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The Frankenstein chronicles: la morte non è contemplata

La serie cerca di ripercorrere con tratti polizieschi e noir un caso che aggroviglia le radici verso l’imprevedibile. Era quello che il pubblico desiderava?

“Sei in una dimensione dove la morte non è contemplata.”

Recitava così una battuta molto importante che grida spoiler sin dagli albori di questa recensione. E non si tratta di una caratteristica diversa da quella che percepiamo o da quella che vediamo nei film di fantascienza.

Ovvero quella dimensione fittizia, fatta di luci bianche e potenti, di mondi nati da una mente con ideologie utopiche. Essa è l’estensione della morte stessa. Viene percepita come fredda, buia e vuota. Uno spazio infinito del nulla, un campo dove le anime girovagano nell’eternità e dove l’occhio umano non può vedere.

D’altronde, percepire e vedere sono due verbi diversi tra loro, per questo The Frankenstein Chronicles imposta l’obiettivo di far vedere allo spettatore dove conduce la morte, facendola avvertire al malcapitato investigatore e protagonista, fino ad un finale che fa sorgere altre domande.

Se avete in mente queste premesse allora siete prontissimi (perché essere pronti non è abbastanza) a immergervi nella seguente recensione sulla prima stagione di questa serie, da alcuni mesi disponibile sulla piattaforma della benamata Netflix.

Contemplare la morte in sé

Le vicende ambientate nella Londra di inizio ‘800 raccontano di casi singolari su alcuni ragazzini ritrovati morti. L’aspetto terrificante che colpisce subito il nostro protagonista, John Marlott, sono alcune parti dei loro corpi asportate e ricucite su un altro cadavere.

Nonostante ciò, quello che conduce Marlott ad agire è l’ultimo cenno di vita della malcapitata ritrovata sulla riva del fiume, portando il nostro beniamino ad agire sul caso e scoprire chi commette questi delitti.

Prendendo come riferimento alcuni personaggi realmente esistiti nella capitale industriale del 1827, e affiancandoli con altri fittizi, questa stagione riesce in buon modo a tenere vivo l’interesse dello spettatore per alcune ragioni: mescola teorie e aneddoti, lo stuzzica a scoprire chi si cela dietro tutta la macchinazione degli omicidi; fino a colpire il malcapitato astante con il suo finale.

John Marlott spicca per le sue fattezze, ma con tratti che apparentemente abbiamo già visto.

Il protagonista, impersonato dal più famoso e amorevole Sean Bean, vive il suo presente attraverso orrori psicologici vissuti nel passato. Sebbene la suddetta formula è diventata un legittimo marchio di fabbrica per la costruzione di un buon “paladino della giustizia”, per molti può portare a un cliché già visto in altri tipi di polizieschi o thriller; nonostante la malattia di Marlott innesterà una certa curiosità nello spettatore, essendo un anello importante della catena a livello narrativo.

“Cosa non fareste per sconfiggere la morte, signor Marlott?”

Ad affiancare un protagonista inventato per questa serie ci sono anche personaggi di spicco vissuti durante la prima rivoluzione industriale. La scrittrice Mary Shelley, ad esempio, impersonata da una figura artisticamente completa in questa serie: Anna Maxwell Martin.

Tuttavia, se il personaggio risulta una sorta di simbolo chiave per la soluzione del mistero, il merito va dato anche al suo reale bestseller del tempo: Frankenstein o il moderno Prometeo. La ricerca del nostro Marlott si baserà principalmente su questo libro, sugli indizi che conducono ai delitti, e sul comportamento della sua autrice: sempre pronta a svincolare domande o ipotesi del nostro detective londinese.

Nondimeno le indagini si ritroveranno molto presto davanti a ostacoli che coprono sia la politica – alle soglie del voto del disegno di legge sulla dissezione del corpo umano nel campo medico – sia la polizia, preoccupata che un caso grave possa innalzare un polverone pericoloso tra le strade della città.

Ed ecco che, durante la ricerca, subentra un altro tassello dell’indagine di Marlott: il vago presentimento che quegli omicidi non siano casuali e di natura feroci. John Marlott capisce che dietro si annida una delle materie più fondamentali nel campo del sapere del XIX secolo.

A quel punto lo scontro diventa come una caccia tra gatto e topo. L’uno si nasconde tra i muri inquinati di una città fumosa alla ricerca della sua preda; l’altro continua la realizzazione del suo desiderio, consapevole che il cerchio si stringe minuto dopo minuto e il tempo giunge sempre più vicino allo scadere.

Ciò nonostante, il piatto della bilancia volge a favore della preda, capovolgendo il destino dei nostri personaggi. Il topolino conosce i pregi e i difetti del gatto, li assimila insieme ai suoi punti deboli, diventando così il predatore e ribaltando le sorti.

Che cosa succederà dopo?

Se arrivati a questo punto non vi siete addormentati con la testa sulla tastiera del vostro computer, la domanda che dà il titolo a quest’ultima parte è di legittima causa. The Frankenstein Chronicles si piazza come una serie che cattura l’attenzione per le sue tinte poliziesche e lascia il suo pubblico in sospeso con altre domande, voglioso di conoscere cosa succede oltre il sesto episodio.

In attesa che mamma Netflix possa dare risposte a queste nostre domande, il consiglio è quello di concedere una possibilità a questa prima serie.

L’importante è stare abbondantemente alla larga dai centri medici e ospedalieri aventi personali dalle facce simpatiche e generose.

Michelangelo Nanna

Non chiedetegli di leggere libri o guardare film perché ha già la sua carrellata di cose in lista. I viaggi sono come l'ossigeno: senza non si respira. Scrive di tutto e in qualsiasi momento! La musica rock è un altro tipo di ossigeno benefico. Inaspettata passione per la Computer Grafica. Piuttosto, chiedetegli perché del numero 25...
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