
Star Wars Episodio VII: il nostro risveglio della Forza
SPOILER A PROFUSIONE NELL’ARTICOLO CI SARANNO.
A pane e Star Wars sono cresciute almeno tre generazioni, forse quattro: già di per sé il dato è impressionante, e indica la prima peculiarità del fenomeno: la trasversalità.
«Per grandi e piccini», come si legge sui lati delle scatole dei vecchi giochi di società.
Tuttavia, la generazione giovane di oggi, avendo mancato l’uscita della vecchia trilogia, non ha potuto gustarsi fino in fondo nemmeno quella nuova: non eravamo ancora nati, o eravamo troppo piccoli.
Ora non più: questa è la prima cosa importante.
Star Wars aveva creato una mitologia, presto sedimentata nell’immaginario collettivo. Ad un certo punto, però, quella mitologia stava cominciando ad arrugginire; doveva essere bagnata con nuove idee per dare nuove foglie, come una pianta assetata. Adesso bisogna capire se, e in che modo, l’universo Star Wars ha saputo reinventarsi, risultando credibile e coinvolgente per le nuove leve giovani e giovanissime, attraverso il lavoro di J.J. Abrams. C’è riuscito?
Tagliamo la testa al toro: la risposta è un sì che contiene un terzo di emozione, un terzo di sollievo e un terzo di rivalsa, di rivincita contro chi ha preferito schierarsi dalla parte dei detrattori ad ogni costo.
Il risveglio della Forza ci appartiene: siamo noi. Non sarebbe stato possibile senza di noi, e viceversa: somiglia ad una tappa del destino.
Ecco che cosa rappresenta questo film: il nostro ingresso ufficiale ed indiscutibile in quel mondo, attraverso una nuova storia. Ma sempre attraverso la Forza, che unisce tutto e tutti come in un cerchio che non ha inizio e non ha fine.
Un passaggio di testimone, ma anche un completamento: un ultimo tassello che vive nella consapevolezza che, se non fosse per ciò che c’è stato prima, lui stesso non esisterebbe.
La forza di questo settimo episodio della saga sta proprio nell’aver portato una ventata d’aria fresca in quel mondo, pur mantenendo, anzi, onorando, le coordinate e le linee guida dell’universo creato da George Lucas.
Siamo sempre lì, soltanto molto tempo dopo.
IL VECCHIO RITORNA
Il Millennium Falcon è sempre lì, ma prima di volare di nuovo attraverso l’iperspazio deve presentarsi (ed è proprio come un personaggio che viene presentato: memorabile) come «un ammasso di ferraglia» coperto da un telo: non si sa nemmeno se riuscirà ad alzarsi in volo.
Han Solo è sempre lì: è vecchio, ha ripiegato, tornando a fare «l’unica cosa che mi viene bene» (il contrabbando insieme al fidato Chewbacca), ma è a lui che viene affidato il testimone da passare alle nuove generazioni. Sarà il mentore dei nuovi personaggi, e troverà lungo la strada una profondità che il suo personaggio non ha forse mai posseduto: a quel punto, all’apice, l’unica cosa che gli resterà da fare sarà morire, per dare l’ennesima spinta alla trama e per completare la formazione degli altri. Non rimpiangiamolo: ha dato tutto.
IL NUOVO AVANZA
E poi ci sono loro: i nuovi.
C’è Rey, prima donna protagonista nella saga, versione moderna di Luke, la prima a «riscoprire» la Forza: cresciuta sul desertico Jakku come una mercante di rottami, abbandonata dai genitori, troverà sulla sua strada BB-8 (che raccoglie in maniera encomiabile l’eredità dell’immortale R2-D2,), il droide di Poe Dameron, provetto pilota della Resistenza e novello Han Solo; un pasionario un po’ brusco, molto ironico, un cuor di leone che fa impazzire le ragazze e i caccia nemici.
C’è FN-2187, presto ribattezzato Finn: un soldato del Primo Ordine (la nuova forma assunta dal Lato Oscuro, ideale prosecuzione dell’Impero) in crisi di identità, che ci mostra per la prima volta qualcosa che si avvicina all’interiorità dei soldati nemici.
Attenzione, perché qui siamo di fronte ad una delle novità maggiori per l‘intera saga: gli stormtroopers non hanno mai avuto un’anima. Non scherziamo: non hanno mai avuto nemmeno un volto. Sono sempre stati una massa amorfa e muta di cloni: adesso, invece, sono individui condizionati ed addestrati dalla nascita, ma ognuno con una diversa storia possibile alle spalle.
Finn si toglie il casco e si ribella: di ritorno su Jakku incontrerà Rey e BB-8, e saranno loro a guidare il Falcon e a trovare la Resistenza.
Una mercante di rottami ed un disertore, nientemeno.
Finn, dunque, rifiuta il Primo Ordine, che, come nella prima trilogia, funge da contorno per definire l’ambiente in cui si muove il nuovo villain: l’altra novità assoluta che giunge a sparigliare le carte.
