
The Bye Bye Man – Una recensione che non piacerà a nessuno
Capolavoro o schifezza? Dopo una campagna marketing degna di un nuovo Nightmare ecco il nuovo mostro horror che dovrebbe fare scuola. Ce la farà il Bye Bye Man a mantenere le promesse?
Comincio dicendo che di The Bye Bye Man è mooolto più facile parlare male che bene. E infatti se vi fate un giretto sul web scoprirete a quale epocale shitstorm sia stata sottoposta questa pellicola tapina. Ecco, ragazzi, seriamente, perché? Va bene che dopo le alluvioni degli ultimi anni la figura dell’Angelo del Fango sia diventata iconica, ma spalare bratta aggratis è diventato così divertente?
Questa sarà la classica recensione che non piacerà a nessuno perché scontenterà tutti, sia quelli che vogliono insultare senza ritegno, sia quelli che – pur essendo pochi e solo per distinguersi dalla massa, perché di cinema se ne capiscono quanto il cane di Dani Alves – paragonano già il film all’equivalente in salsa horror di Quarto potere.
Se parliamo di orrore The Bye Bye Man non sarà all’altezza di Shining, tutti d’accordo, ma nemmeno a quella compilation di rutti brodosi alla quale siamo stati abituati negli ultimi anni (e di cui ci premuriamo di rendervi conto qui). Cominciamo a distinguere i cessi (soprattutto quelli fatti con budget multimilionari) dai film magari non eccelsi, ma decisamente onesti, perché questo è il caso di The Bye Bye Man. Contiamo anche che il budget era quel che era e quindi qualche sbavatura (la CGI, tanto per intenderci) che sa di poverata la possiamo certamente scusare.
No? No. Spaliamo letame. Va bene.
Distribuito dalla prodigiosa Midnight Factory, costola della Koch Media dedicata all’horror a cui dobbiamo robina mica male come Babadook, The Neon Demon, It Follows, The Invitation e The Green Inferno (quindi tanto stronzi non li saranno, no?), The Bye Bye Man ha pagato eccessivamente la solita campagna marketing, tipica degli horror, piena di proclamoni e promesse non fisiologicamente mantenibili. Perché io capisco che se mi paragoni il film in uscita a Nightmare e Venerdì 13 la gente è più invogliata a venire al cinema, ma poi il confronto me lo devi reggere, altrimenti l’Onnipotente lo tiro in causa eccome. È la solita vecchia storia di quei tombeur de femmes che millantano dimensioni da Carlo Magno, ma hanno in dotazione un misero Pipino il Breve. Ecco, rimanendo in ambito carolingio The Bye Bye Man si attesta a un dignitosissimo Carlo Martello.
Cosa si può fare per risolvere il problema? Lasciate stare il marketing, lasciate perdere i proclami, le tagline e gli spot: andate al cinema sapendo di guardare un horror giudizioso, fatto con criterio, armato di un budget modesto, una buona regista e una sceneggiatura interessante, e poi giudicate. Vi si aprirà un mondo.
Buona regia e odore di muffa
Stiamo dunque parlando di buon film horror che per esistere ed essere godibile non ha bisogno di essere la nuova svolta del suo genere, molto semplicemente. La regista Stacy Title torna sulla scena dopo un silenzio durato dieci anni e già dalla sequenza iniziale si mette in luce per una perizia tecnica invidiabile e una grandiosa capacità di costruire l’inquadratura, tratto che rimarrà costante per tutto il resto del film. Perché se in The Bye Bye Man ci sono dei difetti (e ci sono, per la carità) stanno tutti in una sceneggiatura che puzza un po’ di muffito e nel riutilizzo un po’ pedissequo di alcuni loci horrorifici (perdonatemi, è dalla terza media che sogno di infilare “loci” in una frase). Sedute spiritiche, jump-scares, trama un po’ segmentata in fasi ricorrenti nel cinema di genere. Solita storia gente.
