Nella recensione di Titans, se ricordate bene, ho parlato brevemente di come ritenga le serie Marvel-Netflix sopravvalutate, per ragioni che non starò a discutere qui. L’unica eccezione è la splendida Daredevil, contro cui non si può proprio dire niente. Tuttavia ho sempre considerato The Punisher meritevole della medaglia d’argento. Perlomeno la prima stagione, che non sarà stata perfetta, ma dava finalmente giustizia a un personaggio fin troppo massacrato dalle precedenti trasposizioni cinematografiche. Sfortunatamente il discorso è diverso per la seconda.

Le vicende di questo nuovo ciclo di episodi hanno inizio qualche mese dopo il finale della stagione precedente. Frank Castle si è ormai lasciato alle spalle New York e, sotto falsa identità, si è messo a viaggiare in lungo e in largo per l’America, nel tentativo di rifarsi una vita. Decide però di rientrare in azione quando si imbatte in Amy Bendix, una ragazza in possesso di informazioni sensibili e braccata da mercenari al soldo di una ricca famiglia ultrareligiosa. Nel frattempo il suo arcinemico Billy Russo, rinominatosi Jigsaw (no, non l’Enigmista), si risveglia dal coma e fugge dall’ospedale, intenzionato a vendicarsi di Castle.
La trama quindi si sviluppa attraverso due filoni narrativi: da una parte la storia alla Leòn in cui Frank prende Amy sotto la sua ala protettrice, la addestra e la aiuta a combattere le persone che le danno la caccia; dall’altra lo scontro tra Punisher e Jigsaw. Due storyline che, a parte qualche contatto occasionale, rimangono separate e distinte dall’inizio alla fine. E proprio qui sta il problema maggiore della stagione.

Concentrarsi su un unico arco narrativo (o comunque fare in modo che i due filoni ad un certo punto si unissero) avrebbe senz’altro giovato. Scegliendo invece di dividere l’azione in due sottotrame parallele si è creata una situazione in cui nessuna di queste riesce a imporsi come principale. Al contrario si cannibalizzano a vicenda, ciascuna togliendo all’altra lo spazio necessario per svilupparsi a dovere.
In tutto ciò, se non è per forza la peggiore, la storyline di Amy è quella meno interessante, quella che pare messa lì a caso e di cui non ci sarebbe stato bisogno. Ma che almeno ci regala la new entry migliore della stagione: John Pilgrim, assassino-predicatore dal background affascinante, interpretato perfettamente dal Josh Stewart che fu braccio destro di Bane ne Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno.

Delude invece tantissimo Jigsaw, sia a livello estetico che narrativo. Parlando del primo punto, il personaggio (conosciuto in Italia come Mosaico) è noto nei fumetti per avere la faccia non solo sfigurata, bensì letteralmente maciullata. Ebbene, la versione portata in scena da Ben Barnes avrà sì e no quattro graffi in tutto, neanche troppo vistosi. Roba che Castle si becca di peggio in ogni episodio. Per dire, persino in Punisher: Zona di guerra, che non era tutto ‘sto granché, avevano avuto la decenza di trasformare il volto di Dominic West in un puzzle informe!

Ma avrei potuto benissimo passare oltre questa faccenda se gli autori fossero almeno riusciti a dare dignità a quello che è il villain principale di Punisher. Sfortunatamente neanche questo abbiamo avuto. Se nella prima stagione Billy Russo, nel suo essere subdolo, falso e manipolatore, era un cattivo riuscitissimo, qui diventa un banale pazzoide, instabile e perennemente arrabbiato, che solo a sprazzi si dimostra davvero pericoloso.
Non aiuta il fatto che il suo arco narrativo, che in teoria avrebbe dovuto essere il nucleo della seconda stagione, risulti quasi sacrificato rispetto al resto, essendo trattato con superficialità ed eccessiva fretta. Discutibile inoltre la scelta di concentrarsi più sulla storia d’amore con la bella (ma odiosa) psicologa Krista Dumont (la Floriana Lima di Supergirl), che sulle sue attività criminali. Ma la parte peggiore è il confronto finale con Castle, tanto atteso quanto insoddisfacente.

Come se non bastasse, The Punisher cade ancora una volta nella piaga che affligge tutte le serie Marvel-Netflix: la lentezza. Nonostante sia ormai chiaro a chiunque che tredici episodi da 50-60 minuti sono decisamente troppi, il colosso dello streaming continua a pretendere stagioni di questo tipo. La seconda di The Punisher non fa eccezione, malgrado una trama che si sarebbe potuta concludere senza problemi in metà del tempo. Ciò ha costretto sceneggiatori e registi a riempire il più possibile i buchi. Peccato che lo abbiano fatto ammorbando lo spettatore con un’infinità di dialoghi deprimenti e optando per un ritmo esageratamente compassato, per non dire soporifero.

Mi spiace, perché quando finalmente entra in scena l’azione c’è da divertirsi. I combattimenti sono crudi, brutali e violenti, sia che si usino le mani che le armi da fuoco, e va benissimo così. Certo, ci sono dei momenti che mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità, ma alla fine non è un grosso problema. Oltretutto non mancano episodi ben riusciti. Come il terzo, praticamente uno pseudo-remake di Distretto 13 – Le brigate della morte, in cui Frank si trova a dover resistere a un assedio all’interno di una centrale di polizia.
E a proposito di Castle, se la serie evita almeno di scivolare nella stessa mediocrità della seconda di Jessica Jones, il merito è soprattutto del suo protagonista. Fisico imponente, faccia da duro, sguardo da pazzo e voce cavernicola, Jon Bernthal è capace di mettere paura con la sola presenza, ma allo stesso tempo di non far mai dubitare di essere nella squadra dei “buoni”. Ciò lo rende il miglior Punisher che si sia visto su schermo, grande o piccolo che sia. Anche se tra un po’ bisogna pagare per vederlo con l’iconico giubbotto col teschio (lo indosserà non più di tre volte in tutta la stagione).

Intorno a lui si muovono comprimari non sempre convincenti. Curtis Hoyle (Jason R. Moore), il miglior amico (diciamo pure l’unico) di Frank, è quello che ne esce meglio: promosso a coprotagonista, ne guadagna in spessore. D’altro canto, l’agente Madani (Amber Rose Revah), nonostante l’interessante percorso narrativo (il recupero, più psicologico che fisico, da un colpo di pistola alla testa) fatica a imporsi nella trama.
Un discorso a parte merita Amy, interpretata dalla giovane Giorgia Whigham. Quella che vorrebbe essere una novella Mathilda (il riferimento è sempre Leòn) si rivela non solo irritante fino all’inverosimile, ma anche incredibilmente stupida. Giusto per farvi capire, stiamo parlando di una che, verso l’epilogo, nell’unico momento in cui ha finalmente una posizione di vantaggio sul nemico, riesce a mandare tutto in vacca e a farsi catturare! Come direbbe Giacomino: “Allora sei deficiente! Dillo: son deficiente, lo so”.

Alla fine mi dispiace dover parlar male di The Punisher, ma non ho altra scelta. Purtroppo se la prima stagione aveva fatto un lavoro dignitoso nel portare sul piccolo schermo il giustiziere della Marvel, la seconda rovina quasi tutto. In effetti si potrebbe dire che più che i criminali, Frank Castle ha punito il proprio pubblico.