
Stranger (Сторонній): Tanto pesce sul fuoco
“[…] So di essere un estraneo, uno straniero in questo secolo e tra coloro che sono ancora uomini.”
(H. P. Lovecraft)
Con questo aforisma del demiurgo di Providence si apre Stranger (Сторонній), film ucraino del 2020 scritto e diretto da Dmitriy Tomashpolsky, presentato al Ravenna Nightmare Film Festival. L’opera parte come un noir venato di soprannaturale: nel bel mezzo di uno spettacolo, un intero corpo di nuotatrici sincronizzate scompaiono sott’acqua senza lasciare traccia. Stessa sorte toccherà a una donna intenta a fare il bagno in piscina. Le indagini sull’accaduto condurranno la detective Gluhovsky (Anastasiia Yevtushenko) a una clinica dedicata all’idroterapia, gestita da poco raccomandabili infermiere, e da qui il tutto si svilupperà attraverso enigmatici risvolti, parenti prossimi della fantascienza e dell’horror.
Almeno sulla carta, Stranger è un sentito atto d’amore nei confronti delle stravaganze di Lovecraft, con un occhio di riguardo per Twin Peaks. Ma se in un recente gioiellino come Color out of Space il buon Richard Stanley ha dimostrato una volta di più che non basta inquadrare di sfuggita una copia del Necronomicon (o mettere qui e là qualche repellente uomo-pesce) per fare un film “lovecraftiano“, non si può dire lo stesso per questo titolo, privo di una storia corposa che dia un senso al citazionismo e al contatto dei personaggi con un orrore cosmico. Tomashpolsky imbottisce la sceneggiatura di riferimenti colti (La montagna incantata di Thomas Mann è quello più ricorrente) e dissemina per tutta la durata una serie di misteri, spesso dall’enorme portata esistenzialista, senza poi preoccuparsi di fornire anche solo un accenno di risposta. E non si tratta di voluto ermetismo, ma di vera e propria inconcludenza.
Stranger è un autocompiaciuto e confusionario labirinto narrativo, che accumula stranezze a piene mani ma paradossalmente non riesce mai a diventare abbastanza folle ed eccentrico da regalare almeno un’esperienza sensoriale intricata ma avvolgente, come sanno essere appunto i lavori di Lynch o, per rimanere su lidi meno d’essai, di Nolan (la rappresentazione del tempo in alcune scene può ricordare addirittura Tenet). Stranger disorienta ma non appaga, e scorre piatto come l’elettrocardiogramma di un morto, senza guizzi né vere idee, queste ultime ampiamente riciclate dall’operato di Gore Verbinski (La cura dal benessere) e Guillermo Del Toro (La Forma dell’Acqua), per poi buttarla spesso e volentieri sulla stantia soluzione del surrealismo onirico.
Doppelganger, uomini-pesce provenienti da altre dimensioni e dozzine di figuri in gialle tute ignifughe sono la malta per una costruzione estetica impressionante. La coordinazione baviana di colori opachi e particolari liquidità luminose permette al regista ucraino di confezionare alcune magistrali inquadrature, ma delle immagini forti (supportate da un’ottima colonna sonora elettronica) non possono salvare da sole un film che non decolla mai, poco entusiasmante anche per colpa di un casting farraginoso.
Nei tempi di remake mediocri e inutili “operazioni nostalgia” in cui versiamo, è necessario che le sale si nutrano di titoli coraggiosi e sovversivi; ma Stranger è un film che può ottenere un vero riscontro solo tra i cultori della stranezza fine a sé stessa, gli unici che potrebbero avere tempo e volontà sufficienti a ricamare stendardi analitici sopra le innumerevoli allegorie, vere o presunte che siano. Se si riesce ad accettare la latitanza di nessi logici e la completa casualità con cui fanno capolino peculiarità fantascientifiche e allusioni alla letteratura lovecraftiana, allora si è trovato il meglio che il cinema ha da offrire.
Un film noioso e poco efficace che, oltre a regia e musica, ha un altro pregio da offrire: dura poco meno di un’ora e mezza.