
The Fall – “Stai cercando di salvare la mia anima?”
Siamo a Los Angeles, nel 1915. Una bambina di nome Alessandria cammina per i corridoi di un ospedale con il braccio ingessato. Nel suo girovagare incontra Roy, stuntman paralizzato da una brusca caduta su un set. Viene ammaliata dal suo fantasioso racconto di Alessandro il Grande e, entusiasta, decide di tornare a trovarlo l’indomani. Roy comincia così a narrare, e al contempo creare, una favola di un mondo irreale fatto di eroi-banditi, elefanti che nuotano in oceani aperti, suggestivi orizzonti nel deserto e fortezze inespugnabili. Una storia per portare Alessandria lontano dalla tristezza del quotidiano, ma che nasce da un dolore che Roy non è ancora riuscito a curare.
The Fall, infatti, non è un fantasy fanciullesco e spensierato, come all’inizio può sembrare. Dietro le colorate scenografie e gli sfavillanti costumi, si cela la depressione di un uomo, Roy, che ha subito troppe sconfitte nella vita per riuscire ad andare avanti. Il mondo si tinge di una cromaticità pesante allo sguardo, le ombre sono fredde, persino i raggi del sole che filtrano dalle finestre. L’unico sprazzo di vivacità sembrano darla soltanto quelle medicine che se prese in grande quantità ti potrebbero dare pace. Il respiro di chi la pensa così si fa pesante. La leggerezza e la curiosità di una bambina non può fare altro che provare ad alleviare i pensieri scuri dell’adulto. Continuando a raccontare, lei si insinua sempre di più, inventa la mitologia dei personaggi, cambia le regole dei combattimenti. Addirittura prova a diventare lei l’eroina della vicenda. Un gioco che assomiglia sempre di più alla vita, anche se lei non sembra capirlo.
Il regista Tarsem Singh mette in scena una storia piena di ottimismo e amarezza. Tratto da Yo ho ho di Valeri Petrov, un dimenticato film bulgaro del 1981, The Fall esprime lo stesso sentimento di amore per la fantasia e la speranza. E Tarsem porta con se sullo schermo tutta l’espressività spettacolare del suo passato di regista di videoclip. In alcuni momenti, la trama si stoppa per permettere alle sole immagini di parlare. Come la scena iniziale, diventata ormai celeberrima. Un rallenti in bianco e nero della caduta (ecco perché “The Fall”) dello stuntman da un alto ponte sulle note della 7° sinfonia di Beethoven. Ogni elemento viene isolato dalla telecamera per farci ricostruire pian piano la scena come un puzzle. Il movimento rallentato e il dolce contrasto luce/ombra sembra marmorizzare in pose statuarie i cowboy intenti a lanciare la corda. Uno scatto ben orchestrato del nucleo narrativo del film.
La meraviglia è il filo rosso che unisce questo universo e, con un ritmo incalzante, ci fa saltare in più di una ventina di location differenti, tra Repubblica Ceca, Sud Africa, Indonesia, Italia e India. Ed è proprio l’India, Paese natale del regista, a essere l’anima della pellicola. Oltre a essere il luogo in cui viene ambientata la favola di Eric, i palazzi reali, i giardini e le fortezze si esaltano in una favolosa cromaticità in coreografie esuberanti che ci danno tutto il sapore delle opere bollywoodiane. Un incanto che ci accompagna fino al finale, lasciandoci attoniti e pieni di voglia di vivere. The Fall ci trasporta ai confini dell’immaginario e ci ricorda che sognare nella vita non è tutto, ma è l’unica cosa.