“The sun may rise in the East/at least it settles in the final location“: è questa la filosofia che sta alla base di Californication, nonché la ragione per cui i Red Hot Chili Peppers hanno fatto causa a Tom Kapinos. Pare infatti che l’ideatore delle sette stagioni della serie prodotta da Showtime tra il 2007 e il 2014 abbia scelto il nome per la sua creatura, con il sottile gioco di parole con “fornicazione”, un po’ troppo a cuor leggero. E tuttavia, non è la cosa peggiore che gli si possa rinfacciare.
Kapinos ha infatti convinto una vagonata di adolescenti dall’ormone turbolento – ma anche, drammaticamente, parecchi espertissimi adulti – che il compianto e maledettissimo scrittore americano Charles Bukowski abbia le sembianze e il bel faccino di Hank Moody, al secolo l’ex detective di X-Files David Duchovny.
Hank Moody è un piacente scrittore newyorkese costretto suo malgrado a trasferirsi nella rozza e volgare Los Angeles – città d’elezione di Charles Bukowski – per seguire la trasposizione cinematografica della sua ultima fatica, God Hates Us All. Che tra le colline di Hollywood è stato prontamente trasformato in A Crazy Little Thing Called Love, giacché il grande pubblico non ha il palato per affrontare un filino di nichilismo patinato. Nel frattempo, cerca di barcamenarsi fra la compagna Karen, la bellissima Natascha McElhone, la figlioletta Becky (Madeleine Martin), e le numerosissime fan e compagne di una notte. A tutto questo fa da sfondo Charlie Runkle, (Evan Handler, già pelato e cicciotto avvocato ebreo di Sex and The City), imbranatissimo e arrapatissimo addetto stampa, e la moglie Marcy (Pamela Adlon), sexy e psicopatica brunetta.
E fin qui tutto bene, se non fosse che l’intento dichiarato di produzione e sceneggiatori è quello di scimmiottare il vero Bukowski: scimmiottare, perché non potrebbe esserci niente di più distante dall’autore del Taccuino di un vecchio porco.
Intendiamoci: Californication è una serie brillante, acuta e politicamente scorretta, una ventata d’aria fresca se pensiamo che ha esordito ben prima della fortuna delle serie tv che oggi sembrano giocare a chi osa di più. Ma con Bukowski al massimo può condividere il nome – Hank era il nome dell’alter ego letterario dello scrittore.
Viene da chiedersi se gli autori abbiano mai letto non dico un libro, ma un racconto, una poesia, mezza riga dell’emblema del realismo sporco: perché in Californication c’è l’alcool, c’è il sesso (con chiunque e con qualsiasi cosa), c’è la promiscuità, ci sono le droghe, ma manca quella profondità che ha reso Bukowski, beh, Bukowski.
E d’altronde, lo scrittore americano è uno che ha avuto la classica infanzia sola e problematica, che ha cominciato a bere prima della pubertà, che ha saltellato dal nazismo all’estrema sinistra, che ha vissuto nelle peggiori bettole, che insomma è passato per tutti i cliché tipici dei grandi geni letterari.
Tanto per dirne una: Hank Moody rischia la galera, proprio come il suo alter ego di penna, ma per essere andato con una minorenne parecchio consenziente, non per diserzione del servizio militare – che negli Anni Quaranta era un po’ come sgozzare un intero asilo nido.
O ancora: nella seconda stagione di Californication protagonista indiscusso è Lew Ashby (Callum Keith Rennie), rocker à la Keith Richards ma con ambizioni da personaggio di F. S. Fitzgerald, desideroso di ingaggiare Hank per scrivere la sua biografia. Musica per organi caldi? Nah.
Le conquiste di Hank spaziano dalle puttane di strada, alle star del porno, alle mogli di rettori universitari, proprio come quelle di Bukowski; ma restano dei divertissement superficiali, ben lontani dalle storie turbolente e distruttive dello scrittore – quello vero. Non per nulla, mentre Bukowski ha scritto le sue migliori poesie piangendo la morte delle sue amate, il best seller con cui Hank Moody torna a far parlare di sé si intitola Scopate e Cazzotti: Trama: come mi sono scopato una minorenne, e come lei abbia decretato “famolo strano”.
In Californication mancano la rabbia, lo squallore, il fallimento: perché resta una serie tv, e nemmeno i migliori interpreti e registi possono mettere in scena certe sensazioni, e perché, proprio in quanto serie tv, deve soprattutto intrattenere, non smuovere le coscienze. Per quello, indovinate, ci sono i libri; e quelli di Bukowski, anche i più spensierati, riescono sempre nell’intento.
Insomma, pare avesse proprio ragione la piccola Becky, quando nel corso della quarta stagione intima al carismatico, dissoluto e patinato padre di smetterla di comportarsi da Bukowski dei poveri.
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