Film

Synecdoche, New York: L’arte è l’unica soluzione per salvarci o per non pensare alle nostre vite incasinate

La fine è costruita nell’inizio

Partiamo proprio da qui per dire che Synecdoche, New York è subito diventato uno dei miei film preferiti. Sarà che mi manca terribilmente il Conte Philip Seymour Hoffman, sarà che è il classico film strano che ti mangia pian piano il cuore e l’anima perché non ha paura di sbatterti in faccia una malinconia tremenda, ricca però di sogni e follia. È un po’ come quando ti viene da piangere perché sei troppo felice. Si sente quella sensazione mista alle paranoie, di quando tutto sta andando finalmente per il verso giusto, con la percezione però  di presagi nefasti.

Kaufman sceneggiatore di culto per capolavori come Eternal Sunshine of the Spotless Mind o Essere John Malkovich, per chi non lo conoscesse, molto male, è il classico personaggio che gli vuoi un bene della madonna oppure lo consideri uno svitato senza cervello dal quale è meglio stare alla larga. Ovviamente i film o i registi più sono strambi e fuori di testa, con me partono avvantaggiati, e ve lo dice uno che è rimasto deluso dagli ultimi film di Lanthimos perché quasi commerciali.  Prendete  quindi questa affermazione con le pinze o meglio con le chele. (Battuta che possono capire solo i veri fan del regista greco.)

Ma questo cosa cazzo sta dicendo?

Paradossalmente, Synecdoche, New York potrebbe sembrare l’ultimo film di Kaufman, in realtà è il suo esordio da regista. Brillante, così ricco di dettagli da sembrare un opera testamento. La vita e la morte sono collegate attraverso storie che non esistono, personaggi che si sdoppiano e si scambiano le proprie esistenze. Il tutto avviene in maniera surreale e armoniosa.

Caden Cotard è un regista teatrale, ipocondriaco e pieno di problemi sentimentali. Sposato con Adele (Catherine Keener già vista in Into The Wild, un altro dei miei film preferiti), rimane scombussolato quando lei parte per una breve vacanza a Berlino insieme alla figlia.

Se le cose sembrano andare male, arriverà una buona notizia che risolleverà l’umore dell’uomo. Grazie ad un importante finanziamento potrà lavorare su un nuovo e complicato progetto.

Un hangar abbandonato diventa  così il luogo perfetto per ricreare una personale New York. È un piccolo Truman Show all’inverso, dove tutti subiscono il fascino o la maledizione delle vite interpretate, che rimangono attaccate sulla pelle anche fuori dallo Show e giù dal palco. Caden che diventa la donna delle pulizie o Sammy che si trasforma nello stesso Caden.

Non c’è cosa più pirandelliana di vedere le diverse reazioni di chi, stufo e deluso dalla propria esistenza cerca una nuova speranza, nei panni degli altri. Come quando magari si è treno o in un altro luogo pubblico affollato di persone e iniziamo a chiederci che lavoro farà quell’uomo, quella ragazza quando tornerà a casa ha qualcuno che l’aspetta o altre cose del genere. Forse sono un tantino problemi da psicopatici, però a me è capitato di essere  stato incuriosito dalle vite degli altri e iniziare a farmi inutili film mentali.

Alla vita alla base di questi procedimento c’è il bisogno di interpretare la vita con quel tocco artistico e creativo. Scrivere alcune frasi tra le note del telefono prima di dormire, rivedere una determinata scena in loop o disegnare qualche scarabocchio sono piccoli rimedi per staccare il cervello e farsi lasciar trasportare dall’arte in un mondo lontano e fuori da ogni logica.

Caden cerca di liberare se stesso attraverso il teatro, rimanendo però bloccato dentro qualcosa più grande di lui. Kaufman allo stesso tempo, girando questo film diventa inconsapevolmente vittima di se stesso, delle sue ossessioni esponendosi di fronte a qualcosa più grande di lui.

Anch’io guardando questo film e scrivendoci una recensione sopra, sono diventato vittima dell’arte. Le mie emozioni sono state catturate dalle immagini e dalle parole che leggete qui, in una liberazione a tratti catartica.

Devo ammettere che ho visto Synecdoche, New York in un periodo abbastanza incasinato della mia vita. Se da una parte non mi voglio rassegnare alla mediocrità e sono pronto a combattere anche contro i mulini a vento per fare e vivere di quello che mi piace, dall’altra sento nelle parole di mia madre la voce di Mark Renton.

“Scegli la vita, scegli un lavoro, scegli una carriera, scegliete la famiglia, scegli un maxi televisore del cazzo. Scegli lavatrice, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici.
Scegli la buona salute, il colesterolo basso, la polizza vita, scegli un mutuo a interesse fisso, scegli una prima casa, scegliete gli amici,scegliete una moda casual e le valigie in tinta. Scegli un salotto di tre pezzi a rate ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegli il fai da te e chiediti chi cacchio sei la domenica mattina. Scegli di sederti sul divano a spappolarti il cervello e lo spirito con i quiz mentre ti ingozzi di schifezze da mangiare,alla fine scegli di marcire di tirare le cuoie in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi. Scegli un futuro, scegli la vita!”

Beh per adesso, riesco ancora a vivere d’aria e conservare quello spirito ribelle che mi permette di  sperare in qualcosa di meglio.

Un futuro in cui purtroppo non ci ha più creduto Philip Seymour Hoffman, trovato morto per overdose nel suo appartamento di, indovinate un po’, New York. Strana fatalità del destino se a mente fredda ripensiamo  proprio al film di Kaufman.

Tramite la metafora della sineddoche, citata nel titolo, possiamo osservare solo una piccola parte delle cose, utili per comprendere il tutto. Attraverso metafore, scene assurde e  trovate geniali come l’idea che sia normale vivere in una casa che continua a bruciare, entriamo dentro i tormenti di Caden, degli altri personaggi e  inevitabilmente anche in quelli del regista stesso.

 

È tutto più complicato di quello che pensi. Vedi solo un decimo di ciò che è vero. Ci sono milioni di fili attaccati a ogni scelta che fai; puoi distruggere la tua vita ogni volta che fai una scelta…E dicono che non esiste il fato, ma esiste: è ciò che tu crei. Anche se il mondo va avanti per una frazione di una frazione di secondo. La maggior parte del tempo lo passi da morto o prima di nascere.  Ma mentre sei vivo, aspetti invano, sprecando anni, una telefonata o una lettera o uno sguardo da qualcuno o qualcosa che aggiusti tutto. E non arriva mai oppure sembra che arrivi, ma non lo fa per davvero. E così spendi il tuo tempo in vaghi rimpianti o più vaghe speranze perché giunga qualcosa di buono, qualcosa che ti faccia sentire connesso, che ti faccia sentire completo, che ti faccia sentire  amato. È la verità è che sono così arrabbiato e la verità è che sono così triste, cazzo, e la verità è che ho sofferto, cazzo, per un cazzo di tempo lunghissimo, per quello stesso tempo in cui ho fatto finta di essere ok, giusto per andare avanti, giusto per, non so perché, forse perché nessuno vuole sapere della mia tristezza … Bè, vaffanculo a tutti.

Nicolò Granone

Simpatico, curioso, appassionato di cinema, sono pronto a esplorare l'universo in cerca di luminosi chicchi di grano da annaffiare e far crescere insieme a voi, consigliandovi ogni tanto film da scoprire qui alla luce del Sole.
Back to top button