecca avevo trovato in Masterclass: le risate. Siamo sempre in una commedia, ma durante il film si sorrideva senza mai scoppiare a ridere, tolti ovviamente i due momenti del fucile a onde sonore (o quel che cavolo era) e quando Libero De Rienzo salta sul treno. Lì mi hanno sentito fino a Belluno. Smetto quando voglio – Ad Honorem invece mantiene un filo di mandibola spalancata molto più continuo, tenendo allenate le guance dello spettatore. E, per fortuna, bruciandosi meno battute possibili con i trailer (come era successo con la spettacolare gita in macchina nazista del secondo capitolo). La gag migliore? Io punterei sui capi di imputazione per la rapina al treno, ma quel “oggi la mia anima è morta” mi ha spezzato.
Sibilia è riuscito, come nel primo film (se non di più, vista la piega che prende la storia), a mischiare perfettamente “epica” e divertimento. In una sola parola: I Guardiani della Galassia. Perché non prendiamoci per il chiulo (cit.), qua l’influenza di James Gunn si sente tutta, spruzzata con Edgar Wright a piacere. Sibilia l’aveva detto chiaro e tondo: se deve essere un’operazione facciamo l’operazione più para-americana, becera che fa ridere. Fatta bene, ma becera. E così è stato. Il mood brigitte bardò bardò della maggior parte dei film Marvel, vedi Natale ad Asgard, è sintetizzato per il pubblico italiano: sceneggiatura solida, risate continue, consapevolezza.
Perché Smetto quando voglio – Ad Honorem sa cos’è, e ci gioca nei momenti in cui serve, quando deve smorzare i toni seriosi di alcune situazioni che, vista la caratterizzazione dei protagonisti, risulterebbero grotteschi. Sibilia sa perfettamente come mescolare, creando il composto chimico perfetto: drogarsi non è mai stato così soddisfacente. Io lui me lo immagino come un bimbo felice perché è Natale tutti i giorni, solo che invece dei giocattoli ha un attore più in parte dell’altro, un camioncino che si ribalta (iniziare così un film è da applausi), una penna fluida da sceneggiatore e la possibilità di lavorare con la futura madre dei miei figli (ciao Greta, un caloroso saluto).
Quindi non stiamo a ribadire quanto la banda dei ricercatori sia sempre splendida da vedere, perché sarebbe come cominciare a farci i pompini a vicenda. Bellissimo invece il direttore del carcere, unica vera new entry che aggiunge splendidi momenti comici e, sia lodato Sibilia, cita Ombre rosse di John Ford. Che per un cinefilo (o presunto tale), ha lo stesso effetto di Egidio sulla Monaca di Monza. Ah, continuando a tirare in ballo citazioni: Sibilia omaggia sia l’iconico “Not Penny’s Boat” di Lost sia uno dei momenti più importanti de Il cavaliere oscuro di Nolan, ricreando la stessa identica scena (con lo stesso identico rallenty). Sydney ti voglio un bene che non puoi capire.
E poi gente, battute a parte Smetto quando voglio – Ad Honorem ha una scrittura con i controzebedei. Mi ripeterò, ma vale sempre lo stesso discorso di quel capolavoro di Silicon Valley: togli la comicità e resta sempre una sceneggiatura fatta come Hitchcock comanda. Ok ok, non è che sto paragonando il film a Hitchcock, sto paragonando lui a Dio. Cioè, vogliamo parlare di quanto si ricolleghi perfettamente sia a Masterclass che al primo film? E sono sicuro che, quando farò una maratona per rivederli (perché così deve essere), troverò mille altri dettagli che mi erano sfuggiti: Sibilia ha costruito un piccolo formicaio svizzero e nessun bambino stronzo lo sommergerà d’acqua. Cioè in Smetto quando voglio – Ad Honorem si va a ripescare una delle prime scene di Smetto quando voglio che sembrava inutile e messa lì solo per creare una gag, e invece…
Invece tutto ingrana bene. Tutto tutto? Eh, diciamo che la presenza scenica di Luigi Lo Cascio è perfetta, quando apre bocca e tenta il tono drammatico da big bad guy un po’ meno. Cioè, prendiamo Neri Marcorè e il suo bellissimo Murena: Marcorè sembra un cattivo tanto quanto Iva Zanicchi una europarlamentare, però il personaggio viene spiegato ed è incredibile come il suo essere cattivo risulti efficace, in linea e sì, temibile. La backstory di Lo Cascio invece, molto classica, funziona, però un personaggio così pronto a fare quello che vuole fare (e sfido chiunque a non essere un po’ d’accordo con lui), forse viene depotenziato dalla prova attoriale. Però anche sticazzi, no? Tanto c’è la Scarano (anche se per poco, mannaggia). L’unica cosa su cui ho storto il naso veramente ve la metto sotto spoiler, così aprite a vostro rischio e periglio.
Ma sono davvero piccole cose per trovargli qualche difetto e fare gli spaccaminchia, che a noi “critici” viene bene. Smetto quando voglio – Ad Honorem è un film praticamente perfetto che rivedrei sempre e comunque, così come tutta la saga.
Anzi, ora che ci penso due difetti ci sono:
- se i due sequel si fossero chiamati Reloaded e Revolutions staremmo parlando di storia del cinema (ma sono convinto che Sibilia si sia battuto fino alla fine per mantenere questi titoli).
- io e Greta ancora non abbiamo comprato casa assieme dove invecchiare. Bisogna anche darsi una mossa.
Oh, ridendo e sterminando scherzando abbiamo finalmente una trilogia italiana degna di questo nome. Grazie Sydney, se stai leggendo sappi che ti voglio bene.