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La spiegazione di Twin Peaks 3: sogno di un ossimoro di fine estate

All’uscita degli ultimi due episodi di Twin Peaks 3 io me ne stavo a scribacchiare a Venezia, e soffrivo in silenzio. Contattavo gli amici in modalità fattona in astinenza: “non spoilerarmi, dimmi solo se ti è piaciuto”. Le risposte erano ambigue e sfuggenti. La più gettonata:

Non lo so.

Da far accapponare la pelle. Al mio ritorno mi sono affrettata a recuperare gli episodi 17 e 18 e finalmente Ho Capito. Io Vi Capisco. E sono qui per ragionare insieme sul significato della serie più controversa del 2017. Vi consiglio caldamente di dare una ripassata alle puntate precedenti, che male di sicuro non fa. E di procurarvi un blister del vostro antinfiammatorio prediletto: l’Emicrania Lynch non fa prigionieri.

Twin Peaks 3: ESISTE una spiegazione?

Poniamoci prima di tutto questa legittima domanda. In fondo il mondo si divide tra chi considera Lynch un paraculo, alfiere del non-senso, e chi è convinto che per tutte le sue narrazioni oniriche ci sia una spiegazione anale al millimetro e scientificamente dimostrabile.

Il linguaggio cinematografico di Lynch non è lineare, non è immediato, non è canonico. Può risultare respingente, spesso tende ad innervosire anche chi lo apprezza. In ogni suo lavoro però possiamo identificare (con relativa facilità, che dipende da quanto siamo abituati ai suoi svarioni) un significato-base, che una volta “decodificato” ci consegna un contenuto chiaro.

I lavori di Lynch però sono scatole cinesi, giocattoloni articolati e complessi, ricchi di simboli e rimandi. C’è chi ama rigirarseli tra le mani e smontarli alla ricerca di numerologie, citazioni, sovrapposizioni di montaggio. O semplicemente inseguire la pista delle molte suggestioni alla ricerca di un diverso significato latente.

Da fan, io mi colloco in una posizione intermedia. Mi piace speculare alla ricerca di significati diversi. Non mi metterei comunque a rimontare la serie sovrapponendo le scene per capire quali sussulti corrispondono a quali scoregge tra le puntate, senza offesa per chi si diletta in questo nobile hobby. Quindi ci manterremo sul semplice, chiarendo però alcuni punti importanti.

Twin Peaks 3: alla ricerca di un significato “letterale”

L’intera stagione Revival, oltre a dare un prosieguo alle vicende in sospeso dei personaggi, si è posta un obiettivo ambizioso: raccontare la cosmogonia dell’underworld di Twin Peaks. Odio costringervi a ripensarci <3 , ma centrale in questo senso è proprio l’amatodiato, denso, e per certi versi pallosissimo nella sua bellezza episodio 8. Se quella parte di “genesi” non vi era chiara sarà impossibile dare un’interpretazione anche superficiale a quello che succede nel 17-18.

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Hai da accendere?

Bob, quando l’uomo comincia a pasticciare con le esplosioni atomiche, viene “partorito” per via orale da una figura femminile resa in una computer grafica davvero molto brutta, bontà sua. Ve la ricorderete. Come dimenticarsela. E dalla Loggia Bianca parte per la Terra una forza uguale e contraria: la sfera dorata di Laura Palmer. Che, se Bob è un “segugio del male”, potremmo identificare per simmetria come un “segugio del bene”.

Ma tornando alla brutta figura femminile in computer grafica: è Phillip Jeffries a suggerirci il suo “nome” per primo, corroborato poi dalle parole di Gordon nell’episodio 17: questo male antico e potente si chiama Judy (e il primo a darle la caccia nell’operazione Rosa Blu era… Garland. Coincidenze? Iononcredo). L’identità di Judy resta però un mystero fino alla 17esima puntata. Anche se suvvia: quella scena rassicurante in cui Sarah Palmer si toglie la faccia al bar un indizio poteva darcelo.

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Vanificare anni di terapia.

