Ho visto il pilot di Strange Angel e quello di Picnic at Hanging Rock, due nuove serie surreali e orrifiche uscite quest’estate, che con il caldo si sa, è risaputo, tutti i demoni escono ancora più volentieri. Perché ci sono cose terribili e meravigliose nascoste, che ogni tanto fanno capolino alla luce del sole.
Entrambe le serie proiettano lunghe ombre di mistero, ognuna con mezzi e artifici propri e particolari, e riescono a gettare lo spettatore in mezzo all’ignoto.
Strange Angel è una sorta di biopic super romanzato di Jack Parsons (interpretato da Jack Reynor), l’ingegnere missilistico ideatore del combustibile solido per razzi, frequentatore della cerchia di Aleister Crowley e seguace di Thelema e stretto amico di Ron Hubbard, fondatore di Scientology (la tranquillità insomma).
La serie fa suo tutto l’armamentario mistico, esoterico e inquietante che da sempre aleggia intorno alla vita di Parsons, tra l’altro per chi l’ha letto impossibile non pensare alla parte a lui dedicata nel romanzo uscito lo scorso anno Le vite segrete di Twin Peaks di Mark Frost; fin da subito si è gettati anche in questo caso nel cuore del problema: Parsons vuole di più, vuole far funzionare a tutti i costi l’esperimento che sta portando avanti con l’amico Ed, è curioso, caparbio e noi lo sappiamo, mentre lo vediamo armeggiare con il fuoco o lo vediamo seguire di nascosto il suo nuovo ambiguo vicino di casa Ernest, sappiamo che Jack evocherà qualcosa. Perché è affascinato da ciò che è nascosto e perché tutto intorno a lui gli elementali risuonano, e in ogni scena brilla magnetico il fuoco o luccicano cattive le stelle.
In ogni scena c’è qualcosa in attesa; che sia una promessa proveniente dall’occulto o un nuovo tassello di comprensione nel suo esperimento la sensazione di inadeguatezza già presente nel pilot è estrema. David Lowery fa cadere a pennello su tutta la puntata un’aria squisita di maledizione.
L’unica nota da fare è che sembra esserci bisogno di un sacco di tempo per raccontare qualcosa. I tempi sono fin troppo distesi e potrebbe essere detto molto di più, senza farci tranquillizzare e acclimatare senza motivo. Certo è che alla fine del pilot siamo in attesa di scoprire quale sarà il prossimo passo di Jack e quanto questo lo porterà a risvegliare il suo demone di fuoco.
Picnic at Hanging Rock invece sguazza in un’atmosfera molto più gotica e fantasmatica.
Basato sul romanzo di Joan Lindsay, già adattato nel film del 1975 di Peter Weir, è la storia della scomparsa nel giorno di San Valentino del 1900 di quattro ragazze appartenenti a un collegio australiano. Se in Strange Angel si aveva l’impressione di essere svegli e in procinto di scoprire un passaggio segreto per un mondo demoniaco qui si tratta invece di vivere un lungo sogno lucidissimo.
Hester Appleyard (Natalie Dormer) regola il suo collegio con fierezza e rigidità estreme, nascosta dietro a delle lenti da Ozzy Osbourne, e scena dopo scena è sempre più chiaro che qualsiasi cosa stia per accadere, e sappiamo fin dall’inizio che queste benedette ragazze spariranno, lei soltanto è la chiave e il problema. L’utilizzo curato di ogni parola, l’attenzione per ogni piccola ossessione e dettaglio, anche in questo caso c’è qualcosa che aspetta nell’ombra, anfrattato nell’enorme collegio, o che molto probabilmente ha già finito di aspettare da tempo.
A differenza di Strange Angel qui la narrazione procede con un ritmo ben più sostenuto e non si perde in lungaggini: del resto è chiaro che c’è molto da raccontare e che molto probabilmente tutte le domande non sono abbastanza.
Ricapitolando: passate entrambe, grazie all’aura mefistofelica che trasudano. Sicuramente Picnic at Hanging Rock riesce ad affascinare lo spettatore in misura maggiore: fotografia, costumi e aria trasognata e crudele mettono in ginocchio la noia. Vedremo invece quanto sarà oliato il meccanismo nella storia di Jack Parsons.