All’Academy lo zio Quentin sta per caso sulle palle?
Quentin Tarantino fa cinema dal 1992 e da allora ha ricevuto solo due Oscar per la miglior sceneggiatura (Pulp fiction e Django Unchained) e (udite udite!) CINQUE nominations agli Oscar (mi riferisco ai soli premi personali, ovvero regia e sceneggiatura).
Otto film. Sette sceneggiature originali e una non (Jackie Brown era tratto da un romanzo di Elmore Leonard).
Sedici possibili nominations, di cui cinque ottenute. Due Oscar in tutto (sempre e solo alla sceneggiatura).
Ma non è un po’ poco per uno che ha cambiato il modo di fare cinema?
Non parliamo solo di “stile tarantiniano”, ma anche di poetica: pensate a filoni come il wuxia (cappa e spada in salsa orientale come La tigre e il dragone, Hero e La foresta dei pugnali volanti) letteralmente esplosi in Occidente dopo Kill Bill; pensate ad autori come Fulci, Lenzi, Castellari, Bava e Deodato che dopo Tarantino sono tornati ad avere il rispetto che meritano; pensate allo spaghetti western dopo Django, a film come Machete, Sin city, The green inferno: tutti progetti possibili quasi esclusivamente grazie allo zio Quentin.
E allora?
Beh per iniziare c’è la querelle con mamma Disney: per Natale invece che permettere di far uscire The Hateful Eight, la Disney (che l’Academy ce l’ha in saccoccia) ha pensato bene di allungare la proiezione in sala – e non una sala qualsiasi, ma la Cinerama Dome di Los Angeles da 800 posti – di Star Wars: Il risveglio della Forza, dando vita a un bel pasticcio, finito con Tarantino incazzato nero e che avrebbe volentieri fatto a meno della tirannia degli uomini malvagi.
C’è la faccenda della protesta contro le violenze dei poliziotti sui neri, in cui Tarantino ha fatto sentire la sua voce (eccome se lo ha fatto); c’è la faccenda delle eterne accuse di istigazione alla violenza; di misoginia (questa proprio non la capisco: ma l’hanno visto Kill Bill?!) e di essere affiliato all’esercito di Freezer: Quentin è qui per noi!
Scherzi a parte, siamo d’accordo che Tarantino sia un personaggio ingombrante (per non dire scomodo), ma lo è proprio perché molto spesso va a rimestare in quel torbido che fa venire a galla certe cose che l’establishment (concedetemi l’anglicismo) non vorrebbe rivangare, ad esempio la denuncia del razzismo americano fatta non in modo politicamente corretto come in 12 anni schiavo, ma nel modo più duro e crudo di Django unchained e The Hateful Eight.
Il suo ultimo film ha ricevuto la miseria di tre candidature, di cui nessuna a messer Quentin Tarantino: è a questo punto forse che lo spettatore può rinsavire, e accorgersi che gli Oscar sono sì un premio ambito, ma che non valgono poi così tanto quando di fronte a mostri sacri come il Nostro non viene mostrato rispetto, considerazione o semplice oggettività per un lavoro eccelso.
Hai vinto l’Oscar dei nostri cuori Quentin, e quello è forse l’unico che hai sempre desiderato.