
Spiriti nelle tenebre – Mangiatori di uomini, mal di denti e ricordi
Se prendete un cinefilo a caso e gli chiedete quali film guardasse a ripetizione da bambino, a fianco dei soliti immancabili big alla Star Wars e co. verrà sempre fuori un titolo che non vi sareste mai aspettati. Un titolo di cui magari si sono un po’ perse le tracce nel corso degli anni, ma che per qualche ragione è comunque riuscito ad entrare per sempre nel cuore di un moccioso.
E allora, stupiti come quando siete venuti a sapere che Bizzarri ha vinto una Champions League con il Real Madrid, proverete a chiedere a quel cinefilo come mai proprio quel film lo avesse così affascinato in tenera età. E in quel momento saranno cazzi vostri, perché dovrete sedervi comodi e ascoltare tutta la storia.
Una storia composta da indelebili ricordi di lunghe e caldi estati passate in mezzo ai boschi, acquattati dietro agli alberi con uno smanicato mimetico e un fedele fucile di plastica ad aspettare pazientemente i leoni che stavano portando morte e terrore nella tua comunità. Perché c’era solo il tuo fucile che si frapponeva fra le fauci della morte e gli innocenti abitanti del villaggio, ed era tuo dovere difenderli, a qualunque costo.
Ecco, sono passato dall’esempio astratto a parlare di me nel giro di una riga, bella roba. Va beh dai, tanto lo avevano capito anche i muri che stavo parlando della mia infanzia fin dall’inizio, quindi tanto vale continuare. E ovviamente vi stavo parlando di Spiriti nelle tenebre di Stephen Hopkins (della serie “il sole batte anche sul culo di un cane ogni tanto”) uscito nel 1996 e vincitore dell’Oscar per il miglior montaggio sonoro.
Il film è liberamente tratto dalla storia vera dei mangiatori di uomini di Tsavo, due leoni che dal marzo al dicembre del 1898 sferrarono una serie di attacchi al cantiere di un ponte voluto dalla Compagnia Britannica dell’Africa Orientale che avrebbe dovuto attraversare il fiume di Tsavo in Kenya, causando la morte di decine e decine di lavoratori.
I due leoni furono alla fine abbattuti da John Henry Patterson, ex colonnello della Legione Ebraica inglese ed ingegnere-capo dei lavori del ponte. Nel suo libro The Man-Eaters of Tsavo and Other East African Adventures, Patterson raccontò come i leoni fossero posseduti da una furia omicida totalmente inusuale per la loro specie, quasi come se si nutrissero di umani non per sfamarsi, ma per il solo gusto di farlo. I loro attacchi erano improvvisi e inesorabili come la morte stessa, tanto che in breve tempo gli operai del posto cominciarono a credere che i due felini fossero in realtà spiriti di stregoni morti, decisi a punire l’uomo bianco per la sua bramosia di potere.
Ne suo libro Patterson scrive che i leoni di Tsavo uccisero circa 135 operai, ma la storia ha finito per ridimensionare la sparata erodotiana dell’autore, visto che è stato accertato che i morti furono non più di 40. Numero che in ogni caso testimonia il comportamento effettivamente inusuale dei due terribili leoni.
Ad interpretare il colonnello Patterson fu chiamato Val Kilmer, all’epoca al massimo della sua popolarità (e che per Spiriti nelle tenebre rimediò un’immeritata nomination ai Razzie), mentre al grande e sempre magnetico Michael Douglas fu affidato il ruolo del cacciatore Remington (che a differenza di Patterson è un personaggio di fantasia).
L’eroe senza macchia e senza paura e il leggendario ammazza-leoni uniti contro due creature apparentemente sovrannaturali venute al mondo per nutrirsi di esseri umani: al me bambino bastava molto meno per esaltarmi.
