
The Big Sick è la commedia romantica di cui avremo sempre bisogno
Sarò onesto con voi, a patto che non iniziate a costruire una mia bambolina vodoo alla quale infilare le peggio cose nel retto: The Big Sick non l’ho visto al cinema. Eh. Ma volevo andarci, davvero, solo che io sono al quinto anno di adorazione folle di Silicon Valley, e pensare di sentire due ore di Kumail Nanjiani con un doppiatore diverso mi faceva piacere quanto un remix dubstep di Barbara d’Urso che ride. E sì, guardo Silicon Valley in italiano, quindi due spilli nel didietro possono bastare, grazie.
Al film un po’ mi sono avvicinato per il caro Denzel Washington pakistano (se ancora non avete iniziato Silicon Valley vedete di farlo subito perché vi state perdendo la parte migliore della vostra vita), un po’ perché captavo pareri nell’aere che The Big Sick fosse una commedia romantica per la quale valesse la pena spendere due ore. Che nel panorama cinematografico moderno permettersi di spendere due ore per una commedia romantica è come incrostarsi davanti alla tv perché stanno per annunciare i nuovi concorrenti de L’isola dei famosi. Tradotto: potrebbe non valerne la pena.
E invece.
The Big Sick è uno di quei film di cui si ha bisogno, anzi, di cui si avrà sempre bisogno. E, parere a pelle, anche Kumail Nanjiani è una persona di cui si ha bisogno. Correte al cinema, non fate come quella merda del sottoscritto. Oppure restate qua e sentite cos’ho da blaterare sul film. Roba buona, promesso. Ah, cercherò di evitare spoilerz di massima, potreste incappare solo in cosette innocue, parola di scout.
Non stiamo troppo a sviscerare la trama: Kumail (interpretato da Kumail, capirete guardando) è un immigrato pakistano (con famiglia iper tradizionalista/religiosa sul groppone) che, facendo gavetta come stand-up comedian, conosce Emily, durante un suo spettacolo. E da qui il resto, che sta a voi scoprire.
Ecco, fermiamoci un attimo su Emily. Perché innamorarsi del personaggio interpretato da Zoe Kazan (e quindi di Zoe Kazan stessa) in questo film è facile come bruciare il pc la prima volta che finisci sul sito “ricreativo” sbagliato e pensi che la polizia stia davvero controllando il tuo masturbation party. Non preoccuparti, quello è Zuckerberg. Ma non divaghiamo. Zoe/Emily è semplicemente la ragazza per cui tutti vorremo perdere la testa. A maggior ragione se ti rendi conto che è la nipote di QUEL Kazan. Fresca e scattante, arguta, bella ma non bellissima (e quindi stupenda). Diciamo che farebbe venir voglia di coccole anche a Rocco Siffredi. Applausi a Kumail e a Emily V. Gordon per aver tinteggiato alla grande l’amore della vita perfetto.
E Kumail? Beh, uno che fa stand-up comedy e poi non trova le parole per affrontare i di lei genitori non è adorabile? Non così imbranato come il suo Dinesh in Silicon Valley, Kumail di The Big Sick potrebbe quasi essere il fidanzato ideale. Quasi, peccato per una famiglia che vuole solo una cosa: il matrimonio combinato com’è da tradizione in Bangladesh.
Già, perché quando pensi che The Big Sick stia solo raccontando di una lui e di una lei, ecco che ti scuote una prima volta per le spalle. Kumail è intrappolato nella e dalla sua famiglia, incapace di liberarsi perché, nella più classica delle situazioni, di mamma ce n’è solo una. Ma non c’è dramma (se non leggero), non ci sono capelli strappati o pesanti indagini etniche. C’è solo la realtà delle cose, presentata in tutta la sua brillante banalità. Kumail è così, quel risvolto di vita pakistana è così, e noi siamo solo spettatori di una vicenda, avulsa da moralismi ma intrisa di umanità, la stessa che possiamo trovare nelle nostre quattro mura.
E poi? Poi arriva il secondo scossone, questa volta non più per le spalle. Oh, The Big Sick mica per niente, no? Quindi eccoci aggrappati a quel letto di ospedale come un Eta Beta insonne, incapaci di lasciar perdere, proprio come Kumail, che con tutta la semplicità del mondo affronta un gigante (quasi Colossale), che ha sfondato le sue mura domestiche. Però Kumail resta la cartina al tornasole di tutto The Big Sick, del senso stesso del film, questa leggerezza tenera che ogni tanto prende la jeep per farsi lo sterrato in Patagonia (senza però finire la benzina).
The Big Sick riesce, nel 2017, a farti ancora credere nel vero amore, nella speranza per una coppia quando tutto e tutti sono contro di loro. E ci riesce quando il “tutto e tutti” non sono due famiglie che vogliono sgozzarsi male o una guerra civile o delle lettere di transito, ma semplicemente la vita quotidiana, cruda e bastarda com’è in grado di essere.
Kumail si scrive dentro il film senza pretese, senza voli pindarici, affrontando con il sorriso piuttosto che con il dramma e riuscendo a incidere più di una qualsiasi storia strappalacrime o strappa storia lacrime. The Big Sick è così, trasparente, gelido come una splendida cascata montuosa, di quelle che quando vedi le immagini dici “come vorrei infilarmici sotto una volta nella vita”, anche se poi ti caghi addosso e lasci che sia qualcun altro a fare il monaco tibetano.
Il nucleo del film (nonché la sua parte migliore) è l’incontro/scontro tra Kumail e i genitori di Emily. Come costretti dentro una bolla ovattata di spilli, il trio produrrà emozioni genuine, piccole epifanie, sia nel rapporto a tre che nei momenti “singoli” tra Kumail e Terry, un Ray Romano perfetto (che poi lo era anche in Vinyl, dannata HBO); e tra Kumail e Beth (Holly Hunter da adorare alla follia). The Big Sick non lascia nulla al caso, sviscera tutto senza buttare le interiora, pennellando attimi di vita in cui ogni singolo essere vivente si può identificare. Pure chi crede alle scie chimiche.
Perciò fatevi un favore, anche se siete cinici fino nel buco del culo come il sottoscritto: The Big Sick è lì, pronto a scaldarvi il cuore fermandosi un attimo prima di bruciarlo.