
The Square: quando l’arte lascia a bocca aperta. Ma per gli sbadigli
Ti imbatti per puro caso in un trailer, e ti sembra di rivedere il Woody Allen prima maniera. Cerchi qualche informazione sul film, e scopri che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes. Decidi che The Square potrebbe valere i tuoi risicatissimi risparmi. Cerchi un cinema in cui lo proiettino, lo danno solo in un anonimo centro commerciale in un’ancora più anonima periferia a nord di Milano. Ti riduci a mangiare pollo fritto nell’attesa. Entri in sala. Otto posti occupati, te compresa, su trecento. Ti ripeti che tutto sommato è un buon segno: sarà il tipico film di nicchia, bellissimo e per pochi eletti. Ti immergi nella visione. Dopo più di due ore emergi finalmente dalla faccenda, e tutto quello che ti senti di dire è “Mah”.
Tre lettere un po’ perplesse: questa la sintesi a caldo di The Square, per la regia dello svedese Ruben Östlund. Eppure, gli ingredienti per essere una commedia brillante e sardonica sulla carta ce li aveva tutti, a partire dal tema: uno sfottò spietato del patinato mondo dell’arte contemporanea. Ambientato, per giunta, nella civilissima, coltissima e liberalissima Stoccolma, e con un cast di tutto rispetto: il fascinoso Claes Bang nei panni del protagonista Christian, curatore del museo in questione, e Elisabeth Moss in quelli della giornalista Anne, sulla cresta dell’onda dai tempi di Mad Men e molto intenzionata a restarci – e a tal proposito, mossa furbissima passare dalle serie più eleganti e premiate della piazza a una di quelle opere che si contenderanno la statuetta per miglior film straniero.
Eppure, non si capisce come certi critici abbiano fatto a “morire dalle risate”, quando il massimo che riesce a strappare The Square è un sorriso a mezza bocca. Perché The Square, poi? Questo, almeno, è presto detto: The Square è il titolo di un’installazione che verrà esposta nel museo diretto da Christian. Un quadrato di neon, all’interno del quale tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Il dubbio nella mente di Christian sorge spontaneo: come fare ad attirare qualche visitatore in più rispetto ai soliti parrucconi e sedicenti intellettuali? Il nostro si arrovella insieme ai suoi fidati collaboratori Michael (Christopher Læssø) e Sonja (la chic e spigolosa Annica Liljeblad), e non trova niente di meglio che affidarsi a due guru del marketing che non arrivano a quarant’anni in due: uno sembra Cristiano Ronaldo il giorno della prima comunione, l’altro Chiara Ferragni con la barba. I pargoli, dopo una settimana di riflessioni e un cachet tale da potersi comprare un arcipelago, hanno l’illuminazione: nel bene o nel male purché se ne parli, diceva Oscar Wilde, e quindi perché non girare un bel video con una bambina mendicante, ma rigorosamente bionda, un gattino e un’esplosione?
Applausi dai tre esseri superiori che lavorano nel museo, ma non dal resto della plebaglia che puntavano ad attirare, e che invece si proclama indignata. Ah, nel frattempo a Christian rubano cellulare e portafoglio, grazie alle moderne tecnologie Michael scopre che il ladro si nasconde in una sorta di Scampìa del nord, e i due geni non hanno idea migliore che andare a distribuire lettere di minacce in tutto il palazzo, salvo poi farsela sotto al momento delle conseguenze.
Una precisazione doverosa: The Square non è un brutto film. Ma nemmeno un bel film. Avrebbe potuto essere un ottimo mix di cortometraggi a sé stanti, e invece è diventata un’opera mastodontica, sfilacciata, autoreferenziale. Perché lo humour c’è: dall’addetto delle pulizie che accidentalmente passa l’aspirapolvere su un’opera, al suggerimento di Christian di ricrearla con quanto trovato sotto al divano perché in fondo di questo si tratta, alle guide del museo tutte rigorosamente bruttine, magrissime e vestite di nero – non per nulla Christian fa shopping da COS – e incapaci di dire altro da “niente foto”, al giornalista che, in preda a una sindrome di Tourette non meglio certificata, ne approfitta per ricoprire di insulti l’artista del momento Julian (Dominic West), ai colleghi tanto eterei quanto smaniosi di avventarsi su un buffet.
E c’è pure la critica sociale: le ragazzine con i rasta e la Louis Vuitton che fanno volantinaggio per Amnesty International, ma si tengono ben distanti dai barboni che dormono sotto ai ponti più centrali della città, per esempio. O ancora Oleg (Terry Notary), uomo scimmia con velleità da Marina Abramovich che inscena uno stupro durante una cena di gala senza essere fermato, salvo poi rischiare il linciaggio. O, infine, i due guru di cui sopra che ammettono di aver fatto “pura speculazione”, né arte né tantomeno qualche messaggio più profondo.
Carte ottime, ma mal giocate: la risata si blocca in gola, la riflessione è soffocata da uno sbadiglio, l’autoironia non è completa. Come a dire, “mi prendo in giro, ma tanto lo so che sono meglio di voi”. Che sembra un po’ l’atteggiamento di Christian nei confronti della vita e degli altri: patinato, proprio come quelli che vorrebbe tanto irridere.
La tentazione di rievocare la battuta fantozziana alla fine di The Square è forte, ma non sarebbe di classe: in fondo, se uno si immerge in un film del genere è perché se la sente, e parecchio, e dire di non averlo capito, insomma, farebbe brutto. Perché The Square è un po’ come certa arte contemporanea: per tutta l’esposizione hai la sensazione di essere stato fregato, ma piuttosto che ammetterlo ad alta voce passi due ore a guardare ammirato una porta chiusa. Salvo poi scoprire che era quella del bagno.