
Sucker Punch: l’unico vero trionfo di Zack Snyder
C’è questo disegno, che l’altro giorno Facebook mi ha sbattuto davanti agli occhi di buon mattino, e mi ha fatto venire voglia di rivedere Sucker Punch.
Un uomo vestito di grigio cammina per la strada, con lo sguardo fisso su di un insetto svolazzante. La sua ombra sul muro proietta lui stesso, con armatura e spadone, in un combattimento con una specie di drago/libellula gigante. La morale è scritta sotto, come al solito: l’immaginazione è molto più interessante della realtà.
Ecco, questo è un bel filo rosso, che ha dato vita ad una serie di opere in tutti i campi dell’arte, da Lewis Carroll con la sua Alice, fino a quel pazzo di Zack Snyder. Che adesso si è andato a complicare la vita con le versioni per il grande schermo della DC Comics, ma questa è un’altra storia (per fortuna). La citazione di Carroll non è casuale: è stato lo stesso Snyder infatti, quando il film è uscito nel 2011, a descrivere Sucker Punch come “un’Alice nel paese delle meraviglie con le mitragliatrici”. Ha anche detto che “è la cosa più folle che abbia mai scritto”, e ha ragione da vendere. E’ difficile essere completamente pazzi ed avere successo, ci riescono solo in pochi: Snyder, con Sucker Punch, infatti non ci è riuscito, e il film non ha avuto l’eco che probabilmente meritava.
Siamo negli anni Cinquanta e, sulle note di una meravigliosa (come il resto della colonna sonora) cover di Sweet Dreams, scopriamo la storia di Baby Doll (Emily Browning): la ragazza viene ingiustamente rinchiusa in manicomio, perché il padre (un sadico violento e assetato di denaro) dà a lei la colpa dell’omicidio della sua sorellina. Per farla breve, il padre la fa internare perché vuole che sia lobotomizzata.
E’ a questo punto che la storyline di Sucker Punch si divide in tre, o per meglio dire, si scompone in tre universi differenti, uno racchiuso dentro l’altro come fossero matrioske. C’è il mondo primario, che è il manicomio, con l’attesa da parte della giovane del medico che verrà dopo cinque giorni a piantarle quello spunzone orrendo al centro della testa. C’è il primo livello dell’immaginazione di Baby Doll, che trasforma il manicomio in una sorta di bordello per signori, dove le ragazze si esibiscono per i pezzi grossi della città, e poi li “fanno sentire speciali”. E poi c’è il terzo livello, l’immaginazione nell’immaginazione: Baby Doll vuole scappare insieme alle sue compagne dal bordello (e quindi, in realtà, dal manicomio), e la sua arma principale è la sua danza. Ballando, diventa tutt’uno con la musica, fino ad auto-trasportarsi in un terzo universo che assomiglia tanto ad un videogioco.
Ed è qui che, se non bastasse già questa intelaiatura fatta a scatole cinesi, si scatena l’estro di Snyder.
Sucker Punch si presenta allo spettatore come un frullato visivo, che mette insieme tutta l’estetica (cinematografica e non) della cultura di massa di questi anni: può essere scomposto ed essere visto come una serie di film dentro il film, e c’è di tutto. Si passa dai duelli con le katane (di sicuro memori di Kill Bill, e come potrebbe essere altrimenti?) al film di guerra contaminato con l’invasione zombie, al fantasy con gli orchi e i draghi, ad una sorta di distopia fantascientifica. Ma qual è il nesso? Che cosa lega questi universi, fino a renderli parte, in realtà, della stessa storia, che è la Storia di Sucker Punch? Semplice: a tenere insieme questi mondi (che animano, evidentemente, la testa del nostro Snyder) è l’immaginazione capace di crearli.
Ed è proprio alla fine che Baby Doll capirà che l’arma più importante, per affrontare un viaggio del genere, non è una danza, non è una katana o un fucile, e non sono le tette (nonostante il film sia fatto anche di quelle meravigliose inquadrature e sequenze quasi soft-porn che fanno pensare all’estetica della gothic lolita giapponese).
L’unica arma in grado di farci fuggire da qualunque posto, da qualsiasi prigione e da qualsiasi costrizione o condizionamento, è la nostra immaginazione: serve solo quella, per poter combattere.
Immaginazione, e una forte dose di sospensione dell’incredulità. Ecco che cosa chiede Sucker Punch: accontentatelo, sarete ricompensati.