Il campanello d’allarme trilla quando casa Palmer viene nuovamente mostrata nel cinema del gigante, e il bellissimo finale dell’episodio 17 ci leva ogni dubbio. Sarah Palmer è Judy.

Alla ricerca di Judy

Di fatto si tratta del colpo di scena più significativo di Twin Peaks 3, che getta nuova luce sul suo ruolo nelle prime due stagioni. Judy ha “partorito” Bob e anche, in forma fisica… Laura, l’anti-Bob. È una forza spirituale oscura da cui origina però anche l’antidoto a se stessa.

La possessione di Leland Palmer, esecutore materiale dell’omicidio di Laura, assume un significato completamente diverso: il male era in casa fin dall’inizio. Potrebbe essere sensato ritenere che la ragazza che ingoia l’insetto nero nell’episodio 8 sia Sarah Palmer stessa.

La ricerca di Judy da parte del team Rosa Blu chiarisce anche definitivamente l’intervento di quel party specifico dell’FBI sul caso Palmer. Dopo aver sconfitto il Doppelganger e rimandato Bob nella Loggia (grazie all’intervento di Freddie e soprattutto… DI LUCY! Dai, quanti minuti avete applaudito quando Lucy spara a Doppel Cooper?), Dale tenta un colpo disperato. Un colpo che però prenderebbe… due piccioni con una fava. Salvare Laura Palmer dalla sua fine tornando indietro nel tempo e cercare, con lei, di sconfiggere Judy.

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Salutate l’omino di latta, il leone codardo e lo spaventapasseri: stiamo per tornare in Kansas.

La caccia a Judy attorno a cui ruotano gli ultimi due episodi è un vero e proprio ribaltamento rispetto a quello che sembrava il nocciolo del revival: la lotta tra i due Cooper, che non è effettivamente “esplosa” al momento del confronto a Twin Peaks. Bob è solo un’emanazione: il problema è alla radice. La radice del male.

Marty McFly, levate

Non possiamo dire che Lynch si perda in dettagli, quando si tratta di viaggi nel tempo e viaggi tra dimensioni diverse. Te li caga lì. Adducendo numeri. Porte. Chiavi. Enigmi. Se qualcuno ha voglia può divertirsi a dipanarli tra un Quesito con la Susi e l’altro, consapevole del fatto che potrebbero NON ESISTERE soluzioni. Io preferirei leccare un autobus, fate voi.

Grazie al varco temporale di stocazzo creato dalla chiave del Great Northern (statece) Dale torna alla radura in cui Laura sta lasciando James per l’ultima volta, e la intercetta prima che si unisca a Leo e compagnia. Con un montaggio delizioso tra le varie sequenze si passa da un freddissimo bianco e nero al colore. Non facciamo in tempo a cantare vittoria per il salvataggio di Laura che Lynch ci schiaffa un revival pure di Orfeo e di Euridice (primo di due riferimenti alla mitologia greca che mi sono sembrati smaccati): Dale sta portando via Laura dall’Ade, si volta a guardarla e lei è sparita.

Il perché ci è chiaro nella sequenza successiva: Judy, vedendo sfuggire la sua preda, accoltella la foto incorniciata di Laura. Notate bene che LA CORNICE E IL VETRO si frantumano. La foto rimane intatta, nonostante i fendenti. Allo stesso modo, come ci verrà mostrato in seguito, Laura è rimasta intatta: la sua “cornice” no.

Lucio Fontana, levate (aka: rompila, ‘sta quarta parete)

A volo d’uccello: Laura non è più a Twin Peaks, ma non è mai morta. Peter va finalmente a pescare senza trovare cadaveri sulla battigia. Leland, nella Loggia, chiede a Dale di ritrovare sua figlia e lui parte con Diane a cercarla in un’altra dimensione: una dimensione in cui si chiamano Richard e Linda (già citati nelle primissime battute di Twin Peaks 3), e sono due amanti in crisi.

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L’inedito caschetto rosso della Raffa.

