Film

Storia di un fantasma – Anche un lenzuolo può emozionare

Se mi avessero detto “Andiamo al cinema a vedere Storia di un fantasma?”, di sicuro avrei accettato con riluttanza dal momento che quello delle “case infestate da anime in pena” è un filone che mi ha sempre interessato poco (parliamoci chiaro, a parte Shining e Crimson Peak, questo tipo di storie non si somigliano un po’ tutte?). Tuttavia, eccomi qui a parlare di questo lungometraggio di David Lowery (il regista di Old Man and the Gun) con una coppia di talenti di prima fascia come Rooney Mara e Casey Affleck. Un film davvero bello e sentito, ennesima chicca di quella A24 che ormai da una decina d’anni ci ricorda che il cinema di valore ancora non è morto.

Storia di fantasma non è un film dell’orrore, eppure parla di cose che nella vita di tutti i giorni ci possono fare molta paura, ovvero solitudine, l’incomunicabilità, l’impossibilità di agire sulla morte… sono concetti concreti, angosciosi, pesanti come un macigno, difficilissimi da trattare in un film se non si è dotati del giusto tatto. Lowery, sorprendentemente, questo tatto ce l’ha e sa farne buon uso.

Protagonisti di questa piccola storia universale sono C (Affleck) e M (Mara), una coppia trasferitasi in periferia la cui relazione viene bruscamente interrotta da un’incidente stradale che causa la morte di lui. L’uomo, però, si ripresenterà in forma di fantasma avvolto da un lenzuolo bianco, facendo da spettatore passivo degli sforzi dell’amata di elaborare la tragedia, nell’attesa di trovare finalmente pace.

A uno sguardo superficiale, Storia di un fantasma può sembrare un cortometraggio inutilmente allungato. Se resistiamo alla tentazione di snobbare la dilatazione degli eventi e la “statica” compostezza di una regia pronta a riprendere in tempo reale momenti in apparenza poco cinematografici (il doloroso piano-sequenza di cinque minuti in cui una malinconica M consuma una torta salata vi rimarrà impresso per sempre), si comprenderà quanto il lavoro di Lowery abbia saputo cogliere quel vuoto interiore in cui ci esiliamo quando siamo oppressi da un dolore più grande di noi.

Si parla poco; per paradosso i silenzi diventano violenti e assordanti; molto spazio viene concesso a inquadrature lunghissime, a panoramiche soavi e a carrelli leggiadri; il tutto viene fotografato dalla lente impeccabile e gelida di Andrew Droz Palermo, con un formato 1.33:1 / 4:3 dai bordi leggermente arrotondati che dà all’insieme un gustoso tocco old-style. Si tratta di un modo molto atipico di raccontare una storia di questo tipo (attento pure alla giusta esaltazione del comparto sonoro), perché concede allo spettatore la possibilità di esaminare ogni particolare scenico mentre le sensazioni dei protagonisti fanno breccia nel suo cuore.

Nella seconda parte di Storia di un fantasma, il film sembra prendere una piega alla The Others con Nicole Kidman, ma si capisce subito si tratta di una scelta determinante per imbastire un saggio visivo sulla frustrazione dello spirito di C, imprigionato in un limbo che trascende ogni dimensione relativa pur rimanendo ancorato a un mondo corporeo.

Al minimalismo della sceneggiatura (è tutto un loop temporale con relativo paradosso?) è contrapposta l’eccezionale chimica tra i due protagonisti. Tanto è sublime la naturalezza con cui Mara passa dall’iniziale serenità affettiva alla fragilità del lutto, in egual misura Affleck risulta commovente nell’evocare sentimenti di smarrimento attraverso il tessuto del suo candido lenzuolo. È solo grazie a loro se lo spettatore può provare sensazioni così palpabili di familiare sofferenza silente.

E per quanto riguarda Lowery… pochi registi oltre a lui hanno saputo piegare così bene il cinema per parlare delle disillusioni contemporanee, rielaborando mille suggestioni artistiche con un’originalità di sorprendente efficacia.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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