
Somnia: il sonno dell’horror genera noia
Il mondo dell’horror ormai è più o meno nelle stesse condizioni della Nazionale italiana di calcio. Chiarisco il concetto: i giocatori convocabili sono pochissimi, e quelli veramente forti ancora meno. Di conseguenza, quando un giovane sforna inaspettatamente una stagione al di sopra delle aspettative, ecco che per le strade la gente comincia ad inneggiare al nuovo campioncino azzurro. “Finalmente un top player italiano!”, “Eh ma questo vale già 50 milioni”, “Sarà il perno della Nazionale ai prossimi Europei/Mondiali”.
Purtroppo, il più delle volte le lodi sono più un’espressione di speranza che di effettiva fede nelle capacità del nuovo prospetto. E puntualmente, al primo vero appuntamento internazionale di rilievo, il nuovo presunto fenomeno prende una facciata dritta sui denti.
E se l’Italia calcistica è alla continua ricerca di una nuova generazione di campioni dalla quale ripartire, lo stesso vale per il mondo dell’horror, tristemente soffocato da un numero infinito di prodotti squallidi e mediocri, sequel, remake, reboot e spazzatura varia. Ecco perché quando spunta sulla scena un nuovo regista appassionato e di (presunto) talento come Mike Flanagan, l’horror fan non può che rizzare le orecchie e scodinzolare.
È il 2013 quando il buon Mike porta al cinema Oculus, rielaborazione di un suo cortometraggio basato su uno specchio maledetto che porta la gente ad impazzire e ad uccidersi. Ricordo che andai a vederlo senza avere uno straccio di informazione sul film e ne rimasi davvero sorpreso. Oculus si rivelò inaspettatamente un film originale, ben recitato e pieno di pura tensione, roba che ormai al cinema si trova assai raramente. Insomma, uscito dalle sale, avevo già inserito Flanagan nella lista dei buoni.
“Dai che magari abbiamo trovato un nuovo autore horror di rilievo, dopo che James Wan si è rincoglionito fra un Fast and Furious e un sequel di troppo”.
Tutto sto pippone introduttivo per farvi capire quanto mi sia avvicinato a questo nuovo Somnia con attesa e speranza. Risultato? Temo che Flanagan non sia il nuovo Del Piero.
L’idea alla base di Somnia è sicuramente accattivante. Cody (il gagno tanto caruccio di Room) è un piccolo orfano, all’apparenza un bambino perfetto, che si ritrova rimbalzato da una famiglia all’altra che neanche gli ubriachi molesti in discoteca. Il motivo? Quando dorme, i suoi sogni prendono vita. E finché Cody sogna gigafarfalle coloratissime va anche bene, ma quando poi i suoi sogni diventano incubi, e a materializzarsi è l’Uomo Cancro, allora cominciano i cazzi.
Insomma, un problema difficile da gestire per chiunque abbia la sfiga di ritrovarsi questo pargoletto in casa. Cody viene così affidato Jessie e Mark, una coppia che ha appena perso tragicamente il figlio, affogato nella vasca da bagno (in circostanze che fanno francamente dubitare dell’intelligenza del bambino, se posso permettermi). Il dono/maledizione/problema di Cody non tarderà a manifestarsi, e se all’inizio la magia verrà accolta con meraviglia dai nuovi genitori, ben presto le cose cominceranno a farsi ben più problematiche.
Purtroppo, i pregi del film rimangono quasi tutti racchiusi nello spunto iniziale. Ci si accorge presto infatti che Somnia non sia tanto un horror quanto piuttosto una favoletta dalle tinte dark. Se infatti la sceneggiatura di Oculus era permeata da un’inquietudine strisciante che cresceva con il passare dei minuti, la nuova opera di Flanagan non riesce né a spaventare né ad inquietare, ma rimane in un bizzarro limbo emotivo nel quale, francamente, sono riuscito a trovare ben poco di buono.
Gli unici momenti in cui l’elemento horror prende il sopravvento sono inoltre i peggiori di Somnia, poiché fotocopiati largamente dalla sagra del già visto. L’unico elemento di novità, rappresentato dall’Uomo Cancro, fallisce clamorosamente nel tentativo di impressionare. Detta in parole semplici: fa ridere i polli. Purtroppo, Flanagan cade nell’errore nel quale cadono giornalmente decine di registi horror: mostrare l’orrore.
È una regola di base dell’horror: più mostri la fonte della paura, più quella perderà potenza, poiché sarà soggetta a razionalizzazione, e di conseguenza sarà esposta a ridicolizzazione e più che probabile presa per il culo. Vedi Babadook, nel quale è proprio la presenza-assenza dell’uomo nero a instillare il terrore nello spettatore. L’Uomo Cancro ci viene invece sbattuto in faccia come un pupazzone in misto plastica e CGI che fa più tenerezza che altro.
Forse nel tentativo di rimediare alla piattezza del tutto, Flanagan cade anche nel mezzuccio in cui cadono i registi privi di talento: jump-scare a tradimento abbinati a volume spaccatimpani. Trucchetti che erano vecchi già nel secolo scorso, e che mal si sposano con la trattazione fiabesca della storia. Dai Mike, puoi fare di più di questa robetta elementare.
Fra un’apparizione e l’altra del mostraccio, il film si trascina a fatica, soprattutto nella seconda metà. Il risultato è che la storia perde presto interesse, in costante attesa di un momento topico che non arriverà mai. E quando poi Somnia prende la via dell’ “indaghiamo sul passato del bambino per scoprire i suoi orribili segreti” la tentazione di farsi un sonnellino è forte, soprattutto perché in questo film i personaggi passano la metà del tempo a sbadigliare e a dire che hanno sonno. Cosa che non aiuta se stai guardando il film al secondo spettacolo.
Fra bizzarrie di trama e momenti mah (alla scoperta del dono del bambino, i genitori si stupiscono all’incirca per 4 secondi) il film si avvia stancamente alla sua conclusione, in un finale nel quale Somnia si spoglia totalmente dei suoi residui horror rimasti per abbracciare totalmente la piega fiabesca della quale era sospettato fin dall’inizio.
Non è proprio tutto da buttare in Somnia, nel quale si può trovare qualche aspetto interessante, come la trattazione del dramma della perdita di un figlio, o come la delicatezza del finale. Prese singolarmente, certe cose sono anche ben fatte, ma è l’impianto generale del film che proprio non funziona, in quanto non riesce mai a prendere una direzione netta fra l’horror e la favola.
Più dell’impostazione fiabesca presa dal film, che può anche essere gradita, il problema a mio avviso è proprio il pasticcio fra i due generi che viene a crearsi, e che rende Somnia un ibrido che non riesce ad essere né spaventoso né affascinante.
Somnia rimane a mio avviso un esperimento poco riuscito di un regista di talento, che spero di rivedere al più presto alle prese con un horror puro.
E soprattutto Mike, ascolta me: basta mostracci plasticoni. Perché o sei Guillermo del Toro o ti prendi solo pernacchie.
P.s. Se gli horror sono la vostra passione, fate un salto dai nostri amici di Horror Italia 24!