Judy ha mandato Laura in un mondo alternativo: un mondo in cui la “vittima” si chiama Carrie Page (un riferimento alle pagine mancanti?) e ha ANCORA una vita di merda. Lavora in un ristorante che si chiama (casualmente) “da Judy”, a Odessa, in Texas. E, proprio come nell’Odissea, per Carrie è arrivato il momento di tornare a casa – anche se la troverà invasa da qualcun altro.

Dale la preleva dal Texas e la accompagna a Twin Peaks: solo che Twin Peaks non è Twin Peaks ma la VERA, esistente, cittadina in cui è stata girata la serie. Paraggi, insegne e strade corrispondono a quelli del nostro mondo, non a quelli della serie televisiva. Anche la donna che apre la porta di casa Palmer (e che fornisce ai nostri eroi i nomi delle “inquiline immaginate” in Twin Peaks e Fuoco cammina con me) è la REALE proprietaria di “casa Palmer”. Lynch ha deciso di spaccare la tela e portarci Dale e Laura sul vialetto d’ingresso, tra tutti i mondi possibili.

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Vi stanno per bussare alla porta proprio ora.

Questo tentativo di “caccia a Judy” (chissà quale forma ha preso Judy nel nostro mondo…) in cui Dale imbarca “Carrie” si conclude con una sconfitta, in un nulla di fatto, e in un urlo che squarcia la notte mentre Carrie prende forse coscienza di essere Laura. La sopraffazione continua all’infinito, come all’infinito si ripeteva il loop della sequenza di Sarah che guarda il match in TV.

Il male ha vinto di nuovo, ma i nostri eroi sono vivi e continueranno a inseguirlo. Fine.

Le suggestioni del sogno

A questa interpretazione “letterale” della chiusura di Twin Peaks 3 si sono aggiunte suggestioni ulteriori, che serpeggiano per la rete con forme diverse. Le tre sequenze-cardine della “teoria del sogno” sono:

  • Il sogno con Monica Bellucci, fatto dal vecchio porco di Gordon, che contiene la domanda chiave: chi è il sognatore?
  • Tutte le scene con Audrey, che restano non chiarite, se non come “suggerimento”: si prestano a interpretazioni diverse. Io resto fedele alla linea “è stata violentata da Bad Coop, ha partorito Richard ed è finita in manicomio”.
  • Il primo piano in bianco e nero di Dale che guarda in camera, in sovraimpressione rispetto alla scena del congedo nella stazione di polizia di Twin Peaks.

Le risposte più ovvie alla domanda “chi è il sognatore”, sulla base dei punti precedenti, sembrerebbero:

  • Gordon Cole, o il regista David Lynch stesso (nel sogno con Monica appare il manifesto di una sua mostra reale).
  • Audrey/Sherilyn Fenn: in questa lettura, il “Billy” che lei cerca sarebbe Billy Zane, l’attore che interpretava il suo tipo nella seconda stagione. Un’ipotesi suggestiva, ma che sembrerebbe smentita dal significato letterale della sottotrama di Billy, con le varie “testimonianze” alla RoadHouse.
  • Dale Cooper: in realtà un “Richard” qualsiasi, deluso da una storia d’amore andata male e in pieno delirio.

Tra tutte le ipotesi, quella che a me sembra più convincente e sensata è quella che vorrebbe noi pubblico “sognatori”: abbiamo sognato un universo immaginario, e Lynch ce lo ha portato a bussare alla porta di casa.

Personalmente comunque non ne sono entusiasta: riconosco e apprezzo la suggestione, ma preferisco mantenermi sul significato “letterale” di quello che viene mostrato, e che abbiamo già ripercorso.

Twin Peaks 3 David Lynch Mark Frost Angelo Badalamenti, Kyle MacLachlan Sherilyn Fenn Laura Dern Tim Roth Eddie Vedder episodio 16
Si sono accorti che Dougie era in coma, ed è già una vittoria.

Quello che è andato bene

Ma tirando le somme, se dovessi essere io a rispondere alla fatidica domanda “Twin Peaks 3 ti è piaciuto?” cosa risponderei? “Sì”, con le riserve di cui mi lagnerò in seguito. Per quanto riguarda il segno + sulla bilancia: sono stata, in generale, felice di tornare a Twin Peaks. È una serie che ho amato infinitamente: mi avessero fatto vedere Dale che mangiava torta di ciliegie per 18 ore sarei stata comunque felice, partite da questo presupposto osceno.

