
The Gray Man: una spy story che opera nel grigio
Reclutato dalla CIA mentre era in carcere per omicidio, Sierra Six (Ryan Gosling) è un gray man, ovvero un sicario ufficialmente inesistente e specializzato in missioni ad alto rischio. Durante un’operazione a Bangkok, si imbatte in un agente disertore che gli consegna informazioni compromettenti riguardanti i suoi superiori. Divenuto un soggetto scomodo, Six si ritrova braccato dalla sua stessa agenzia, che gli mette alle calcagna il mercenario psicopatico Lloyd Hansen (Chris Evans). La spia, in fuga per mezza Europa, potrà però contare sull’aiuto della collega Dani Miranda (Ana De Armas).

Su The Gray Man si è già detto un po’ di tutto, perlopiù in tono negativo. Diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo, reduci dal successo di Avengers: Infinity War ed Endgame, questo blockbusterone di Netflix da 200 milioni di dollari (il film più costoso prodotto dalla piattaforma streaming dopo Red Notice) si è beccato fin dall’uscita sonore pernacchie. Sui social ho visto qualcuno definirlo addirittura “quanto di più distante dal concetto di cinema”.
Un’affermazione forse un po’ esagerata per una pellicola magari non eccezionale, ma che di certo non si merita tutto l’odio vomitato in rete. La verità è che, come il suo protagonista, The Gray Man opera nel grigio: non è né bello né brutto. Intrattiene dall’inizio alla fine, ma non rimane impresso nella testa dello spettatore. Ha ambizioni da grande film evento, tuttavia non arriva ad esserlo. Insomma, non è né bianco né nero.

Il problema principale sta nella trama, che è tutto meno che originale. Basato sull’omonimo romanzo di Mark Greaney, adattato a quattro mani dai Russo e dai fedeli Christopher Markus e Stephen McFeely (sceneggiatori, oltre che degli ultimi due Avengers, anche della trilogia di Captain America), The Gray Man racconta di fatto la solita storia, vista e rivista milioni di volte (e meglio), della spia che scopre che i suoi capi lo stanno ingannando e decide di ribellarsi. Tutto qui, nessun guizzo particolare né colpo di scena sconvolgente. Chi ha già visto anche solo un film di spionaggio a caso uscito negli ultimi vent’anni, sa già cosa aspettarsi.
A compensare la prevedibilità dello script ci prova la regia dei Russo. I quali decisamente non sono Chad Stahelski o David Leitch, e infatti dovrebbero imparare a dosare di più il montaggio. Forti però dell’esperienza nei Marvel Studios, riescono comunque a regalare un botto di scene d’azione al cardiopalma à la Winter Soldier che da sole valgono la visione. Particolarmente spettacolare la lunga sparatoria tra le strade di Praga a metà film, che sfocia poi in un inseguimento mozzafiato a bordo di un tram fuori controllo. L’unica perplessità riguarda l’abbondante uso dei droni per le riprese aeree (già sdoganato da Red Notice e Ambulance), che in molte scene appare abbastanza superfluo.

La peculiare schizofrenia qualitativa di The Gray Man colpisce anche il cast, parecchio altalenante. Alla sua prima vera prova da action hero, Ryan Gosling convince senza riserve, dimostrando abilità nelle scene di lotta e donando la giusta dose di umanità alla sua spia senza nome. Da parte sua, Chris Evans abbandona la compostezza di Steve Rogers per andare in piena “modalità Nicolas Cage“: il suo Lloyd Hansen, killer baffuto e sopra le righe, è semplicemente esilarante e ruba la scena a tutti con poca difficoltà. Non so voi, ma se il risultato è questo, personalmente non mi dispiacerebbe vedere più spesso l’attore in ruoli da cattivo.

Per contro, Billy Bob Thornton recita per tutto il tempo con il pilota automatico, come uno che ha accettato di essere lì solo perché gli è stata offerta una vagonata di dollari (il che non dovrebbe essere molto distante dalla verità). Nel frattempo Ana De Armas si limita a rifare Paloma di No Time To Die, solo più spenta e più inutile. Da segnalare infine il totale spreco di Jessica Henwick, relegata al ruolo della tipa della CIA che ricorda costantemente ai colleghi maschi quanto sia stupido tutto quello che fanno (a ragione, bisogna dirlo).

Dunque, The Gray Man è l’ennesimo prodotto usa e getta di Netflix. Una spy story annacquata e piena di cliché, che non si merita i soldi che è costata. Eppure non è neanche quella “morte del cinema” che molti l’hanno accusato di essere. Per quanto in giro si trovi di meglio, l’ultimo lungometraggio dei Russo Bros resta un onesto action movie ad alto tasso di spettacolarità, ideale per chi cerca due ore di sano intrattenimento senza troppo impegno.