
The Grey – Once more into the fray
È strano come tutti noi sappiamo perfettamente che non dovremmo basarci sulle apparenze, ma allo stesso tempo continuiamo a farlo. Così il cibo dal pessimo aspetto farà sempre schifo, il vecchio professore dal fare antico sarà sempre la reincarnazione di Himmler e la ragazza carina che ci sorride a lezione starà già pensando a quale nome dare al nostro terzo figlio.
Allo stesso modo, se sentiamo parlare di un film in cui Liam Neeson si ritrova contro un branco di lupi assassini, il nostro quinto senso e mezzo comincerà a subodorare la cazzatona da Ciclo Alta Tensione. Se poi ci sbattono in faccia anche un trailer del genere, il nostro “Allarme stronzata” non potrà che mettersi a suonare come se non ci fosse un domani.
Ecco perché, quando in una gelida sera di dicembre del 2012 arrivò in sala questo The Grey, andai a vederlo unicamente perché Liam Neeson è uno di quegli attori ai quali voglio proprio tanto bene, e anche perché un mio amico che ci era andato sotto con la trilogia di Taken aveva insistito.
Beh, quella sera ebbi una delle sorprese cinematografiche più inaspettate che io ricordi. Perché forse non ve lo ha detto nessuno, ma The Grey è uno dei migliori film del 2012. Un bellissimo dramma umano scritto con cuore e anima, di quelli che ti colpiscono dritti allo stomaco, che ti afferrano e non ti lasciano più.
The Grey non è un film di azione, ma un film sull’abbandono, sulla solitudine, e sulla condizione umana più antica: l’uomo contro la natura ostile, che si fa metafora dei demoni interiori del protagonista, interpretato dal grande Liam. Il suo John Ottway infatti non è un vendicatore, né un uomo in cerca di battaglia, o di redenzione. John Ottway ha già perso la battaglia contro la crudeltà della vita, e ora non è altro che un uomo spezzato e sconfitto. Un uomo solo, che si lascia vivere come fanno i dannati, esiliatosi in un angolo ai confini del mondo completamente dimenticato da Dio, in attesa di una fine che sembra non arrivare mai.
Liam Neeson è perfetto nel dare il volto ad un uomo che non ha più niente, e che affida tutto ciò che gli rimane al ricordo di sua moglie, e ad una vecchia poesia scritta tanto tempo prima da suo padre.
Quando un incidente aereo catapulterà lui e un gruppi di sopravvissuti in mezzo ad un inferno di ghiaccio abitato da lupi assetati di sangue, Ottway ritroverà la voglia di lottare, trasformando la sua disperazione in determinazione, e si caricherà sulle spalle il destino dei suoi compagni, quasi come se salvando loro potesse in qualche modo salvare anche sé stesso.
La trama alla base di The Grey, va detto, non è certo un inno all’originalità, ma è proprio per questo che risalta maggiormente l’enorme differenza che intercorre fra l’opera di Joe Carnahan e le dozzine di cloni senz’anima appartenenti al filone dei “film di sopravvivenza”.
In un genere in cui solitamente i personaggi secondari non sono altro che carne da macello da far morire nella maniera più spettacolare e fantasiosa possibile, Carnahan riesce nell’impresa di di presentarci i protagonisti di questa storia per quello che sono: esseri umani come tutti noi, che hanno un passato, dei ricordi, dei rimpianti, delle persone che li amano, una famiglia da cui tornare.
Uomini costretti ad affrontare le loro paure più grandi e a scavare dentro loro stessi per trovare la forza di salvarsi da una situazione che li vede scivolati nel gradino più basso della scala alimentare, prigionieri di un mondo in cui l’uomo non ha posto.
In The Grey, non spoilero certo nulla nel dirlo, muore parecchia gente, ma ogni morte è reale, dolorosa, crudele. Perché ad ogni personaggio viene dedicata l’attenzione che merita, e quando vediamo qualcuno morire percepiamo la tristezza e la tragedia di una vita stroncata all’improvviso.
Carnahan, che oltre ad essere il regista è anche lo sceneggiatore del film, ha l’enorme merito di ricordarsi quanto sia importante instaurare un rapporto di empatia fra lo spettatore e i suoi personaggi. Una regola tanto fondamentale quanto puntualmente ignorata dalla gran parte delle produzioni hollywoodiane, e che invece in The Grey rappresenta il cuore pulsante di tutta l’opera.
Per suscitare una partecipazione emotiva di questo tipo è ovviamente necessario un livello di scrittura sopra la media, ed è proprio questo un altro enorme merito di The Grey. Il rapporto che si instaura fra il gruppo di sopravvissuti è efficace proprio perché si basa su dei dialoghi solidi, potenti e credibili, seppur minimali. Certo, qualche concessione ai cliché del genere Carnahan se li concede, su tutti il dualismo fra Ottway e John Diaz (interpretato alla grande da Frank Grillo, alias Crossbones in Civil War), la tipica testa di cazzo che ad un certo punto se ne esce con il più classico dei “chi ti ha eletto come nostro capo?”.
Una dinamica talmente vista e rivista che dovrebbe far sanguinare occhi e orecchie, ma che Carnahan scrive talmente bene da renderla indimenticabile. Sarà infatti Diaz, assieme all’accecante bellezza della natura incontaminata, il protagonista di quella che è una delle scene più belle di tutto il film, nella quale è racchiuso il lato più umano di questo The Grey.
A fare il definitivo salto di qualità al film c’è quel finale stupendo. Non vi dirò che è uno dei finali più belli di bla bla bla e robe simili, perché tanto sono frasi che lasciano il tempo che trovano, ma posso promettervi che è un finale che non dimenticherete mai, che vi rivelerà con quanto cuore è stato realizzato questo film. Uno di quelli che quando ci ripensi, anche dopo anni, non puoi fare a meno di dire “cazzo, che gran finale”.
Con The Grey, Joe Carnahan ci ha ricordato come il mondo del cinema sia pieno di perle semi nascoste, spesso ricoperte dalla polvere di una promozione che punta tutto sulle “presunte” qualità attrattive dell’ignoranza, quasi come se la qualità e la sensibilità fossero doti da nascondere.
Ci ricorda inoltre quanto sarebbe bello se più spesso gli sceneggiatori e i registi di opere minori come questa avessero il coraggio di raccontarci storie così umane e così profonde, invece di accontentarsi del solito minestrone di azione e splatter totalmente fini a sé stessi.
Opere come The Grey purtroppo sono ancora l’eccezione, e non la regola, e così sarà per sempre. Ma in questo c’è anche un lato positivo, perché quando riesci a trovare film di questo tipo ti senti davvero come se avessi trovato un piccolo tesoro in mezzo ad un mare di letame.
E quindi te lo godi al massimo.
Madonna come te lo godi.