Film

Spider-Man: Homecoming ci regala il Peter Parker perfetto… per il MCU

Non ricordo di preciso quanti anni avessi. Sul cartonato c’è scritto 2002, quindi probabile che me l’abbiano comprato quando ne avevo dieci. Scusate, a volte vado oltre con il flusso di coscienza, le tare mentali, eccetera eccetera. Ripartiamo. Sto parlando di un manuale cartonato gigante (almeno, gigante per il nanetto con la faccia da schiaffi che ero allora), dell’Uomo Ragno, a cura di Tom DeFalco (storico fumettista statunitense) con prefazione di Stan Lee. Un bignami zeppo di tutto quello che c’era da sapere per un ragazzino che di Spider-Man aveva solo alla mano le robe del momento, dato che soldi suoi per recuperarsi le avventure vecchie manco per il pene e chiederli ai propri genitori significava la classica risposta paterna: “Edoardo, ti do l’esclusiva. Escludo di poterteli comprare”. Perciò giù a studiarmi tutto quel manualone, fino a conoscere come le mie tasche Molten o i vari alter-ego di Peter (Ricochet mi piaceva un casino).

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MA! Mi direte voi, perché questo pippone iniziale? Per due motivi. Il primo è sostanzialmente per farvi avere una vaga idea del mio amoretotaleincondizionatoassoluto per l’Uomo Ragno. Il secondo, ironia della sorte, perché il primo stupendo film di Raimi usciva proprio nel 2002 (superato in bellezza solo da quel capolavoro del sequel, cascando poi rovinosamente con il terzo). Già, scusate, c’è anche un terzo motivo: sono esattamente tredici anni che aspetto un bel film sul mio supereroe preferito. Poi è arrivato Spider-Man: Homecoming. La Sony che va da mamma Marvel manco fosse il Muro del Pianto e, finalmente, il MCU che si riprende un pezzo del Tessiragnatele.

Sono andato al cinema con una certa scimmia, lo ammetto. Cioè, vi parla uno che si ricorda ancora il trucco da inserire per sbloccare tutti i costumi nel fantastico gioco di Spider-Man per la PS1 (era “EEL NATS” e io, da stronzo, usavo sempre il costume di Capitano Universo). Perciò avevo un paio di King Kong che ballavano la polka sulle mie spalle.

Quindi ciancio alle bande, diamo inizio alle danze, che devo mettere nero su bianco tutto il frullare di follia che ho in testa al momento dopo averlo visto sto benedetto Spider-Man: Homecoming.

USCIRANNO SPOILERZ DALLE FOTTUTE PARETI, SIETE AVVERTITI.

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Già, perché ho fatto lo splendido con l’introduzione amarcord, ma ora da dove cavolo comincio? Iniziamo da Peter allora, che tanto l’avevamo già assaggiato in quel capolavoro di Civil War. Tom Holland è fantastico. Madonna mi sento un peso che si toglie, l’ho detto e non me lo rimangio. È esattamente come saremmo noi, a quindici anni, trovandoci un costume regalato da Tony Stark: dei completi idioti convinti di poter salvare il mondo. Peter scherza, corre, scazza, fa una minchiata dietro l’altra perché non potrebbe essere altrimenti. Spider-Man: Homecoming è il continuo cadere a terra dell’eroe seguito dalla sua tenacia a rialzarsi, un elettrocardiogramma che non smette mai di sfrecciare sul monitor.

Ed è pure estremamente credibile nella sua fumettosità, anche se qualcuno potrebbe non digerire la roba teen dal gusto molto retrò (pare che Breakfast Club sia stato preso a modello dal regista, Jon Watts). Ma finché sono i casini adolescenziali di Peter Parker posso anche sorbirmene all’infinito, mi brillavano gli occhi ogni momento.

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A parte Flash. Flash no, porco demonio. Non me ne frega nulla che non è il biondo palestrato capitano della squadra di football più altri sette stereotipi messi assieme. Perché se c’è una cosa che quella merda gorgogliante di Fantastic 4 ha insegnato è che, se l’attore è bravo, il personaggio può discostarsi dalla sua controparte fumettistica in tutto e per tutto. Quello però non è il mio Flash, punto e basta. Flash non è soltanto il figlio di papà con tatuato #riccanza sul buco del culo, è un personaggio pregno di tanti significati, sia per Peter che per Spider-Man. Oh, magari mi smentiscono con i prossimi film, ma io quella faccia di merda non lo chiamerò mai Flash.

