Oggi, più che un semplice articolo “a tema libero”, voglio proporvi una vera e propria “mini apologia di genere“. Di quale categoria si tratta? Già dal titolo dovreste chiaramente comprenderlo, il nostro Humphrey Bogart non ce le manda certo a dire nell’ultima, celeberrima battuta de L’ultima minaccia: stiamo parlando di quella più odiata, bistrattata e criticata di sempre, i giornalisti, of course. Ci odiano quando scriviamo di cose serie perché “basta fare gli sciacalli sulle disgrazie altrui“, ci odiano quando scriviamo di amenità perché dovremmo pensare alle cose serie, ci odiano quando scriviamo di politica perché tanto “siamo tutti corrotti“, e allora di cosa dovremmo ben scrivere, gioie belle, del fatto che non esistono più le mezze stagioni e che una volta i treni arrivavano in orario (senza gridare al “gomblotto” contro Trenitalia, che non sia mai!)?!
Che molti cronisti d’assalto si facciano pochi scrupoli morali e deontologici siamo d’accordo tuttavia, nonostante le critiche e gli accidenti vari, il cinema ci viene in soccorso: infatti il grande schermo, specialmente a stelle e strisce, ha più volte sottolineato l’importanza del giornalismo, proponendo pellicole che narrano inchieste su temi scottanti, magistralmente condotte nel loro intento di denuncia sociale (e non solo).
E allora andiamo a scoprire questa top 5 sul giornalismo tanto apologetica quanto affascinante:
- Barriera invisibile (1947): siamo nel 1947, la Seconda Guerra Mondiale è da poco terminata e la rivelazione degli orrori dell’Olocausto ha portato alla ribalta il tema dell’antisemitismo, uno dei tabù più occultati del tempo negli Stati Uniti d’America. A esplorare i pregiudizi all’interno della borghesia di New York è Philip Schyuler Green (Gregory Peck), un giornalista che decide di fingersi ebreo per provare sulla sua pelle l’orrore della discriminazione. Basato sul romanzo Gentleman’s Agreement di Laura Z. Hobson, sceneggiato e diretto da Elia Kazan, Barriera invisibile è un film che sa toccare con abilità un nervo scoperto nell’America degli anni Quaranta, vincendo ben tre premi Oscar per miglior film, miglior regia e miglior attrice supporter (Celeste Holm).
- Quando la città dorme (1956): capolavoro troppo spesso sottovalutato del maestro tedesco Fritz Lang, il film si ispira a un libro giallo di Charles Einstein per dipingere l’affresco devastante di una società dominata dalla curiosità morbosa dell’opinione pubblica. La caccia al “killer del rossetto” (John Drew Barrymore), un assassino seriale che sta terrorizzando le donne di New York, diventa il pretesto perfetto per dar vita a un’opera in cui la suspense, il dramma e la satira di costume vivono sullo schermo come non mai, anche grazie ad un superbo cast composto da interpreti quali Dana Andrews, George Sanders, Thomas Mitchell, Vincent Price e Ida Lupino.
- Tutti gli uomini del presidente (1976): l’archetipo imprescindibile che ha dato spunto a moltissima filmografia di genere, l’indiscussa pietra miliare quando si parla di cinema dedicato al giornalismo: Tutti gli uomini del presidente è il capolavoro diretto da Alan J. Pakula e interpretato da due eccezionali Dustin Hoffman e Robert Redford, nei rispettivi ruoli dei cronisti del Washington Post Carl Bernstein e Bob Woodward. Basato sull’omonima opera di Bernstein e Woodward, il film propone un’attenta ricostruzione dell’inchiesta, iniziata nell’estate del 1972, che due anni più tardi avrebbe portato alle dimissioni del Presidente Richard Nixon, coinvolto in prima persona nello scandalo Watergate. Una pellicola pulita, seria, scrupolosa, giustamente ricompensata con quattro premi Oscar: miglior attore supporter per Jason Robards, miglior sceneggiatura, miglior scenografia e miglior sonoro.
- Good Night, and Good Luck (2005): sei nomination agli Oscar per questo film sceneggiato, diretto e interpretato da un ottimo George Clooney, protagonista David Strathairn nella parte del giornalista radiofonico e televisivo Edward R. Murrow, anchorman del notiziario della CBS che, nel 1953, si schierò contro le aberranti pratiche del Maccartismo, denunciando con veemenza e coraggio la violazione delle fondamentali libertà civili degli Stati Uniti. Il buon Clooney elabora un’ode al giornalismo politicamente impegnato in una pellicola girata e fotografata in un raffinato bianco e nero, perfettamente capace di restituire l’atmosfera unica degli anni Cinquanta.
- Il caso Spotlight (2016): non potevo che concludere con il caso cinematografico dello scorso anno, un film potente sceneggiato e diretto da Thomas McCarthy che racconta, perfettamente e minuziosamente, l’indagine condotta, fra il 2001 e il 2003, dal team Spotlight, una squadra investigativa del Boston Globe contro gli abusi sessuali su minorenni in numerose diocesi della città. La scintilla che ha fatto esplodere lo scandalo della pedofilia a Boston, proposta in un film impegnato e scrupoloso che non lascia nulla al caso, dal cast alla sceneggiatura, dalla fotografia al rigore narrativo.