Anche dopo più di vent’anni Spiriti nelle tenebre mantiene intatte la sua potenza e il suo fascino, rimanendo uno dei film di avventura più riusciti e coinvolgenti degli anni ’90. Uno di quei film di cui nel cinema di oggi si è quasi perso traccia (seppur con qualche rara eccezione, come ad esempio The Grey), di quelli che ti schiacciano come un treno con il loro ritmo incalzante, ma che sanno regalarti anche rapporti umani sinceri e sentiti fra i personaggi, di quelli che rimangono anche una volta che le luci si sono accese. Uno di quei film che vuole semplicemente raccontare una storia nel miglior modo possibile e non si vergogna delle sue piccole ingenuità, ma va dritto per la sua strada, riuscendo a regalare attimi di pura e autentica tensione.
Del film di Hopkins rimangono tante cose: la bellissima rappresentazione dell’Africa, restituita splendidamente nei suoi paesaggi selvaggi e nella sua savana sconfinata e minacciosa; l’intero reparto sonoro, che al possente e terrificante ruggito dei leoni unisce musiche sempre calzanti (e incalzanti); ma soprattutto rimangono i due leoni, che Hopkins ci presenta davvero come due creature demoniache che poco hanno a che fare con il nostro mondo e le sue regole.
Ma come si spiega questa spropositata violenza dei due leoni nei confronti degli esseri umani? Alcuni scienziati hanno ipotizzato che l’eccezionalità dei due esemplari potesse essere causata da un particolare che Spiriti nelle tenebre ha ignorato: a differenza dei leoni utilizzati nel film, i veri mangiatori di uomini di Tsavo non avevano la criniera, cosa che contribuiva ad accrescerne l’aura spettrale agli occhi delle loro sventurate vittime, ma che molto probabilmente aveva impedito ai due felini di aggregarsi ad un branco, condannandoli ad una vita da nomadi che ne avrebbe accresciuto la ferocia e la pericolosità.
Ad aumentare la loro sete di sangue umano si pensava che avesse contribuito anche l’epidemia di peste bovina che colpì l’Africa alla fine dell’800, che costrinse i due leoni a concentrare la loro caccia sugli uomini, visto che zebre, gazzelle, bufali e bestiame vario erano stati decimati. Ed è proprio per confermare questa ipotesi che di recente la paleontologa Larissa DeSantis è andata ad analizzare i denti dei due leoni (conservati al Field Museum di Chicago), credendo di trovare tracce di inedia dovute alla siccità e all’epidemia.
Le fauci dei due leoni nascondevano però un’altra sorpresa che ha finalmente fatto luce sul mistero della strage di Tsavo: i due leoni avevano il mal di denti. Uno soffriva per tre incisivi spezzati e un brutto ascesso ad un canino, mentre l’altro aveva una ferita ad un dente e ad una mascella. Ecco quindi che la carne umana, essendo molto più tenera di quella delle usuali prede dei leoni, rimaneva l’unica soluzione possibile per la coppia di felini.
Insomma, niente spiriti di stregoni o belve assetate di sangue, solo due leoni emarginati e affamati che avevano pure maledettamente bisogno di un veterinario.
Roba che ti viene quasi da provare pena per loro, se non fosse che si sono mangiati 40 persone.
Non ricordo in che occasione rimasi stregato da questo film per la prima volta. L’unica cosa che so è che, quando passavo tutta l’estate in montagna, fra le cassette che non potevano rimanere a casa c’era proprio Spiriti delle tenebre. Chi lo sa, magari lo avevo visto una volta in tv, o più probabilmente lo aveva affittato mio padre (che grazie al cielo non si è mai fermato davanti a vaccate come il “vietato ai minori” quando c’era da scegliere un film). Fatto sta che per un certo periodo imitare le gesta del colonnello Patterson mi sembrava l’unica cosa giusta da fare.
Certo, il fatto che la mia grassezza mi impedisse di arrampicarmi sugli alberi in maniera credibile era effettivamente un ostacolo al realismo delle mie avventure immaginarie, ma fare gli agguati ai cani del villaggio era comunque mediamente soddisfacente.
E quando mi trovavo da solo in mezzo ad prato lungo come l’orizzonte, in mezzo all’erba alta scompigliata dal vento, la mia mente andava subito all’immagine di un leone acquattato a terra, silenzioso, pronto a balzarmi addosso da un momento all’altro. Come uno spirito.
A volte mi succede ancora oggi. Poi però mi accorgo di non essere più un bambino, e allora torno a casa.
E ricordo.