Kylo Ren è un ragazzo che ha fatto le scelte sbagliate, ex-allievo ribelle di Luke e figlio di Han Solo e di Leia Organa. Un discendente diretto della vecchia generazione, dunque, che perde la bussola e si lascia sedurre dal Lato Oscuro per dare libero sfogo ai suoi adolescenziali attacchi isterici. Conosce le vie della Forza, ma è acerbo, come la sua spada laser: il fascio di luce rossa che proietta non è perfetto, tremola costantemente, come se il suo padrone non riuscisse ancora ad imbrigliare quell’energia.
E’ chiaro che ha ancora molto da imparare dal suo maestro, (il Leader Supremo Snoke: un cattivo ancora da esplorare, niente più che un ologramma gigantesco per ora), e che deve ancora affrontare le sue nemesi, che hanno cognome Solo e Skywalker.
Ma noi non lo vediamo subito così: il giovane infatti ci si presenta mascherato e agghindato come il nonno Darth Vader. Un complesso di inferiorità ed un desiderio frustrato di emulazione grossi come una casa, che esplodono di fronte a noi quando Kylo si toglie la maschera: è una delusione pilotata dall’inizio alla fine, quella che si prova in quel momento.
LE STAR WARS DEL NOSTRO TEMPO
E’ proprio ciò che accomuna questi personaggi a renderli la novità più grande: non sanno nulla di ciò che li circonda. Non sono mai usciti dalla loro zona di comfort: non conoscono la Forza, né la situazione politica, né il passato. Pretendono, tuttavia, di conoscerli, o come minimo di comprenderli senza tante cerimonie.
Rey, Finn e Kylo sono degli sbarbatelli, prima di essere buoni o cattivi.
Kylo vuole «fare» Darth Vader, e ispira quasi compassione nei suoi attacchi d’ira in cui mulina la spada laser, finché non si vede costretto, per chiarire al mondo ed a sé stesso il suo ruolo, ad uccidere il padre Han Solo (finalmente, l’Emancipazione); la sua «cattiveria» è talmente debole da provocare un rovesciamento della tradizione: non c’è il Lato Oscuro che attrae i buoni, c’è piuttosto il richiamo della Luce per il cattivo.
Rey e Finn conoscono Luke, Han e Leia come eroi da leggenda finché non li incontrano sul loro cammino: i Jedi e la Forza sono percepiti come eredità di una tradizione morta e sepolta, forse mai nata; somigliano a manufatti storici da guardare da una distanza incolmabile.
Poi di colpo arrivano, e nessuno li sa gestire in questo «ritorno al medioevo» della Galassia, piena di polvere, di rottami e di ricordi sbiaditi.
Ed è così che crescono i personaggi di Rey e di Finn: inconsapevolmente, con ingenuità.
Una delle chiavi del film è racchiusa in un dialogo tra Finn e Han: il giovane si trova in difficoltà perché credeva di poter risolvere un problema che invece non sa risolvere. Finn, con convinzione: «useremo la Forza!». Han, con stizza e compassione: «non è così che funziona la Forza!».
Dal canto suo, Rey scopre la Forza del tutto casualmente: come se le piovesse addosso.
Come ci sentiremmo noi se, dal nulla, cominciassimo a percepire e ad avere un simile potere? Proprio come Rey: è questo il punto.
Come Rey e come Finn, non avremmo alcuna fiducia nelle nostre capacità e in noi stessi oppure, come Kylo, ne avremmo fin troppa: in ogni caso, ci renderemmo conto di essere antieroi, come tutti loro.
Oggi è tutto così confuso e veloce, spesso superficiale, ma sempre più profondo e sfaccettato: non c’è spazio per un Darth Vader, per un cattivo che più cattivo non si può.
Non c’è spazio per la distanza imposta dalla fantascienza pura: c’era bisogno di realtà, di un modo per calare gli spettatori dentro la battaglia, dentro la Forza, dentro la paura e l’affanno ansimante dei protagonisti. Abbiamo ottenuto anche questo, soffiando e scrollando via la polvere che si era depositata sul mondo di Star Wars.
Non c’è spazio per un «nato buono» come Luke: ci sono dei ragazzi che all’inizio non ne vogliono sapere, preferiscono scappare o non vedere. Ma nella vita, come nella Forza, ci si imbatte, e d’improvviso c’è da crescere, da pilotare il Falcon, da abbattere i caccia e usare la spada laser, da trovare il proprio ruolo ed il modo per salvare la Galassia.
Il Maestro c’è, ma è lontano: è sparito dalla circolazione perché ha fallito. Bisogna fare da soli, e lo si troverà, forse, soltanto alla fine.
Per creare un nuovo inizio si deve partire dalla fine: lo sa R2-D2, che si desta dalla modalità «risparmio energia» e mostra a BB-8 come la sua mappa sia solo l’ultimo, piccolo tratto di un percorso che ci accompagna da quarant’anni, e che è riuscito a prenderci per mano di nuovo.