Non si può però negare che, al netto dei difetti, la messa in scena sia ottima e che, nonostante tutti gli stilemi horror che ci scorrono davanti al naso, la regista riesca lo stesso a portare a casa un film che si guarda molto volentieri, molto classico, ma allo stesso tempo moderno, soprattutto quando riesce a parlare alla contemporaneità fornendo una spiegazione (seppur fantasiosa) ai ricorrenti casi di omicidio/suicidio di cui sono strapieni i notiziari.
Ma cosa sto guardando?
Le dinamiche sono già viste, ma grazie all’ottima scrittura dei personaggi e dei dialoghi riescono a risultare interessanti, soprattutto per quanto riguarda il triangolo amoroso che si viene e creare tra i tre protagonisti principali, che farà da impalcatura a una serie di paranoie che si acuiranno col passare del tempo. Le visioni indotte dal Bye Bye Man sono spaventose e soprattutto funzionali al giochino “Quello che sto vedendo è vero o no?” che caratterizza la seconda metà del film e che danno adito al colpone di scena finale, uno di quelli in cui io casco sempre come un pollo.
La figura del Bye Bye Man (Bye Bye/Babau, ci avevate pensato?) non è assolutamente paragonabile a quelle citate nella tagline, siamo d’accordo, ma riesce comunque a essere apprezzabile, soprattutto per quanto riguarda la sua silhouette demoniaca ed emaciata (che al sottoscritto ha ricordato molto quella degli Estranei de Il Trono di Spade), vestita con quel mantello che mi ha personalmente causato difficoltà. Sì, ecco, io sono uno di quelli che si spaccano di horror, ma che rimangono comunque dei dannati cacasotto. Personalmente ho un problema con quel tipo di scena in cui vestiti appesi prendono le sembianze di demoni macilenti. Sarà la mia infanzia difficile, saranno i miei incubi puerili scatenati da tutti quegli episodi di Sailor Moon (avete letto bene, guardavo Sailor Moon), ma ho la fobia degli oggetti antropomorfi. E allora?
Non dirlo, non pensarlo
Il meccanismo che più interessa lo spettatore è quello dettato dall’ineffabilità del mostro, caratteristica ripresa dal Candyman di Clive Barker, ma riadattata in modo da risultare più funzionale alla messa in scena: una sorta di morbo della parola e del pensiero che colpisce automaticamente chi viene a sapere del Bye Bye Man, il quale si premurerà di tormentare i malcapitati con visioni scioccanti fino a far perdere loro l’uso della ragione.
Veniamo dunque alla questione principale che ci si poneva prima dell’uscita del film: il Bye Bye Man riuscirà a superare la prova del tempo diventare un mostro horror iconico, riconoscibile, dunque vendibile e quindi protagonista di una lunga saga? Sono onesto: le premesse non sono buone. Per quanto abbia gradito il film, per quanto la sua ineffabilità sia narrativamente splendida e potrebbe dare adito a nuove e più articolate vicende, in quanto alla figura in sé, al suo carattere e al suo impatto visivo, non ci troviamo di fronte a nulla di eccezionale, niente a che vedere con mostri moderni come – ad esempio – lo stesso Babadook, oppure il demone Bughuul protagonista della serie di Sinister.
Il film potrebbe dare dunque adito a seguiti, ma posto un cambio di sceneggiatura e l’approfondimento di tematiche che in questo primo capitolo sono state appena abbozzate: fino a che punto l’entità malvagia del Bye Bye Man può recidere i rapporti tra esseri umani? In che modo si potrebbe dare il via a un eccidio di massa diffondendo il suo nome – ad esempio – sui social network o su YouTube? Che fine farà il comodino incriminato?
Se i produttori di Hollywood ci leggono, io sono interessato al progetto. Costo poco. O comunque meno di una campagna marketing fallimentare e fuorviante.
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