L’abbiamo aspettata tanto e alla fine Stranger Things 2 è arrivata: vediamo se è valsa l’attesa!
Netflix ha fatto di Stranger Things la sua punta di diamante: la prima stagione, con soli 8 episodi, ha incantato tutti. Nulla di sorprendente quindi nel sentirci dire subito che un anno dopo avremmo avuto Stranger Things 2. Con la scusa infatti, la sottoscritta ha compiuto ben due rewatch e si è sparata i 9 nuovi episodi in un weekend.
Quindi ora sono pronta. Dopo lunghe riflessioni, ho deciso di partire da un presupposto: Stranger Things è una serie che funziona perché tende ad accontentare tutti. Sul serio, se ci fate caso nello stile e nei contenuti annovera elementi di ogni tipo che vanno incontro a più o meno tutti i gusti. Perciò se mi leggi e ti fa schifo Stranger Things: mi dispiace davvero tanto, l’ultimo anno deve essere stato duro per te.
Ho tuttavia voluto pensare anche a te, o lettore astioso, e dividere questo articolo in pro e contro di questa tanto attesa seconda stagione. Perciò porta pazienza, che ne uscirai compiaciuto anche tu.
Pro
Partendo dalle ovvietà, Stranger Things 2 ci fa mostra di una fotografia da sballo. D’accordo, per me tende ad essere uno degli elementi più appaganti di un qualsivoglia prodotto cinematografico, ma qui credo di essere oggettiva. Già la prima stagione aveva regalato tanto, ma in questo secondo lavoro la fotografia diventa più determinante e osa di più, facendosi ancora più scura e tetra, giocando spesso coi toni apocalittici assunti dalle visioni di Will. Inoltre in generale fornisce numerosi frame dalla composizione quasi pittoresca, regalando persino scorci di periferia dall’aspetto affascinante.

Secondariamente, ma non per importanza: la colonna sonora. Ragazzi io vorrei seriamente che si desse un Oscar al lavoro che si cela dietro le scelte musicali di Stranger Things 2, sia quelle composte appositamente sia per i brani preesistenti. Spesso non siamo in grado consciamente di renderci conto di quanta rilevanza abbia una colonna sonora nel prodotto finale, e men che meno ci capacitiamo di quanto lavoro ci sia dietro non necessariamente alla composizione ma anche alla selezione (e se volete due parole in più al riguardo leggete qui). Ecco, Stranger Things 2 ci sbatte in faccia chiaramente la rilevanza di un buon lavoro musicale, dal momento che non esiste un sottofondo fuori posto o irrilevante nei 17 episodi complessivi. Sul serio, dall’eterna Should I Stay Or Should I Go, passando per il tema dei Ghostbusters fino ad arrivare a un ansiosissimo beat utilizzato per sottolineare l’utilizzo del codice Morse in una sequenza. Tutto è perfettamente dove deve essere.
Passando poi ad aspetti più contenutistici, la nota di merito va sicuramente ai personaggi: nel corso di questa seconda stagione sono stati approfonditi alcuni aspetti interessanti che non avevano trovato posto nella prima parte della vicenda, mentre altri sono stati semplicemente posti ulteriormente in evidenza. Un esempio è sicuramente Hopper, il capo della polizia, e il suo male di vivere / bisogno di dare e ricevere amore, che lo hanno consacrato ad essere il mio personaggio preferito della serie. Più evidente risulta però lo sviluppo dei protagonisti, dove un elemento che è stato tenuto bene in considerazione è quanto diverso possa essere un ragazzino di quell’età anche solo da un anno all’altro. I quattro ragazzi mantengono invariati i loro interessi e stili di vita, ma la loro coscienza e percezione delle cose è più complessa e profonda, e laddove non riesce ad esserlo si scontra con la complessità del reale (e del paranormale).
