
The Predator – Quando ignorantata e cinema d’autore vanno a braccetto
The Predator – Quel grosso grasso castigamatti alieno
Sarà che alla saga di Predator sono affezionato perché mi risveglia sempre ricordi ancestrali, fatti di divani casalinghi con papà e raccomandazioni timorose tipo del “non dire alla mamma che te l’ho fatto vedere”, ma su questo film non avevo voluto sapere nulla, ma proprio niente di niente. Esce un nuovo Predator e dunque si va a vedere. Fine della storia.
Sapevo solo che a dirigerlo c’era un certo Shane Black, che ha figurato come attore nel primo Predator, autore degli Arma letale, Kiss Kiss Bang Bang, The Nice Guys e di Iron Man 3, ovvero uno dei cinecomics meglio scritti di sempre, e lo dico da non amante del genere.
Cosa sarà mai uscito dalla fusione tra uno dei franchise fanta-horror più di successo di sempre e il creatore del sottogenere del buddy-movie?
LA FIGATA
Ebbene sì ragazzi, so che ogni buon manuale di critica vieta assolutamente di dare un giudizio sul film prima della fine, ma qui siamo sul MacGuffin, non siamo critici e dunque ce ne sciacquiamo los cojones, anche perché The Predator rischia di diventare uno dei film che più rivedrò forevah-and-evah.
Ma partiamo daccapo, facendo qualche ineludibile premessa:
- Non sono rincoglionito e so benissimo che molti di voi sono svenuti sentendo parlare di cinema d’autore in un articolo su The Predator
- Tutti coloro i quali sono svenuti dovrebbero però sapere che il cinema d’autore non riguarda solamente ponderosi filmoni di 6 ore ambientati in Polonia con tre puttane chiuse in un casolare a discutere di postmodernismo esistanzialista plutocratico e della crisi dell’individuo
- Il cinema d’autore riguarda gli autori, ovvero quei registi che hanno uno stile e una forma particolarmente riconoscibili e codificati
- Ergo Shane Black è un autore, perlomeno per quanto riguarda la scrittura
- Ne consegue che The Predator sia un film d’autore, ignorantissimo a mille, certo, ma d’autore
Il quarto film della saga (dopo Predator, Predator 2 e il semi-reboot – poi morto lì – Predators), senza calcolare i due per me ignobili Alien VS Predator, dimostra subito di che pasta è fatto con una partenza da cardiopalma. La storia è semplice (ovviamente): un Predator precipita sulla Terra dopo uno scontro a fuoco con un’altra astronave aliena, si schianta, un militare gli frega elmo spara-missili e bracciale tuttofare e il nostro focoso alienone – una volta ripresosi dalla botta – dovrà rimettere le mani sulla sua attrezzatura. Col procedere del film poi verremo a sapere chi (o meglio cosa) c’era sull’altra astronave aliena.

Guardando questo film ho come avuto l’impressione che il suo regista stesse usando la tecnica del MacGuffin (e se non sapete di cosa sto parlando uscite subito da questo articolo e cercate su Amazon un cilicio trendy che stia bene con il frustino abbinato) per fare quello che fa abitualmente: un buddy-movie. Un buddy-movie solitamente è un film poliziesco, con una coppia di piedipiatti l’uno all’opposto dell’altro che indagano su un caso non facendo altro che sfottersi a vicenda per tutto il film. Molto semplice.
Che c’entra tutto questo con The Predator?
C’entra quando entra in scena la meravigliosa banda di pazzi formata da Nebraska Williams, Baxter, Lynch e Nettles, i commilitoni per caso che si affiancano al protagonista Quinn McKenna (il bravo Boyd Holbrook, già visto in Logan e Narcos) per spaccare il culo ai Predator.
Già. Ho detto “ai”, perché il primo Predator che vediamo non sarà di certo l’unico. Né il più grosso…
Facendo due considerazioni generali possiamo dire che, ovviamente nell’ambito del film che voleva essere, The Predator sia un film che mi ha letteralmente fatto pisciare addosso dal ridere: leggero, divertente, scanzonato, splatteroso quanto basta, un po’ cigolante per quanto riguarda la trama generale, ma chissenefrega, quando esistono dialoghi come quelli di Shane Black si passa sopra qualsiasi bucherello di sceneggiatura e rozzezza dell’ordito. Sta proprio qui la grandiosità di questo film: guardando The Predator non aspettatevi la suspance del primo capitolo di McTiernan, ma risate, risate a crepapelle dovute ai gustosissimi siparietti tra i soldati pazzi, uno più sconclusionato dell’altro.
Shane Black piega così a proprio agio un brand riconoscibilissimo come quello di Predator, eliminando quella nota di ripetitività che si trascina quasi sempre dietro, dandogli nuova linfa e aprendolo a futuri (e praticamente inevitabili, visto il finale) seguiti che, a questo punto, speriamo vivamente rimangano in mano a Black.
Anche perché un film del genere può farlo solo Shane Black e nelle mani di qualsiasi altro regista diventerebbe probabilmente un pout-pourrì allo sterco che speriamo proprio di non doverci puppare.