Spotlight

Tarantino, Robert Rodriguez e la storia dell’Exploitation

Exploitation, succo di pomodoro, dialoghi al napalm e Nouvelle Vague: il cinema violento di Tarantino e Rodriguez


L’articolo conterrà GIF ad alto tasso di contenuto sanguigno ed esalterà film violenti e trash: emofobici e bacchettoni, alla larga!


Danny Trejo as Machetecop

Consiglio letterario a caso: se avete aperto questo articolo suppongo che vi piaccia la roba di cui si parla, di conseguenza correte a leggere Joe Lansdale, ovvero roba per stomaci forti, alla larga fighette divora Susanna Tamaro. L’avvertimento vale anche in campo cinematografico, perché in questo articolo raccontiamo di roba dura, gretta, sadica, di film dove è più facile inciampare in un mezzo metro di budella che in un cliché al retrogusto di limone duro. Non stiamo semplicemente parlando di autori come Tarantino e Rodriguez, ma di un modo di concepire il cinema che molto spesso è stato avversato dai benpensanti, dai cattedratici, dai nasini all’insù, dalle casalinghe di Voghera, dai vecchi col cappello, dale bimbeminkia-Twilight e, più in generale, da tutti coloro i quali rendono il mondo un posto degno di Barbara D’Urso: il puro e semplice sballo del trash/pulp.

Ora, non è questo il luogo per iniziare una disquisizione su cosa sia il trash, cosa sia il pulp quale sia il loro valore culturale eccetera eccetera. Qui sotto avete la definizione di “pulp” direttamente da Pulp Fiction, fatevela bastare. Noi siamo qui per raccontarvi la storia.

pulp-fiction-american-heritage-dictionary

L’exploitation spiegata a mia nonna

Così come Il sonno della ragione genera mostri, l’allentamento della censura cinematografica genera i film d’exploitation: siamo negli anni Sessanta/Settanta, la società cambia, il pubblico cambia e al cinema si sente l’esigenza di una ventata di nuovo e le novità principali sono due, una proveniente “dall’alto” e una “dal basso”.

La Nouvelle Vaguegiphy-3

In Francia, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, un gruppo di ragazzi amanti e studiosi di cinema decide che per fare i registi non basta più essere ottimi mestieranti, ma si inventano quello che noi oggi chiamiamo “cinema d’autore”. Che vuol dire essere “autore” al cinema?

Per essere definito autore i tuoi film devono recare impronte di una poetica formale e contenutistica. Se sei autore batti sugli stessi tasti, mostri il mondo per come lo vedi tu, hai uno stile riconoscibile: prendete Woody Allen e quella sua descrizione della borghesia americana, prendete Carpenter e la sua critica al capitalismo (come ad esempio in Essi vivono). Ok?

Gli storici hanno deciso di raccogliere questi pazzi rivoluzionari sotto l’etichetta di Nouvelle Vague, e per “pazzi rivoluzionari” intendiamo signori come Truffaut, Godard, Chabrol e Rohmer.

A questi non stava bene limitarsi a fare il cinema “ben fatto”, ma volevano mostrare “lo splendore del vero”. Questa sarebbe la svolta che definiamo “dall’alto”, ovvero da parte di una piccola schiera di registi intellettuali che pensano il cinema in modo diverso.

Le grindhouse

Verso la fine degli anni Sessanta vengono inaugurati molti cinema (le grindhouse appunto) e cinema all’aperto (i drive-in), che proiettano tutti quei film che non potrebbero essere riprodotti in un normale cinema (film porno, film caratterizzati da ultraviolenza, linguaggio scurrile, che trattano tematiche tabù). Vantaggi? Costano poco e si possono guardare due film con un solo biglietto, uno dietro l’altro. Si viene così a creare un circuito sotterraneo di film detti d’exploitation che prende piede in tutti gli Stati Uniti e che è riservato a quel tipo di pubblico. La domanda è: in un’America conformista, razzista e chiusa come le gambe di una vergine, perché è tanto di moda un tipo di cinema così alternativo, dissacrante e schizzato?

Il retrogusto di figata ribelle e poi Sam Raimi

giphyIl fascino dei film d’exploitation è bene o male lo stesso del punk o dell’heavy metal: generi eversivi, dallo stile violento, diretto, non mediato, che sputano in faccia al conformista. Generi che vengono dalla fantasia, dal voler stupire il fruitore anche con la pochezza dei mezzi. Ed ecco che arriviamo a Sam Raimi e a quel capolavoro della sua trilogia di Evil Dead che noi italiani conosciamo come La casa, La casa 2 e L’armata delle tenebre e che sta avendo un recente seguito con la magnifica serie Ash vs Evil Dead (la seconda stagione è in corso). Raimi prende a piene mani la violenza esagerata, pongosa e schizzoide dei film d’exploitation e la ficca nella più consueta delle trame horror: un gruppo di ragazzi va in una casa dentro al bosco e deve fare i conti col Male.

