Serie TV

The OA, la scommessa di Netflix: buco nell’acqua o colpo di genio?

Spremersi le meningi non basterà, abbiate fede!

Quale maniera migliore di cominciare a scrivere articoli sul cinema e le serie se non parlando di un prodotto indecifrabile?

The OA è una produzione originale Netflix rilasciata il 16 dicembre 2016, dopo aver pubblicato solamente un breve trailer la settimana precedente. Neanche troppo implicitamente gli autori ci stavano già avvertendo: “Non aspettatevi qualcosa di convenzionale”.

Ciò che emerge dal trailer sembra l’insieme di piccoli pezzi di un puzzle intrigante e misterioso da che si ricompone durante gli otto episodi della serie.

In realtà questi pezzi non faranno altro che diventare a loro volta una piccola parte di un puzzle molto più grande e dai confini sconosciuti.

Teoricamente questa è la premessa perfetta per chiunque si aspetti una trama avvincente. Nella pratica però le cose non andranno assolutamente come ci si aspetta e il merito va senza dubbio alle due menti che hanno saputo immaginare questo viaggio tanto psicologico quanto realistico: Brit Marling e Zal Batmanglij.

Zal Batmanglij e Brit Marling

I due sono co-sceneggiatori della serie e Brit Marling interpreta anche la protagonista, Praire Johnson.

Una formula già rodata tra il regista francese di origini irachene e l’attrice statunitense, che tra il 2011 e il 2013 avevano lavorato insieme a due film indipendenti presentati al Sundance Film Festival (Sound of My Voice e The East).

Entrambi sono thriller psicologici con sfumature e tendenze fantascientifiche, per cui non stupisce affatto il ritrovare questi tratti ampiamente marcati in The OA.

 

TRAMA

La trama sembra inizialmente di facile lettura: una ragazza scomparsa viene ritrovata casualmente dopo sette anni, ma la sua reintegrazione nella società è tutt’altro che semplice. Sopratutto quando si scopre che prima di essere stata rapita era cieca e quando viene ritrovata ci vede perfettamente.

La storia è ambientata negli Stati Uniti dei nostri giorni e i caratteri dei personaggi che ruotano attorno a Prarie lo confermano.

Un ragazzo con serie problematiche relazionali, un giovane transgender e una professoressa del liceo sono solo alcuni dei co-protagonisti che danno vero spessore al racconto.

Fin qui tutto sotto controllo, se non fosse che i titoli di testa della prima puntata arrivano dopo 57 minuti di introduzione.

Giusto per fare un inciso, ogni puntata ha una durata differente: si va dall’ora abbondante della prima alla mezz’ora appena della sesta e alla domanda del perché di questa scelta gli sceneggiatori hanno risposto che la serie va vista nello stesso modo in cui si leggerebbe un libro, cioè per capitoli.

Forse sta proprio qui la differenza più grande tra questa e le altre serie di successo attualmente in circolazione (eccezion fatta per The Young Pope di Sorrentino), perché non cerca di creare hype in vista del finale. Si potrebbe quasi dire che il racconto, e il racconto del racconto siano importanti tanto quanto il finale, se non di più.

 

E QUANDO ARRIVA LA PARTE INTERESSANTE?

Il fatto è che The OA è stata concepita per intrigare, per far mettere il naso fuori dalla porta, per sorprendere il pubblico ad ogni episodio e ci riesce benissimo!

La parola chiave dell’intera narrazione è fede, questa ci vuole per approcciare alla serie e se, arrivati a questo punto, non vi ispira neanche un po’ forse è meglio evitarla.

The OA è come un viaggio lungo un’autostrada senza corsie, senza asfalto e senza segnaletica: all’inizio potrebbe sembrare impossibile ma ben presto si trasforma in qualcosa di estremamente affascinante.

Anche il metodo narrativo segue una logica molto particolare che lascia interdetto lo spettatore: un racconto dentro al racconto, una continua contrapposizione di situazioni forzatamente ai confini della comprensione, che lasciano fino alla fine il dubbio tra cosa sia reale e cosa, invece, metaforico.

 

CONCLUSIONI

Il tema principale della narrazione è il legame che si crea tra i tanti e variegati personaggi della storia e la protagonista, perché i legami sono la storia. Una linea invisibile unisce le persone tra di loro. Non si capisce quale sia il punto in cui due o più di esse possano considerarsi unite eppure si percepisce questa distinzione.

Nulla è banale, niente è dato per scontato e i personaggi agiscono sempre in maniera inaspettata rispetto a quello che è lo standard di stupore al quale ci hanno abituato le serie tv contemporanee.

L’avvento della suspance “alla Breaking Bad” ha segnato di fatto l’inizio della tendenza al colpo di scena con interrogativo finale, quello talmente inaspettato che sta cominciando a diventare consuetudine.

Non è il caso di The OA perché la serie stessa è già di per se un grande colpo di scena.

Quella di Netflix è chiaramente una scommessa, che nel proporre The OA prova ad aprire una nuova, piccola nicchia nell’immaginario delle series. 

Una scommessa vinta, ovviamente.

P.s. Ricordatevi di fare un salto dai nostri amici di Netflix dipendenti!

Stefano Ghiotto

Studio Architettura e si sa, al giorno d'oggi non ci si può più mantenere facendo l'architetto. Quindi cerco di fare qualsiasi altra cosa nella speranza di non arrivare mai alla prostituzione. Mi piacciono i film con trame complicatissime (che alla fine ti danno la stessa sensazione di benessere del bagno di casa tua dopo una giornata in Università) e le serie che non si caga nessuno come le patatine gusto "Cocco e curcuma".
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