Ho amato la svolta di Sarah Palmer = Judy: mi ha fatto venire voglia di rivedere (…per la SESTA volta) le prime due stagioni, per mettere finalmente a fuoco tutto quello che di lei non mi convinceva. Ho amato i piccoli, continui, riferimenti a dettagli delle prime due stagioni: ad esempio il cavallino bianco sulla mensola di “Carrie”, che ci fa capire come la sua vita sia ancora controllata da Sarah.

Certe puntate mi hanno fatta entusiasmare. Un momento su tutti: il risveglio di Dale dalla sua condizione di Cane di Ceramica. Mi sono sentita stimolata a confrontarmi ogni settimana con tutti gli amici che seguivano la serie, ha creato un fermento, una condivisione. Anche i vostri commenti sulla pagina di TheMacGuffin sono stati parte integrante della mia esperienza Twin Peaks 3, e della sua bellezza.

Twin Peaks 3 David Lynch Mark Frost Angelo Badalamenti, Kyle MacLachlan Sherilyn Fenn Laura Dern Tim Roth Eddie Vedder episodio 16
“Questa sera voglio fare rumore, rumore!”

Lynch si è riconfermato uno sperimentatore, un innovatore, e ha (DI NUOVO) portato sul piccolo schermo qualcosa che non si era mai visto: un universo espanso che richiede uno sforzo intellettuale notevole allo spettatore, che non cede a compromessi, che non ha precedenti.

Per tutti questi motivi le stellette che vedete in cima all’articolo sono tante, e date con gioia. Ma non sono cinque. Perché?

Quello che è andato storto

Tante di quelle cose, dal mio punto di vista, che proprio non me la sento di fare la fangirl invasata che ti difende a spada tratta, oh David. Concedimi di farti la punta al cazzo per qualche paragrafo. Ti parlo a cuore aperto, proprio come se in un universo parallelo te ne fregasse qualcosa.

  1. Il mondo non è fatto solo di ossessivi. Io ti amo, e tu lo sai. Amo Twin Peaks. Amo tutto quello che hai sfornato (tranne quella cosa improponibile di Inland Empire, diobò). Ma potevi fare un piccolo sforzo in più, e rendere questo nuovo lavoro MINIMAMENTE ACCESSIBILE anche a chi, pur avendo visto Twin Peaks Fuoco cammina con me, NON li conosce a memoria. Noi fan non ci saremmo sentiti offesi, a condividere qualcosa di bello col resto del mondo. Invece te devo di’ che a parte qualche rara eccezione Twin Peaks 3 ha fatto mediamente ribrezzo a chi le prime due stagioni le aveva recuperate “per l’occasione”, e quindi non le aveva viste più volte assimilandole a fondo. Hai fatto della grande arte, ma dal mio umile punto di vista quello che rende la grande arte ancora più grande è la sua accessibilità in potenza a un pubblico non dico “universale” ma quantomeno non strettissimamente elitario. E su questo versante Twin Peaks 3 è scarsino.
  2. Hai rotto i coglioni, come direbbe Mario il garagista al bar sotto casa mia. No dai, guardami negli occhi: perché creare o portare avanti dei personaggi che non hanno ALCUN ruolo rilevante o marginale nell’azione? La figlia di Shelly, suo marito, l’amante. La segretaria di Ben, suo marito disabile. Lo stesso Ben. Jerry. Il cameo di Mike il biondo. Ti direi anche Ed e Nadine: li avevi già chiusi. Non era proprio un happy ending, ma si poteva leggere come tale sul lungo periodo. E con tutto il bene che gli posso volere: Tim Roth? Ma davvero serviva? La sequenza del traffico in cui interviene Bobby. E un’infinità di altre sottotrame poco intriganti, dilatate all’inverosimile, stiracchiate, propinate alla nausea tra un concerto alla Roadhouse e l’altro. Per me si poteva dare una PICCOLA, lieve, accelerata senza perderci niente di ciò che in Twin Peaks 3 c’è di buono.
  3. Apriamo il capitolo Audrey: l’ho trovato deludente. Come ho trovato deludente lo sviluppo del personaggio di Richard, intorno a cui si crea un hype assurdo che culmina con lui bruciacchiato e con una mezza battuta su una paternità presunta. Avrei voluto sapere molto di più, o piuttosto non sapere nulla e far folgorare uno scagnozzo a caso. Montare così un personaggio per esaurirlo alla spicciolata e senza dare spiegazioni mi pare una cafonata, poi vedi tu.
  4. Qui arriviamo al tasto più dolente: il finale. Apprezzo il senso generale del finale, ma l’avrei trovato molto più simmetrico (di quella simmetria dissonante che tanto ti piace) se intorno a Sarah ci fosse stato un climax significativo, con l’apice nel finale attraverso lo smascheramento del mostro – proprio come l’immagine allo specchio di Dale che riflette Bob. Fammela macerare per bene, ‘sta Sarah Palmer. Fammela soffriggere, che è un personaggio della Madonna. Mi sarebbe bastata una piccola correzione di tiro in fase di montaggio. Ad esempio: ok la rivelazione della puntata 17, con lei che accoltella la foto di Laura e te che pensi “oh, merda”. Ma quanto bello sarebbe stato se la scena al bar, con Sarah che si toglie la faccia rivelando l’oscurità, fosse stata la sequenza conclusiva, subito dopo l’urlo di Laura? Quanto non avreste dormito per mesi, rivedendola all’infinito con la coda dell’occhio? Bastava così poco, per lasciarci inquieti e sfrigolanti come nel 1991… perché salutarci con un ruttino?
  5. La povera Annie se l’è mangiata il gatto?

