
Super 8: biciclette, cineprese e altre nostalgie anni ’80
Full disclosure: davanti allo schermo sono una gran fifona.
Mi ci vuole sempre qualcuno che abbia i riflessi pronti per mandare avanti il film, o per schiaffarmi un cuscino davanti alla faccia, o che alla peggio stia lì e mi tenga la manina.
Capirete bene quanto sia difficile per me campare in un momento storico in cui coesistiamo io e un grosso problema di nome Stranger Things. Perché io volevo vedere Stranger Things.
È bastata la prima comparsa su Facebook di “Tizio infoiato con le serie tv sta guardando Stranger Things e che tutti lo sappiano”, e la prospettiva della magica combo ragazzini in bicicletta – avventure all’aperto in bicicletta – giretti notturni in bicicletta – biciclette. Questo era sufficiente a farmi tornare in mente la mia epica infanzia, anche se le mie avventure fra i canneti lacustri somigliavano più alle scorribande del piccolo Elio Germano con i cazzutissimi Intoccabili che a quelle di Mike, Dustin e Lucas alla ricerca di Will (SO ANCHE I NOMI!!!).
Ma niente, non ce la faccio, la paura di esalare l’intero sistema cardio-circolatorio fino all’ultimo capillare è ancora troppo forte nel mio delicato cuore, perciò niente Stranger Things. E poi la mia fanciullezza è stata tormentata dal pinguino di Wallace & Gromit, demoniaca figura che occasionalmente infesta ancora i miei incubi, quindi dai, di cosa stiamo parlando.
Siccome però l’hype per la smaccata ri-messa in scena degli anni ’80 era troppo, ho ritirato fuori Super 8, il film che ha il superpotere della Risoluzione Più Bassa Ogni Volta Che Lo Vedo, roba che se chiudi gli occhi riesci a sentire l’eco lontana del videoregistratore che nel 1997 mangiava il nastro della tua videocassetta preferita per porre fine alle sue sofferenze una volta per tutte.
Affrontare i propri mostri per il background cultural-visivo del pubblico. Ciao, Freud.
Dai, su, siamo lì.
Ragazzi, a me questo film fa venire gli occhi a stellina di capodanno ogni volta che lo guardo. È troppo anni ’80 (ma dai? È fatto apposta). C’è la vita di provincia americana, c’è il gruppo di ragazzini uno peggio dell’altro, c’è la meravigliosa ragazzina un po’ outsider, c’è il loro progetto di girare un film di zombie con una cinepresa (cioè, CINEPRESA!, non sentite che suono vintage? Dovremmo usarlo più spesso), c’è la fantascienza, gli alieni, le biciclette (l’avevo già detto?) e tante altre cose che magari sono sempre quelle, ma che continuano a fare il loro glorioso dovere.
E poi c’è una scena alla Dawson’s Creek che farebbe piangere di vergogna Dawson e Joy (ah beh, non succedeva mai) per quanto è bella e per quanto è Dawson’s Creek senza essere Dawson’s Creek, la cui potenza emotiva si riassume tutta nello scambio di battute fra Alice e Joe:
“Lo so, io non ti conosco ma è come se ti conoscessi. Tu non provi la stessa cosa?”
“No… cioè, è come dici tu… è che io sono sorpreso di questa conversazione”
…e in quello che succede subito dopo… niente di romantico in senso stretto, mi dispiace, ma ripeto: Dawson e Joy, tornatevene nelle vostre casette di Capeside con la coda fra le gambe.
LA scena.
Fantastica fantascienza
Ma non facciamo partire l’embolo sci-fi prima del tempo. Intanto, siamo in Ohio ed è l’estate del 1979 (dai, su, arrotondiamo). I nostri eroi neoadolescenti stanno girando una scena del loro film nel posto sbagliato al momento sbagliato (o giusto? Forse giusto): una minuscola stazione, un treno che passa e che potrà dare alle riprese quel quid in più, un disastro ferroviario del medesimo treno. Nel terribile incidente, qualcosa fugge dai vagoni e in poco tempo sconvolge la città, lasciandosi dietro una scia di sparizioni di oggetti tecnologici, cani, e anche persone. Il gruppo giura di non far mai parola di quello a cui ha assistito, ma rimanere fuori dagli eventi è impossibile, specialmente quando questi sono stati, inconsapevolmente, impressi sulla pellicola della cinepresa.
Siamo anche davanti a un lavoro firmato J.J. Abrams e Steven Spielberg, e scusate tanto. Abbiamo un Abrams che però non fa il remake di Spielberg, piuttosto gli fa un omaggio, che aderisce ai topoi dei primi film dell’Amblin Entertainment, ma allo stesso tempo ci mette molto del suo: c’è molto più mistero, c’è più suspence, ci sono alieni che non sono dei teneri E.T. ma dei personaggi mostruosi dal carattere un po’ più sfaccettato – e forse la distinzione maggiore Abrams/Spielberg è proprio questa.
C’è poi un casting fatto a regola d’arte, nel quale spicca un’eccezionale Elle Fanning (vista di recente in The Neon Demon), che tra l’altro con questo film si è beccata un sacco di nomination come miglior attrice non protagonista e miglior performance (scusate ancora). Il gruppo dei ragazzini funziona in una maniera adorabile, la loro micro-storia all’interno della trama principale è fantastica.
Cool kids
Una delle cose che preferisco di Super 8 sono i tanti rimandi ai temi e alle situazioni che caratterizzano una grossa fetta (quella buona) della letteratura per ragazzi. Prima situazione su tutte, l’inizio del film: Joe Lamb, il protagonista, perde la madre in seguito a un incidente sul lavoro. Questa morte mette in crisi un rapporto padre-figlio già faticoso, ponendo Joe nell’Olimpo di quegli eroi letterari che possono vivere grandi avventure proprio per il fatto di essere separati dai loro genitori (alzi la mano chi da piccolo, quando veniva messo in punizione, sognava segretamente di essere stato adottato e di partire il giorno stesso alla ricerca della sua legittima famiglia).
Il signor Lamb, che è anche lo sceriffo della città, vorrebbe proteggere Joe dal dolore del lutto pianificando per lui la prospettiva di un tranquillo campo estivo sportivo non meglio specificato (c’entra qualcosa il baseball, e dopotutto siamo in America), ma Joe preferisce trascorrere l’estate con i suoi amici (e “Devo aiutare Charles con il suo film” è una spiegazione anche troppo esaustiva).
Il tempo speso ad architettare i progetti più grandi e più assurdi insieme al proprio gruppetto di amici, progetti di cui “i grandi” non hanno minimamente idea, è un altro fondamento di questa storia. E parliamo del personaggio di Alice Dainard: sì, ok, la bionda e schiva Alice viene coinvolta nel progetto del film per questioni dichiaratamente sentimentali, ma è pur sempre una femmina in una banda di maschi e una loro pari fin da subito, quando li viene a prendere tutti a bordo dell’auto del padre guidando (ovviamente) senza patente.
“Get in loser, we’re going shopp…ah no, era un altro film”
Last but not least, Super 8 è anche una festa per gli occhi: una continua ribattuta di luci naturali e artificiali, aloni e ombre, oscurità squarciata da fasci luminosi, contrasti forti e colori desaturati.
E se proprio tutto questo non basta a catturare anche voi spettatori più reticenti, sentite cosa vi dico: merita la visione anche solo per la performance canora dei nostri in My Sharona mangiando liquirizie rosse.
Sensazionale.