Film

Snowden: patriottismo e paranoia secondo Oliver Stone

Presso il sottoscritto, Oliver Stone gode di parecchia stima. Ora, sono abbastanza convinto che nessuno irromperà nell’ufficio di Oliviero gridandogli “Oh c’è Cassidy che parla bene di te!”, però ci tenevo a dirlo.

Stone è un regista sempre riconoscibile, non si parla mai abbastanza del suo talento di sceneggiatore ed è uno che quando distribuivano la personalità è passato a fare il bis, a volte tende al retorico (World Trade Center del 2006 in questo senso è un apice) e, come quasi tutti i miei registi preferiti, fatica a trovare fondi per girare i suoi film.

Snowden sembra fatto dal sarto per essere diretto da Oliviero Pietra, inizia con un allenamento militare, piazza due stoccate ai presidenti (il suo “amato” George Dabliù in particolare) e unisce il cinema al taglio quasi documentaristico degli ultimi lavori del regista ma, soprattutto, è un film che parla di politica, politica estera e policy, intesa come quella sulla privacy.

Il film, scritto dallo stesso Stone, è tratto da due libri, The Snowden Files di Luke Harding e Time of the Octopus di Anatoly Kucherena. Ci mostra le vicende di Edward Snowden, super tecnico informatico ed ex agente della CIA, principale responsabile della rivelazione sul programma di intelligence del governo americano che legittimava intercettazioni telefoniche per giustificare la sicurezza nazionale; e se c’è una cosa che i nostri (tormentati) tempi moderni ci hanno insegnato, è che le parole “sicurezza nazionale” rendono legittime un sacco di azioni, molte anche moralmente dubbie, per utilizzare un largo giro di parole.

“Soldato quattrocchi! Come pensi di vincerla questa guerra stando davanti al computer!”.

Nei panni di Snowden troviamo Joseph Gordon-Levitt che, anche qui, risponde presente con una buona prova di recitazione e, siccome il ragazzo non ha mai fatto segreto di stare studiando per passare dall’altra parte della macchina da presa, qui ha avuto l’occasione di aggiungere anche Oliver Stone tra la rosa di registi che ha potuto vedere al lavoro su un set cinematografico.

Bisognerebbe dire che Snowden, arrivato dopo il documentario Citizenfour di Laura Poitras, corre il rischio di risultare ridondante, anche perché il tema era già stato trattato con un ritmo da thriller proprio in quel documentario che, per altro, aveva anche la capacità, non secondaria, di farti salire una buona dose di ansia, nei confronti della tecnologia che utilizziamo a palate ogni giorno.

Stone, però, non perde un colpo, anche se la prima cosa che mi ha colpito è stata un dettaglio, forse secondario: avete visto che razza di strambo cast ha questo film?

A parte il figlio di Clint Eastwood, che stanno cercando d’infilarlo in ogni tipo di pellicola possibile e immaginabile per ricordare al mondo la sua esistenza (anche come attore), il ruolo del mentore di Snowden, Corbin O’Brian, è ricoperto da Rhys Ifans, uno che è più facile incrociare in qualche commedia che in un thriller come questo e, tra l’infilata di facce note in ruoli più o meno grandi (Melissa Leo, Zachary Quinto e Tom Wilkinson), spunta visibile come delle scarpe marroni su un completo nero Nicolas Cage, in una parte da eccentrico, ma stranamente abbastanza nelle righe. Vuoi vedere che Stone è uno dei pochi in grado di tenere il buon Nicola?

“Non mi ricordo nemmeno più l’ultima volta che ho rifiutato un film”.

Nel ruolo ingrato della fidanzata del protagonista, troviamo Shailene Woodley, che mi dicono essere famosissima per la serie di film Divergent, ma personalmente la ricordo solo per (NON) essere stata la Mary Jane dello Spider-Man sbagliato, quello di Marc Webb. La nomina di Shailene per il ruolo della storica fidanzata dell’uomo ragno è stato preso bene dai fan, c’è ancora Leo Ortolani che se sente il nome della ragazza mette mano alla pistola!

Non posso certo dire che mi sia sembrata fenomenale nella recitazione (anzi), ma se non altro copre il ruolo decentemente e, per fortuna, Joseph Gordon-Levitt rende tutte le scene con lei guardabili, contribuendo con il suo talento.

“Sarei stata così male come Mary Jane?” , “Tanto non se ne sarebbe accorto nessuno, il film faceva pietà”.

Dico sempre che il cinema degli Americani è forse l’unico posto in cui riescono a elaborare la loro storia anche recente: Snowden è un thriller diretto con mano ferma e lo si vede specialmente nelle scene in cui la suspense aumenta, ma soprattutto è ben scritto, basta sentire come filano i dialoghi, una delle vere specialità di Oliver Stone.

Inoltre, è una pellicola in grado di farti riflettere su temi grossi: è giusto rinunciare ad un po’ della nostra privacy online, per essere al sicuro da un possibile attacco terroristico? Fin dai ninja utilizzati nel Giappone feudale, durante una guerra, chi è in grado di avere informazioni sul proprio avversario ha un vantaggio tattico invidiabile e per quanto io vada giù di testa per il ninjutsu, il mondo cambia, la tecnologia si evolve, ma la guerra resta sempre la stessa.

Il nuovo fronte di battaglia è quello dell’informatica: più il protagonista scopre cose, più la sua (e la nostra) paranoia aumenta, costringendoci anche a riflettere. Quindi da questo punto di vista Snowden è un film impegnato che sembra nato per concludersi con la scritta “Directed by Oliver Stone”.

“Adesso ve la faccio passare io la voglia di giocare con questi cosi”.

Bisogna dire che, nei suoi 134 minuti di durata, il ritmo non è sempre pesche e crema, in alcuni passaggi il protagonista, estremamente paranoico, decide di fidarsi ciecamente di un gruppo di giornalisti, sembra quasi un omaggio del regista ai documentaristi di cui fa parte. Ma forse il difetto più grosso è il monologo finale, in cui Joseph Gordon-Levitt cede il ruolo di Edward Snowden al vero Edward Snowden nei panni di sé stesso.

Snowden è un film che pare quasi voler fornire un servizio al pubblico, ovvero quello di tenerlo aggiornato sui fatti reali e su un argomento non facile Nel finale la retorica di Oliviero Pietra torna a grattare la porta. Mettiamola così: anche se il monologo finale del vero Edward Snowden è ben scritto, continuo a tenermi stretto quello Barry Champlain in Talk Radio, un capolavoro di Stone di cui nessuno parla mai.

Mentre scorrono i titoli di coda sulle note della ottima “The Veil” di Peter Gabriel si arriva a fine film, certo, forse con qualche lungaggine di troppo e un ritmo non sempre serrato come durante le scene di suspense, però è impossibile non pensare a dettagli come: beh, dai, in fondo ho sempre fatto bene a ruotare la web cam in direzione della parete, anche quando il mio computer è spento. Pensavo di essere paranoico, ma in questi complicati tempi moderni, la paranoia è il prezzo da pagare per il (vostro) nuovo patriottismo?

Oliviero, sei sempre tu il regista dei temi e le domande scomode ed è anche per questo che ti meriti palate di stima.

Cassidy

Cresciuto a pane e cinema, alimentato a birra e filmacci, classe 1983, si fa chiamare Cassidy, e questo già vi dice dei suoi problemi (mentali). Ora infesta questa pagine, di solito si limita a fare danni sul suo blog "La Bara Volante".
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