L’horror all’italiana

giphy

Il successo di Raimi ovviamente porterà moltissimi registi a tentare di emularlo, uno su tutti il nostro adorabile Peter Jackson che – prima di avventurarsi nella Terra di Mezzo e di spendersi in filmoni come Amabili resti – esordisce con splatterate violentissime come Bad Taste (1987) e Splatters – Gli schizzacervelli (1992), ovvero il film più sanguinoso della storia, con più di 500 litri di sangue finto usato in scena. Tornando a Raimi, dopo aver sdoganato questo tipo di violenza eccessiva e averne fatto un marchio di fabbrica (ecco il senso dell’autorialità di un regista), passa il testimone al cinema italiano.

In Italia, grazie a produttori furbi e avveduti come la Filmirage che acquista il titolo del film di Raimi per farci dei seguiti apocrifi, prende piede un tipo di horror figlio certamente del genio di un pioniere come Mario Bava, ma caratterizzato da una violenza più eccessiva e per nulla censurata. Impossibile non citare due maestri come Dario Argento e Lucio Fulci: il loro gusto estetico, la loro inventiva, effettisti come Giannetto De Rossi, la loro capacità di trarre il massimo (soprattutto Fulci) dagli scarsi mezzi che i produttori gli mettevano in mano, danno modo ad autori successivi, come appunto Quentin Tarantino e Robert Rodriguez di potersi ispirare a opere come Suspiria, Profondo Rosso (Argento) o la Trilogia della Morte (La città dei morti viventi, Quella villa accanto al cimitero, …e tu vivrai nel terrore! L’aldilà) e Zombie 2 di Fulci (seguito apocrifo di Zombie di George Romero).

L’exploitation oggi – Anni Novanta

giphy-1Parlare di exploitation oggi significa parlare per forza di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, significa parlare della rinascenza di un modo di fare film, più che di un genere in sé. Significa guardare a uno stile visivo e narrativo che permea le opere di questi due registi con pochissime eccezioni (la saga di Spy KidsLe avventure di Sharkboy e Lavagirl e Il mistero della pietra magica, tutti di Rodriguez).

A partire dagli anni Novanta, cioè a partire da Le iene, abbiamo assistito a quel modo di fare cinema, a quel modo di mostrare la violenza. Quel tipo di violenza che caratterizza non tanto il primo quanto il secondo lavoro del regista di Knoxville, ovvero il capolavoro Pulp Fiction. Nel frattempo Rodriguez inizia e in seguito porta a termine la sua trilogia del Mariachi (El Mariachi, 1992, Desperado, 1995, C’era una volta in Messico, 2003) e stupisce/disgusta il mondo con il capolavoro horror/trash Dal tramonto all’alba (1996), scritto e recitato dall’amico Quentingiphy-2. Stiamo parlando di tamarrate pazzesche, di trash voluto (eccome!), di roba fuori dal mondo che procura sempre e costantemente il caro, vecchio effetto “Ma che cazzo ho appena visto?”.

Il cinema di Rodriguez e Tarantino – questo cinema di Rodriguez e Tarantino – è giocherellone, iperbolico, basato sulla pura e semplice ricerca del divertimento, del buttarla sempre di fuori, la memorabilità di questi film – come direbbe Vegeta – è sempre “Over 9000”. La violenza che viene messa in gioco è talmente esagerata, grottesca, macchiettistica e volutamente trash che non si può prendere sul serio: quando Vincent Vega spara in testa a Marvin la reazione dello spettatore è ridere. Ridere! Di uno a cui hanno spappolato il cranio. Perché? Perché Tarantino pone la scena in modo talmente surreale, le giphy-4reazioni umane sono talmente non-umane che ridere è la reazione giusta, quella voluta dal regista.

Riprendendo il materiale e lo spirito di quei film d’exploitation con i quali loro stessi erano cresciuti, Rodriguez e Tarantino li esaltano, li sublimano, realizzando exploitation d’autore, con una tecnica e dei mezzi che – molto probabilmente – non si erano mai visti per film dal così dubbio gusto.

L’exploitation oggi – primi anni Duemila

giphy-2

Grazie appunto a registi come Tarantino e Rodriguez gli anni Duemila sono stati floridi di film che riprendono lo stile dell’exploitation. Iniziamo forte con un capolavoro estremo come il Kill Bill (2003) dello stesso Quentin, ovvero il film che – prima del Progetto Grindhouse – cerca il più possibile di omaggiare il genere, mescolando film d’arti marziali (la tuta giallo-nera indossata da Uma Thurman è la stessa indossata da Bruce Lee in L’ultimo combattimento di Chen), western all’italiana (Sergio Leone in primis) e citando a tutto spiano da opere come La sposa in nero di Truffaut (e torniamo così alla Nouvelle Vague).giphy-1

Dal canto suo Robert Rodriguez risponde nel 2005, adattando per il grande schermo Sin Cityuna graphic novel di Frank Miller (lo stesso autore di 300) mescolando il noir più classico alla violenza pulp tanto cara a lui e all’amico Quentin (che fa lo special guest-director dirigendo una scena impagabile).