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Poi vabbè, vogliamo inchinarci tutti di fronte a sua maestà Michael Keaton? Tralasciando le battute sul fatto che è passato dall’essere l’uomo pipistrello, a Birdman e infine all’Avvoltoio… cazzo, che personaggio. Brutale e dolce allo stesso tempo, consapevole della sua piccolezza come cattivo. Sa di dover volare basso (dieci frustate per questa, me le merito), perché deve stare lontano dai radar, deve provvedere alla sua famiglia senza rotture avengerose tra i maroni. Ma quando Icaro si avvicina troppo al sole… è la storia più vecchia del mondo, sì, ma è anche dannatamente vera. A sto giro non rimpiango il vecchio catarroso con la pelata e la tutina verde pisello.

E quella scena gente, la scena in macchina quando li accompagna al ballo. Una tensione pazzesca, gestita alla perfezione da Watts che passa in maniera sincopata ai primi piani di Peter e Adrian man mano che lui si accorge dell’identità del ragazzo. Ok, il colpo di scena era dettato da esigenze di trama, però ti piglia allo stomaco senza che tu te ne possa accorgere.

Continuiamo con la carrellata di cose fatte benissimo? Tanto avrete capito che c’è un “ma” in agguato pronto a sbranare la gazzella del capolavoro.

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Tony Stark gestito in maniera corretta. I trailer criminali per fortuna non hanno nulla a che vedere con la presenza dell’omo de fero in Spider-Man: Homecoming.

Le gag con Happy sono una più bella dell’altra. Ah, sì, io adoro Jon Favreau, ma pure tanto.

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Che bello che è Ganke, ehm, no, scusate, volevo dire Ned. Preso esattamente dall’Ultimate Spider-Man di Miles Morales, si rivela essere la spalla (comica e non) perfetta per Peter. E poi ricostruisce una Morte Nera di Lego da lui precedentemente distrutta. Rispetto.

A “l’affare Gargan” ho urlato. Forte. Mac Gargan, aka lo Scorpione, una delle nemesi più grosse del Ragno. Tiratelo fuori nel prossimo con un costume figo come quello dell’Avvoltoio e piangerò di gioia.

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E vogliamo parlare di Aaron Davis (qui interpretato dal rapper/sceneggiatore/laqualunque Childish Gambino/Donald Glover)? Cioè Prowler? Cioè lo zio di Miles Morales? Che viene pure citato: “ho un nipote anche io nel quartiere”. Scimmia.

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E le citazioni gente, gli omaggi. A Raimi (quando Spidey “surfa” tenendosi con le ragnatele al camion, o quando evita le ali dell’Avvoltoio, per non parlare di come tenta di salvare la nave); a Burton (l’Avvoltoio che arriva come Batman); l’iconica scena di Peter che alza le macerie sopra di sé. Wow. Solo wow. Perché era lì che aspettava di essere tirata fuori e, quando ha iniziato a crollare tutto nel covo di Toomes, il mio sfintere si stava stringendo mentre ripetevo “dai che ora la fanno, dai che ora la fanno”. E l’hanno fatta eccome.

Ecco, ci siamo.

IL GARGANTUESCO “MA” DI SPIDER-MAN: HOMECOMING.

(mi è sempre piaciuto l’aggettivo “gargantuesco”, succede raramente di poterlo usare in una frase).

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Perché purtroppo è innegabile. Questo Peter Parker è perfetto… per il Marvel Cinematic Universe. Ma non è davvero Peter Parker. Vediamo di parlarci chiaro fin da subito, perché questo è un problema soggettivo nella sua oggettività. Non c’è rimorso in Spider-Man: Homecoming, non c’è il senso di sconfitta che attanaglia Peter, quella consapevolezza di “è colpa mia, ho sbagliato io, se la gente scopre chi sono finisce male a causa mia”. Lungi da me volere l’ennesima morte di zio Ben, ma davvero ci si sbologna la lezione più grande di tutta la Marvel con un “dopo quello che mia zia ha passato”? No ragazzi, troppo poco. E in tutto questo c’è pure lei, la Marisa ToMay (#simpatia) che ha un rapporto easy con Peter, estremamente lontano dalla viscerale unione di quello cartaceo. Sono solo piccoli problemi di cuore adolescenziali, perché May potrebbe portarsi a letto Tony Stark senza colpo ferire. Magari Pepper la mena, ma questi non sono pensieri da fare, altrimenti scivoliamo fuori dai cinecomics.

