
Split – Il figlio bastardo di Psycho e la vendetta di Shyamalan
Split: il nuovo thriller horror di Shyamalan è appena uscito e fa già discutere. Eccovi i motivi che lo rendono un grande film.
È stato più forte di me: non appena ho sentito parlare di un film basato sul personaggio di Billy Milligan non ho resistito e – nonostante sia in arrivo The Crowded Room, ovvero un altro film su di lui con DiCaprio protagonista e Joel Schumacher alla regia – mi sono precipitato in sala. Sarà il mio amore per gli schizzati (il mio passatempo notturno numero 1 è leggere biografie di serial killer su Wikipedia), ma ho trovato l’ultimo lavoro di M. Night Shyamalan un gran bellissimo film.
La questione Sesto senso
Capita agli attori, capita ai registi, è certamente capitata a Shyamalan la disgrazia di realizzare un grande film per poi non riuscire più a distaccarsene. Si sta ovviamente parlando de Il sesto senso (1999), il film che ha consacrato il regista indiano, proiettandolo nella grande Hollywood. Dopo Il sesto senso ogni suo film è stato misurato e paragonato a quello, come se si stesse parlando della cartina di Tornasole del bel cinema. Ecco, no.
Il sesto senso è un grande film, diretto con ottima mano, con una sceneggiatura a prova di bomba e tutto quel che volete, ma non stiamo parlando né di Quarto potere né di 2001: Odissea nello spazio. Sarebbe bene quindi sganciare il povero M. Night da quella pellicola, perché si è dimostrato all’altezza di Hollywood ben più di una volta.
Perché questa introduzione? Perché secondo gran parte della critica Shyamalan non è mai riuscito a distaccarsi dal topos del colpo di scena finale, da quei quattro paradigmi introdotti ne Il sesto senso; in sostanza non è mai riuscito a superarsi. Onestamente ritengo che film come The village e, per l’appunto, Split siano di gran lunga superiori al film del ’99.
Un caos calmo
La storia di Split la sanno anche i sassi: Kevin è affetto dal disturbo dissociativo della psiche e in lui convivono 23 differenti personalità, che si danno il cambio e sono reciprocamente coscienti dell’esistenza delle altre. Un giorno Kevin decide di rapire tre studentesse e di rinchiuderle in una stanza per scopi solo a lui (loro?) noti. Qual è il problema? Che oltre alle 23 personalità già presenti sta per nascerne una nuova, la ventiquattresima, più feroce e terribile di tutte.
Chi si aspetta un film alla Se7en con omicidi, indagini e psicopatici che pontificano con monologhi degni di Re Lear rimarranno delusi, perché Split non è questo. È piuttosto un viaggio nella psiche dei personaggi, perché in Split ogni figura è ben caratterizzata e viene a poco a poco approfondita. Stiamo parlando di un thriller dal ritmo lento, cadenzato e caratterizzato da poche inquadrature che riescono a restituire la claustrofobia e il disagio di tutti i personaggi in scena.
Almeno per i primi tre quarti del film non cercate azione e gore, perché non ne avrete: avrete piuttosto il ritratto grottesco di un uomo spezzato da un passato di abusi, una mente poliedrica e affascinante che inquieta sempre di più. Fino alla cesura finale il film è un progressivo avvicinamento a Kevin, alla comprensione del suo disturbo, ma anche a Casey, una delle tre ragazze rapite (interpretata da una sublime e bellissima Anya Taylor-Joy, già vista in quel capolavoro di The VVitch) che più delle altre riesce a comunicare con le diverse entità di Kevin.
Il nuovo Norman Bates
Il gioco di Shyamalan è chiaro e scoperto fin dall’inizio: ti faccio conoscere i miei personaggi, faccio sì che tu empatizzi con loro, dopodiché li stravolgo, stravolgo gli equilibri con un finale al cardiopalma che ti incatena alla poltroncina. Split è questo: un viaggio in un tunnel tenebroso che culmina con una fuga a rotta di collo.
Psycho, Il Signore degli Anelli, Fight Club, Secret Window, Shutter Island: di storie basate sul doppio, sull’alter ego e sulle personalità alternative il cinema è pieno fin dai tempi del muto (vi ricorda qualcosa Il gabinetto del dottor Caligari?). Semplicemente Shyamalan rimette mano a tutto questo corpus, ponendo al centro del suo esame il tema scottante degli abusi sessuali sui minori (riportato a galla, ad esempio, da Il caso Spotlight l’anno scorso) che portano a sconvolgimenti mentali, come ad esempio in Psycho.
Possiamo vedere dunque Kevin come un novello Norman Bates, che rivela tutto il suo potenziale grazie alla vera arma in più di questo Split: James McAvoy. Si sapeva che McAvoy avesse fatto un gran lavoro, ma non avrei mai immaginato fino a che punto. Il suo Kevin Wendell Crumb è uno psicopatico grottesco, ma vero. McAvoy rende tangibile la sua follia con un solo cambio di espressione, tanto da farti capire quale delle diverse personalità abbia preso il sopravvento. Il suo è uno di quegli psicopatici che finirà dritto dritto nella storia del cinema al pari dei vari John Doe, Hannibal Lecter, Norman Bates, Joker e compagnia bella. Folle, ma perfettamente coerente in tutte le sue diverse declinazioni, grazie a un attore eccezionale che mette sul piatto una performance strabiliante che non si vedeva dai tempi di Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro.
La rivincita del regista
Con Split Shyamalan si prende dunque una bella rivincita su tutti quei critici che gli hanno spalato merda addosso per anni, considerandolo un regista finito subito dopo Il sesto senso. Già con The Visit Shyamalan aveva dimostrato di ricordarsi come si fa l’horror, ma con Split fa ancora un passo avanti regalandoci una pellicola complessa, diretta superbamente e che fa luce sull’orrore vero: il male inferto agli innocenti, il male che può diventare catarsi (e quindi salvezza), oppure il male che può frantumare irrimediabilmente un individuo. La dissociazione di Kevin dunque diventa una forma di autodifesa, un modo per fuggire da una realtà molto più perversa e malevola di una malattia mentale che ti porta ad avere 23 differenti personalità.
P.s. se gli horror sono la vostra passione, fate un salto dai nostri amici di Film esageratamente da paura!