Film

The Full Monty: crisi, acciaio e perizomi

Crisi.

Crisi crisi crisi crisi crisi. C’è la crisi. Uscire dalla crisi. Italia in crisi, Europa in crisi, tutto il mondo in crisi. La crisi dello spread, la crisi dei mutui subprime, la crisi di governo. Crisi ovunque, sempre e comunque.

Sono anni ormai che ce la menano con la crisi, crisi di qua, crisi di là, crisi ovunque.

Dice: vabbè, c’è la crisi ma mi guardo un film almeno stacco un’oretta. No.

Non oggi.

Perché non è che gli anni scorsi fossero questa passeggiata di salute. E chi pagava? I giovani e gli operai. O i giovani operai. Oppure gente che aveva lavorato per anni in mega fabbriche ormai superate. O che avrebbe tanto voluto lavorarci. Gente che credeva di arrivare tranquilla e beata alla pensione. Salvo poi vedersi venduta ai giapponesi, ai tedeschi o a chissà chi. Come dite? Non è cambiato nulla? Eh.

Sì lo so. Ma in questo momento parliamo di Inghilterra anni ’90. La working class non si era ancora ripresa dalla mazzata che le aveva dato la signora Thatcher. Se in miniera si piangeva nelle fabbriche non si rideva. Però in Gran Bretagna questo clima di precarietà, scazzo e poco lavoro ha avuto anche dei lati positivi. Tipo una serie di film che parlano di questo sottobosco fatto di poveracci, disgraziati, esodati e borderline quasi ai margini della società che provano in qualche modo a mettere insieme il pranzo con la cena.

Sì, sto pensando anche a Trainspotting. Ma non solo. C’è chi l’ha presa male, tipo Ken Loach, che mostra il lato più duro e crudo del non arrivare a fine mese. E poi c’è chi l’ha presa sul ridere, ché tanto cambia poco. Tra questi, nel 1997 Peter Cattaneo fa uscire Full Monty. Ah, dimenticavo. Negli anni ’90 oltre ai Tamagotchi e i braccialetti scooby doo, avevamo anche questa mania di voler tradurre i titoli dei film dalla lingua originale all’italiano. I risultati erano spesso imbarazzanti, nella migliore delle ipotesi. Spesso però erano delle vere porcate. Tant’è che Full Monty in Italia uscì come Squattrinati organizzati, che vabbè, ma poteva andare decisamente peggio.

In effetti Squattrinati organizzati descrive abbastanza fedelmente quella che è il cuore del film. Operai delle acciaierie di Sheffield che cercano di mantenere in qualche modo le rispettive famiglie. “CHE PALLE”: no, non è un pippone a sfondo sociopolitico. È una commedia. E ha anche una discreta colonna sonora (per modo di dire, ha vinto l’Oscar). Una commedia furba che ammicca abbastanza allo spettatore, ma senza mai sbracare.

Il protagonista è Robert Carlyle, attore scozzese che solo l’anno prima aveva vestito i panni alcolici di Begbie in Trainspotting. Stavolta il suo personaggio, Gaz, è molto meno incazzoso e bevuto, però essendo disoccupato da tempo non riesce più a pagare gli alimenti alla (ex) moglie ed al figlio Nathan. Le giornate a Sheffield sono tutte uguali, piovose e passate all’ufficio collocamento con i suoi (sempre ex) colleghi di lavoro. Sì, perché l’acciaieria dove lavoravano ha chiuso i battenti, il conto in banca piange e lavoro non ce n’è. Il problema è che il giudice sta per togliere l’affidamento congiunto. Quindi bisogna inventarsi qualcosa.

Dave (Mark Addy), è il migliore amico di Gaz. Grazie alla moglie ha trovato lavoro come guardia giurata all’ASDA di Sheffield, che credo sia una specie di Lidl britannico. Per carità, gli dà da vivere, ma non è un lavoro che gli piaccia alla follia. Si sa che però non tutti possiamo fare i calciatori in serie A o gli attori a Hollywood. (Ma Mark Addy sì, infatti diventerà Robert Baratheon ne Il Trono di Spade).

Gaz ha l’illuminazione: uno spogliarello. Sì, negli anni ’90 avevamo anche gli spogliarelli maschili che andavano tantissimo. Non ho il polso di come sia la situazione attuale, ma poco importa. Gaz però non vuole fare il classico spogliarello, perché in giro ce ne sono già tanti. Ci vuole il servizio completo, in inglese “the full Monty” (ta-dan). Nel senso via le mutande.

In due però si fa poca strada. Gaz e Dave allora radunano un gruppo quantomeno eterogeneo, direbbe chi ha studiato. Lomper, che fa il metronotte nella ex acciaieria di Gaz e che ha la faccia più britannica che abbia mai visto; e Gerald, ex direttore della fabbrica, che dopo mesi non ha ancora confessato alla moglie il licenziamento. I quattro cominciano ad organizzare dei provini più o meno in clandestinità per trovare altri membri (ahahahah). È così che conoscono Horse, che adesso zoppica ma ai tempi sapeva ballare eccome, e Guy, che non sa ballare però pare abbia altre qualità (sì, proprio quella). I sei cominciano ad allenarsi in segreto e a preparare la serata, aiutati da Nathan che sarà anche un bambino ma usa i suoi risparmi per anticipare l’affitto del locale.

Come è prevedibile, ci saranno alti e bassi, momenti nei quali tutto sembra destinato ad andare male e momenti in cui no, e via così, nel più classico solco della commedia di genere. Full Monty è un film piccolo che poi è evidentemente esploso nelle mani di chi lo aveva prodotto. Costato 3,5 milioni di dollari, ne incassò oltre 250, senza contare la quantità di premi vinti che non sto ad elencare, ma che sono veramente tanti.

Negli anni è diventato un cult, e c’è un motivo. Dategli una chance, sul serio. Non è un cult alla Pulp Fiction, e non so neppure quale sia la vostra idea di film cult. Ma un film dove un carpentiere commenta la tecnica di saldatura di Jennifer Beals in Flashdance avrà sempre un posto speciale nel mio hard disk.

Simone Forte

Nato nel 1984. Nel 2012 scopro che l'anagramma del mio nome e cognome è "termosifone". Spero che scrivere di cinema senza averlo studiato per davvero non mi renda come quelli che leggono articoli complottisti sui vaccini e poi vanno a contraddire i medici. Io scriverò lo stesso, ma prometto di limitare al minimo indispensabile l'uso dei "................" e dei "!!1!!1!".
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