Sin City è semplicemente uno dei cinecomics più riusciti della storia del cinema, riesce a essere fedele all’opera originale riprendendone i balloon quasi fotogramma per fotogramma. I dialoghi sono ispirati, le atmosfere diventano subito riconoscibilissime e Rodriguez riesce a imprimere all’opera quel tocco grezzo che caratterizza il genere. Anche la struttura a episodi ci sta perfettamente ed è a sua volta tipica dei vecchi film d’exploitation, struttura identica – tra l’altro – a quella di Four Rooms, film sperimentale del 1995 girato “a otto mani” (quattro erano quelle di Tarantino e Rodriguez).

Lasciamo perdere il seguito (Sin City – Una donna per cui uccidere), perché non rende giustizia al primo e non aggiunge nulla al discorso.

Il Progetto Grindhouse

giphy-5

Nel 2006 però abbiamo il vero botto, ovvero i due se ne escono col Progetto Grindhouse.

La leggenda vuole che l’idea venne a Rodriguez durante una delle tante notti a casa di Tarantino a fumarsi l’impossibile e guardando B-Movies anni Settanta. Dopodiché la scintilla:

“Ehi Quentin, perché non facciamo due film che si rifacciano a questa roba che ci piace tanto? Tu dirigi il primo e io il secondo”. Una cosa del genere.

Bam. Nel giro di pochi mesi i due si mettono a lavorare come forsennati, con negli occhi il fuoco della cazzata, quella voglia di fare qualcosa di malatissimo e di tenere il piede ben pigiato sull’acceleratore. Vietato mollare.

Quello di Rodriguez, Planet Terror è – a detta di molti – il più divertente dei due: il regista imbastisce una trama che sta a metà tra Incubo sulla città contaminata di Umberto Lenzi e Zombie 2 di Fulci (tanto per testimoniare l’attaccamento di questi registi al cinema italiano). Più che un normale zombie-movie Planet Terror è uno schiumo malatissimo e troppo divertente per non essere visto: ci sono gli zombie, le arti marziali, le sparatorie, sangue a fiumi, la figa, il sesso e trovate visive geniali che non vi vogliamo però spoilerare.

giphy-7A prova di morte, il segmento targato Tarantino, risente forse di una prima parte un po’ melassosa, che tiene a freno un po’ tutto il film. Sta di fatto che i personaggi, i dialoghi, lo stile (apparentemente) grezzo, graffiato, sporco e artigianale contribuiscono a dare corpo a un film di cui non ci si dimentica. Kurt Russell (alla prima collaborazione con Tarantino prima di The Hateful Eight) è semplicemente perfetto nei panni di Stuntman Mike e il resto del cast al femminile (tra cui spiccano Rosario Dawson, Vanessa Ferlito, Zoe Bell e Sidney Tamiia Poitier) è veramente da sballo. Dico solo: la scena della lap-dance.

Tarantino così dà vita a un revival di film come Punto Zero, Convoy – Trincea d’asfalto e Zozza Mary, pazzo Gary (debitamente citati in A prova di morte) in cui si gioca tutto sui dialoghi e le corse in macchina. Non vi diciamo di più: chi ha visto sa, chi non ha ancora visto vada a sapere.

Machete, e poi ve ne andate un po’ tutti a fanculo…

Dire che siamo giunti alla fine di questa rassegna è un po’ come dire di aver raccontato la Bibbia in duemila parole (esatto gente, vi siete schiumati più di duemila parole), ma voglio chiudere con quello che è certamente il progetto più recente di Rodriguez, che nel 2010 sbalordisce (ma neanche tanto) tutti quanti, tirando fuori dal cilindro un altro gioiello del pulp/trash.

Da dove prende vita Machete? Beh, ma da nientepopodimeno che dal Progetto Grindhouse, che era debitamente corredato di quattro fake-trailer di film inesistenti (ma zarrissimi) per i quali si erano prestati registi del calibro di Edgar Wright, Rob Zombie, Eli Roth e lo stesso Rodriguez, che aveva girato questa schiumata di pochi minuti in cui Danny Trejo (credo che nemmeno Federico Buffa riuscirebbe a raccontare una storia pazza come la sua) macella gente armato di un machete (qui sotto avete il trailer in questione).

giphy-4Rodriguez (e come dargli torto) si innamora perdutamente di un personaggio che scalpita per prendere vita e – appena ne ha l’occasione – fa le cose per bene. Il primo Machete è un mix micidiale di ignoranza, citazioni, sottotrame politiche (care a un messicano come il regista) e situazioni in puro stile exploitation che non potranno far altro che deliziare gli appassionati del genere. Nel 2013 esce Machete Kills (che se possible è ancora più ignorante del precedente) ovvero il seguito di quella che nel frattempo è diventata una trilogia.

Avete letto bene: prossimamente uscirà Machete Kills Again… in Space! il terzo capitolo di una saga che potrebbe continuare praticamente all’infinito per quello che ci riguarda.

Non ci resta che sperare che sia più rozzo, più sporco, più ignorante e casinaro che mai, ma il Machete-laser fa ben sperare.

P.s. Se gli horror sono la vostra passione, fate un salto dai nostri amici di Horror Italia 24!

Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
Back to top button