
T2 Trainspotting – Quanto vale l’effetto nostalgia?
Ammettiamo subito una cosa. Ma ammettiamola tutti. Quando è uscita la notizia che avrebbero girato un sequel di Trainspotting ci si è stretto il buco del culo manco avessimo masticato un limone con le chiappe. Succede sempre così quando si tocca un prodotto che è diventato cult ancor prima che Danny Boyle vincesse la corsa con i suoi omologhi bianchi nuotatori.
Eppure alla fine è successo. Eccome se è successo. Per fortuna è rimasto tutto nelle mani del buon Danny, senza qualche matto scriteriato che si sobbarcasse un peso del genere. Villeneuve ormai non conta.
E quindi, dopo 21 anni dal primo capitolo, ecco che arriva T2 Trainspotting. Che sia basato sul secondo romanzo di Welsh, Porno, poco importava. Il terrore era massimo.
Ok, ma quindi? Com’è questo film?
Piano, perché la risposta non è per nulla facile. Vi tocca leggere la recensione, mi spiace. Premetto che ci potrebbero essere piccoli spoilerz, ma niente di serio, non rivelerò nulla di grosso. Giurin giuretto.
Perciò via che si va. La pellicola è ambientata esattamente vent’anni dopo che Renton è scappato dalla Scozia con le sedicimila (pardon, dodicimila) sterline dello scambio di droga. Il caro Mark decide di tornare a casa, per motivi che non sto a dirvi. Potete immaginare come possano essere contenti Sick Boy, Spud e Begbie di rivederlo. Soprattutto Begbie. Adorabile pazzo maniaco.
Bene, la storia parte da qua, e, avendo visto il trailer e conoscendo il background di T2 Trainspotting, riuscite a farvi un’idea del fatto che le cose non prenderanno proprio una buona piega.
Ma non è questo il punto. Il punto è che sono davvero passate più di due decadi. Per tutti. I personaggi possono ancora vivere le stesse “avventure” di quando avevano vent’anni? Risultando credibili?
La risposta, purtroppo, tende molto verso il no.
Chiariamoci subito e mettiamo in luce il problema maggiore di T2 Trainspotting. Che non è il titolo (ma davvero un semplice Trainspotting 2 non bastava?).
Il problema fondamentale è l’effetto nostalgia. Che è come una piccola manopola posta in un angolo seminascosto del nostro cuore, con la quale bisogna fare attenzione, saperne dosare il tocco, sfiorandola nei momenti giusti. Non si può spararla a tutto volume come quando parte la sigla di Dragonball Z.
Ecco, T2 Trainspotting è esattamente spaccato a metà dall’effetto nostalgia. Ci sono alcune scene dove Boyle esagera e inserisce i richiami al primo film in maniera fastidiosamente palese. E non mettendo un cesso lurido, ma proprio montando le stesse inquadrature del 1996 accanto a quelle del 2017. Come a dire “ehi, ti ricordi che Trainspotting è uno dei tuoi cult? Eccoti qua Renton che sorride di fronte a una macchina o che sta per cadere a terra con quel movimento così riconoscibile”. Momenti in cui ci si chiede “ma era così necessario?”. No, per niente.
Diciamo che a tratti è come un tipico prodotto di J.J. Abrams, con quelle strizzate d’occhio talmente palesi da farti venire un numero considerevole di cataratte.
Poi però ecco che arrivano altri momenti da nodo alla gola. Non quello che intendeva Hitchcock per fortuna. Perché quando Spud guarda la strada della celeberrima sequenza dell’inseguimento è da far venire il magone. Forse è quello l’apice vero di tutto T2 Trainspotting, il senso ultimo del tempo che passa e di chi ne viene travolto, incapace di crescere, di cambiare, di maturare. Che ci può anche stare, ma se dei quarantenni si comportano sempre e solo come se avessero vent’anni il giochino inizia a scricchiolare, e non poco.
E quindi T2 Trainspotting è un brutto film? No, è un film godibile. Però è un film con un passato estremamente ingombrante, che incombe scena dopo scena. Sarebbe un po’ come se il figlio di Totti dovesse esordire con la Roma. Per il figlio di Messi invece c’è ancora da aspettare.
Boyle, maturato con pellicole stupende come Steve Jobs, mantiene il suo tocco indie, aggiornandolo però al 2017, sia come temi che come splendida tecnica registica (fermi immagine, scavalcamenti di campo light, proiezioni sulle pareti, per non parlare degli omaggi al Nosferatu di Murnau e a Shining), tecnica molto videoclippara, se mi passate il termine. Il problema è che resta lì a metà, in questo limbo dove lo spettatore si aspetta la grana ruvida delle immagini del primo Trainspotting pur sapendo di non poterla ottenere, perché non è più il 1996.
Questo è T2 Trainspotting: un film a metà. Una pellicola piacevole se slegata totalmente dal primo film, cosa che però risulta impossibile. Un prodotto che si appoggia al suo passato senza mai riuscire a discostarsene. Se poi volete dirmi che è questo il senso ultimo del film, la metafora del fatto che non si può sfuggire al proprio sangue, allora vi rispondo che si poteva affrontare il tema senza tentare di replicare Trainspotting.
Però a questo punto, forse, tutta l’operazione era impossibile. Perché se si fosse cercato di fare un film diverso si sarebbe potuta perdere l’identità che ha reso il primo capitolo un cult, mentre aggrapparsi troppo al film del 1996 era come decidere di puntare soltanto sull’affetto viscerale che migliaia di fan hanno per la pellicola di Boyle.
Perciò la grossa questione è solo una: voi quanto siete disposti a sacrificare per la nostalgia? T2 Trainspotting corre a piedi nudi su questo filo rovente per tutte le due ore, ma lasciandosi dietro fin troppi brandelli di pelle. Vuole chiudere un cerchio, ma quel cerchio era perfetto proprio perché restava aperto.
Io voglio essere sincero: ho faticato a scrivere questa recensione. Perché adoro Boyle e tutto il suo cinema e, nonostante tutto, uscendo dalla sala non ero né arrabbiato né entusiasta. Ero lì a metà, con una brutta domanda che mi ronzava in testa, impossibile da zittire.
T2 Trainspotting che film è? Un film piacevolmente dimenticabile, del quale, alla fine della fiera, non c’era davvero bisogno.