
Soldado: una buona puntata di transizione in una serie tv
Quando è stato annunciato che Stefano Sollima avrebbe diretto il sequel di quel capolavoro di Sicario mi sono esaltato. Poi ho pensato subito: ma Sicario ha davvero bisogno di un sequel? Ecco, finché non sono andato a vedere Soldado la mia risposta è sempre stata un sincero “no”. E dopo averlo visto? Beh, sempre no. Eh.
Togliamoci subito il dente: Soldado è una variazione sul tema di Sicario. Non è un brutto film, intrattiene, si lascia guardare eccetera eccetera, ma resta lì, appeso a un ingombrante passato che lo sovrasta sempre e comunque.
Quindi andiamo a vedere quali sono i problemi di Soldado, e perché chi non ha visto il filmone di Villeneuve lo potrebbe probabilmente apprezzare più del sottoscritto. No spoilerz, promesso.
È inutile girarci attorno: l’ombra di Sicario si staglia su Soldado inquadratura dopo inquadratura. Se me lo vendete come un sequel diretto io devo per forza collegarlo e compararlo al primo capitolo. Soprattutto se i personaggi sono gli stessi (ottimi) già diretti da Villeneuve.
Brolin e Del Toro tornano in pompa magna: sempre gigioneggiante in ciabatte il primo e con lo sguardo che ti taglia le viscere il secondo. Approfondiamo (ma neanche troppo) il loro rapporto, un misto di rispetto reciproco e sangue schizzato, dove le parole non servono: ne bastano poche, soltanto quelle giuste. Il problema? Manca una Kate Macer. Perché il personaggio interpretato da Emily Blunt in Sicario era il nostro biglietto da visita per quel mondo, una finestrella orridamente aperta per il pubblico in modo che anche noi, al sicuro nelle nostre case, potessimo guardare gli orrori che sfregiano il Messico. In Soldado c’è un tentativo in questo senso con la figlia del boss, Isabela, ma resta troppo sullo sfondo, appannato da un susseguirsi di eventi che non ti lasciano il tempo di respirare.
Perché finito il film la sensazione è purtroppo questa: Soldado sembra proprio una puntata di transizione di una serie tv. Abbozza robe qua e là, personaggi, sottotrame, convinto di un terzo capitolo che chiuderà un cerchio già ampiamente blindato nel primo. Forse nella mente di Taylor Sheridan, già sceneggiatore di Sicario e anche dietro la macchina da presa di Hell or High Water e Wind River, dicevo, nella sua mente c’era già una trilogia, ma è come voler sfilacciare una storia che aveva già dato quello che doveva, sfruttandone i personaggi splendidi e l’ambientazione cosparsa di vetri rotti intrisi di peste nera ovunque si cammini.
E Sollima? Il nostro caro Sollima a cui voglio davvero tanto bene? Ci mette tutto il suo, ma ho visto molta più autorialità in Suburra. Anche in questo senso Soldado soffre, soffre il confronto con Villeneuve, troppo ricalcato da Sollima e dai suoi movimenti di macchina, a volte quasi identici (la squadra tattica che si avvicina alla casa, per citarne uno). È una regia potente, nulla da dire, ma che troppo spesso si accontenta della copia carbone senza provare a scostarsi veramente dal passato. E la scena in cui Del Toro scarica quattrocentomila pallottole su Platinette senza parrucca è una tamarrata nostra, me lo sento.
E poi, lasciatemi dire almeno una cosa sulla trama. C’è un momento, che chi ha visto il film capirà, che definirei il momentovabbèciao. Una roba che ho provato a giustificarmi nella testa più volte, e che mi sono reso conto che scricchiola peggio di una cadrega morsicata male. Arriva verso la fine del film, e tu lo guardi e non hai altre opzioni vocali: “seeeeh vabbè ciao”. Il momentovabbèciao intacca una sceneggiatura ben costruita, nonostante tutto, sporcata da un elemento estremamente tirato per i capelli che, purtroppo, risulta cruciale per la trama, soprattutto in vista di un terzo capitolo. Taylor, ma che davvero?
Perciò alla fine cosa resta? Un film che sbocconcella qua e là, intrattenendo dall’inizio alla fine ma senza incidere mai veramente, se non dal punto di vista dell’azione fine a sé stessa. Persino il pretesto iniziale, da cui tutto prende le mosse, viene abbandonato, nonostante il suo enorme peso nella nostra contemporaneità, riducendo Soldado a uno spara spara pieno di stereotipi che fa esattamente quello che racconta: alza un polverone enorme senza riuscire a cambiare nulla.