Insomma…

Sono felice di aver visto Twin Peaks 3 ma lo sconsiglierò con fermezza a chi non sia un fan marchiato a fuoco delle prime due stagioni. Credo risulterebbe indigeribile. Ci sono tante cose che mi hanno resa felice, altrettante che avrei decisamente eliminato, alcune che avrei tenuto in un ordine diverso. Si conferma una pietra miliare nella storia del piccolo schermo, e del cinema in generale, ma poteva concedere qualcosa di più sotto tanti punti di vista. È distante anni luce dalle prime due stagioni, soprattutto per il taglio più cupo e meno rassicurante. E non pensavo che per Twin Peaks 1 avrei mai potuto usare a cuor leggero un aggettivo come “rassicurante”. Vedi a volte la vita.

Twin Peaks 3 episodio 12 David Lynch Mark Frost Angelo Badalamenti Kyle MacLachlan Laura Dern Sherilyn Fenn Audrey
“…e come ti dicevo a Roma quest’anno mi danno il Premio alla Carriera…”

Come si usa tra le orchestrine durante i naufragi:

Signori, è stato un onore suonare con voi.

Mi scuso per la lunghezza e l’opprimente serietà di questo articolo: avevo tante cose da dire e poco tempo per cazzeggiare, e mi sento ancora come se non avessi toccato metà dei punti importanti. Ci tengo tanto a leggere i vostri entusiasmi, le vostre lamentele e le vostre suggestioni a tema Twin Peaks 3 su Facebook, quindi commentate numerosi e passate sottobanco il post agli amici. Spero di avervi tenuto compagnia in quella che è stata decisamente l’esperienza televisiva del 2017: dopo tutti questi anni i gufi non hanno ancora imparato ad essere quello che sembrano.


P.s. Se gli horror sono la vostra passione, fate un salto dai nostri amici di Horror Italia 24!

P.p.s. e ricordatevi anche di visitare la pagina Twin Peaks – La Gazzetta Italiana!

Sara Boero

Sua madre dice che è nata nel 1985, a lei sembrano passati secoli. Scrive da quando sa toccarsi la punta del naso con la lingua e poco dopo si è accorta di amare il cinema. È feticista di Tarantino almeno quanto Tarantino dei piedi. Non guardatele mai dentro la borsa, e potrete continuare a coltivare l'illusione che sia una persona pignola.
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