Emblematica in questo senso è la figura di Undici: la ragazzina attraversa, in questa stagione, un momento che può essere metafora dell’arrivo all’adolescenza, quando si ritrova a dover, fondamentalmente, decidere se utilizzare i propri poteri come sfogo della propria rabbia e sofferenza per quanto subito o se asservirli a uno scopo più alto, che implichi l’altruismo e in qualche modo il perdono, qualcosa che significhi utilizzare anche la rabbia, ma in modo più costruttivo. Tuttavia, in una serie piena di elementi paranormali, la ragazzina compie il percorso in modo verosimile, lasciandosi quindi trasportare, dapprima, dal fascino dell’identità ribelle e anche violenta che le viene offerta.
Insomma che l’unione di questi aspetti offre una seconda stagione che diventa più inquietante e tetra della primo con tutte le motivazioni per esserlo, e soprattutto, pur mantenendo lo stile tutto tributario agli anni Ottanta alla Stephen King, aggiunge degli elementi di sviluppo più autonomi e originali.
Contro
Come ho detto ci sono dei “ma”: il primo fra tutti, già a tratti presente nella prima stagione, è quello di certi fail interni alla trama, o la presenza di passaggi poco chiari. Sicuramente, senza fare troppi spoiler, non è molto plausibile che due sedicenni riescano a portarsi un registratore enorme per ottenere una confessione all’interno di una base scientifica dove tutti gli esperimenti in corso stanno venendo effettuati nella massima segretezza, per fare un esempio. Ragazzi, siamo pure negli anni Ottanta, non è una microspia, è un registratore di quelli belli grossi. Siamo seri.
Inoltre ho trovato davvero poco esaustive le spiegazioni del rapporto di Undici col Sottosopra: perché lei non ne viene contaminata? E perché dopo un finale di stagione nel quale sembrava che per salvare il mondo la ragazza fosse confinata là dentro per sempre poi scopriamo che ne è uscita nel giro di due minuti è riuscita ad uscirne? Non ho trovato spiegazioni abbastanza convincenti, e poteva essere interessante sviluppare meglio la cosa.
Il punto che risulta più fastidioso però è quello che mi tocca più nel vivo quando si tratta di serie TV, ed è l’esistenza stessa di una seconda stagione. Per quanto io l’abbia guardata volentieri e apprezzata per molti aspetti, ho trovato questa seconda stagione molto più lenta della prima. Chiariamoci, anche la prima non andava proprio velocissima, ma dava tutte le motivazioni in termini di suspence e di elementi ancora da sviluppare. Questa seconda stagione poteva spiegare cose che non ha spiegato, e mi può anche stare bene, ma non ha, così facendo, una ragione per scorrere così lentamente. Di conseguenza non risulta necessaria, pur essendo comunque ben fatta e non arrivando – come spesso accade – a rovinare la prima.
Serialità, che passione
Insomma, ho passato l’ultimo anno a discutere con chi si dichiarava apertamente contro l’esistenza di una seconda stagione di Stranger Things, perché in fin dei conti mi aveva lasciato aperte molte domande. Dove fosse finita Undici, se fosse ancora viva, come Hopper si legasse a lei, cosa fosse successo a Will, cosa esattamente fosse questo Sottosopra. Questa seconda stagione ha risposto a queste domande solo parzialmente, trovando sì un buon pretesto di trama su cui basare i nuovi episodi, ma che alla fine risulta superfluo. E lo risulta perché la prima stagione funzionava perfettamente ed era un capolavoro per i motivi per cui lo risulta anche la seconda, che aggiunge poco in termini qualitativi. Non mi servivano altri 9 episodi per sapere che cosa rendesse Stranger Things straordinaria, e a conti fatti potevo benissimo tenermi il finale aperto.
Come tanti però, come tutti, ho gioito e atteso questa seconda stagione per l’affetto che mi ha legata ai personaggi, agli ambienti, alla vicenda intera. Come molti però, spero, mi sono stufata di questo continuo lucrare su questo fenomeno di affezione, che nasce sì per via del talento di chi crea i personaggi, ma non è buon motivo per proseguire girando a vuoto su una trama che andava già bene alla prima stagione o, come in altri casi, per rovinare letteralmente dei capolavori.
Quindi starò qui a brontolare per la ventura terza stagione e a scannarmi con chi la attende ansiosamente.
Caro lettore a cui Stranger Things non piaceva da subito, spero tu sia soddisfatto.
