
St. Vincent: a lui non piace la gente, alla gente non piace lui
St. Vincent alias Bill Murray è il Santo che cammina tra noi.
Un paio di anni fa mi è capitato di vedere una clip di un film in uscita nella quale c’era Bill Murray seduto su una panchina che annaffiava una piantina morta e cantava Bob Dylan. Immediatamente ho capito che DOVEVO vederlo. Non sapevo nulla della trama, non c’erano altre ragioni del mio interesse se non la semplice presenza di Bill Santo Murray che canta. E voi direte: in effetti non serve altro per andare a vedere un film. Successivamente ho poi scoperto che la pellicola in questione si chiamava St. Vincent (oggi scopro anche che è stato l’esordio cinematografico del regista Theodore Melfi, autore di Il diritto di contare) e che raccontava la bizzarra e improbabile amicizia tra un vecchio misantropo e un ragazzino timido.
Bill Murray interpreta il Vincent del titolo, un anziano veterano scontroso e scorbutico con tutti, forse un pochino meno con la prostituta russa (molto volgare e molto incinta) che si porta a letto – e che ha le bionde fattezze di Naomi Watts. Un giorno Maggie (Melissa McCarthy) e il figlioletto Oliver si trasferiscono nella casa di fianco. Lei sta divorziando dal marito fedifrago, lavora full time come radiologa e tra i suoi problemi personali e quello che è costretta a vedere in ospedale, non ha molto tempo da dedicare al bimbo. Con una svista genitoriale indicibile, Maggie chiede allora a Vincent di fargli da babysitter.
Ovviamente la scuola del vecchio sarà tanto singolare quanto efficace: scommettere alle corse dei cavalli, passare le serate al bar del quartiere tra gli ubriaconi, imparare a fare a botte… Tutte cose delle quali un bambino di dodici anni, magari, non dovrebbe avere esperienze, ma che a loro modo formano il carattere di Oliver. Che grazie ad un progetto scolastico dedicato allo studio dei Santi, quelli noti e quelli che camminano oggi tra noi, e ad una fortuita scoperta sul passato di Vincent, lo aiutano ad abbattere il suo muro di ritrosia.
A St. Vincent non mancano certo gli stilemi del cinema dal cuore d’oro: il vecchio dal passato tormentato, la famiglia atipica e allargata, l’ovvio happy ending. Eppure, grazie ad una scelta attoriale azzeccatissima, il film riesce alla perfezione. Bill Murray, scontroso e trasandato, è il perfetto contrasto a Melissa McCarthy, così umana eppure altrettanto scombussolata seppure da situazioni diverse. Se in Spy ci aveva conquistata la sua dirompente e fisica comicità, qui la McCarthy diminuisce un po’ il suo carattere “esplosivo” in favore di una grande naturalezza. Naomi Watts, con il suo pancione e le sue gonne corte, regala alla sua prostituta Daka il giusto tono ad un personaggio che avrebbe rischiato di diventare una macchietta. Ma è Oliver, l’adorabile Jaeden Lieberher (classe 2003), ad addolcire ogni scena. Tenero, impacciato, e in fondo più saggio ed adulto di tutti gli strani adulti che riempiono la sua vita.
È grazie alla simpatia e alla profondità che scopriamo anche nei clichè di genere che St. Vincent ci commuove, con spontaneità e semplicità. Perché quando il registro drammatico si mescola così bene con la delicata comicità messa in scena, allora si è in presenza di un film che merita più parole di quante ne sono state effettivamente spese.
Come non amarli?