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Paradossalmente questa frattura non l’ho percepita fino all’ultimo scontro con l’Avvoltoio. Vi giuro che ero convinto di una cosa: Adrian Toomes sarebbe morto, segnando una tacca nella coscienza di Peter. Sarebbe morto un po’ a là Goblin. E i ventordici sceneggiatori me l’avevano fatto pure credere (le ali pronte a esplodere, Peter che finisce il fluido). Eppure niente. Anche qui va tutto bene, è tutto ok, non c’è problema.

Perché alla fine in Spider-Man: Homecoming va davvero tutto bene. Peter ha un paracadute, sia letterale che metaforico. Può sbagliare, può continuare a sbagliare senza il rischio di portarsi dietro schegge di rimorso che gli si fanno strada nel cuore. È un ragazzino esaltato dall’inizio alla fine. Certo, cresce e matura (ci mancava solo), ma non è il Peter Parker che usa l’ironia per schermare il profondo dolore che lo consuma, che racchiude il suo segreto gelosamente, perché solo lui può farsi carico di un peso così grande.

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È, come già detto, il Peter perfetto per il MCU. Perché questo è il MCU: i toni epici sono molto ridotti, via Nolan, si ride, si scherza, ci si mena, magari si piange un pochino, e poi tutti a mangiarsi un sano shawarma (che poi alla fine è il kebab). Calato in questo contesto, Spider-Man: Homecoming è un film bellissimo, senza sbavature, da vedere e rivedere. Io non mi sono mai tolto il sorriso dalla faccia, nemmeno con la trollata della seconda scena post-credit. E va bene eh, ci mancherebbe. Ma questo Peter è un altro Peter, è un Parker calato nel contesto in cui si trova ma, a differenza delle controparti cartacee (diamine, pure Ock in Superior ha vagonate di “zii Ben”, per non parlare del già citato Miles), si perde tutto il senso di rimorso che, paradossalmente, si sentiva molto di più in quelle schifezze dei due Amazing.

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E quindi? Quindi Spider-Man: Homecoming va benissimo così. Cioè, a patto che si accetti questo grosso compromesso. Ora però si può costruire, si possono mettere piccoli mattoncini (anche Lego eh) sul futuro di questo Peter. Dandogli il suo “zio Ben” (o tirandolo fuori adeguatamente), approfondendo il suo carattere mentre cresce, dato che Tom Holland per fortuna sembra davvero un quindicenne. Senza ripetere il maledetto errore di Webb e compagnia amazingante, cioè cancellare a prescindere tutto quello già visto prima. Io voglio, anzi, esigo un nuovo Goblin, ma pure Octopus. E JJJ. E Mary-Jane. E porco mondo deve essere una stracazzo di modella. Non facciamo belinate eh, Peter deve fare jackpot.

Fate ancora tre film, quindi almeno una decina d’anni, poi scioccate il mondo tirando fuori Miles Morales. Sì, proprio in quel modo.

Sto sognando troppo, eh?

Colpa della Marvel, continua a farmi uscire dalla sala con un sorriso ebete stampato sul volto.


P.s. trovate l’articolo anche sulla pagina dei nostri amici di Giornale7. Fateci un salto!

Edoardo Ferrarese

Folgorato sul Viale del Tramonto da Charles Foster Kane. Bene, ora che vi ho fatto vedere quanto ne so di cinema e vi starò già sulle balle, passiamo alle cagate: classe 1992, fagocito libri da quando sono nato. Con i film il feeling è più recente, ma non posso farne a meno, un po' come con la birra. Scrivere è l'unica cosa che so e amo fare. (Beh, poteva andare peggio. Poteva piovere).
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