Film

The Sisters Brothers: troppo carino per prendersi sul serio

Ho visto alcuni film veramente ostili in questi giorni a Venezia 75. Cose che voi umani cinefili forse potete immaginare: steady cam abusate da autori pretenziosi, 4:3 in fiamme al largo di fotografie lattiginose e patinate, dissolvenze a nero a grappoli. Scelte stilistiche che urlano “me la tiro come se fossi capace ma non so raccontare una storia“, con una eco di “vorrei ma non posso”. The Sisters Brothers è stato una boccata d’aria fresca in una marea di narrazioni eteree e inconsistenti, pretesti per fornire una ragione d’essere alla propria scatola.

Viva Audiard, viva l’umiltà delle narrazioni oneste, viva il cinema che non si traveste da installazione museale contemporanea. Fine dello sfogo, ora parliamo del film, giuro.

The Sisters Brothers: il Western famigliare

I letali fratelli Sisters sono due cacciatori di taglie al soldo di un fantomatico Commodoro, generico “uomo di potere” della frontiera che (quasi) non vedremo. Il maggiore è un John C. Reilly talmente adorabile che passi il film con la voglia di strizzargli le ganasciotte. Il minore, la testa calda della coppia, è Joaquin Phoenix. Che è bravo & bello, ma che ve lo dico a fare, di che parliamo?

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I due vengono spediti alla ricerca di uno scienziato, reo di un furto ai danni del Commodoro. La vera ragione della caccia è estorcergli la formula segreta che ha scoperto: una sostanza chimica che versata nell’acqua evidenzia con un baluginio i filoni d’oro nei letti dei fiumi. Nel party di ricerca, mandato in avanscoperta per identificare il fuggiasco e trattenerlo, c’è anche il detective Jake Gyllenhaal. Incuriosito dal sogno utopico del chimico (fondare una comunità hippie ante litteram A DALLAS, e niente, fa già ridere così), Gyllenhaal lo prende in simpatia e lo aiuta nella fuga.

Riusciranno i nostri eroi a farsi la formula, o sarà la formula a farsi i nostri eroi? Dai, che non vi spoilero. Sono in buona a ingozzarmi di spritz e patatine.

Divertimento e dolcezza in un Western atipico

Non ve l’ho detto, vero? Con The Sisters Brothers si ride. Un miracolo. Si ride al Festival di Venezia. Non dimenticate l’hashtag #unagioia in fase di condivisione di questo articolo. Si crea anche l’anomalia spaziotemporale di due ambientazioni Western di taglio umoristico nel giro di tre giorni, dopo La ballata di Buster Scruggs dei Coen. Penso che creerò una GIF di John C. Reilly alle prese con lo spazzolino, da custodire gelosamente nel telefono per riguardarla in segreto al prossimo pacco pretenzioso che Venezia mi calerà dall’alto. Ricordate solo questa parola: spazzolino. Tornate a commentare l’articolo dopo aver visto il film.

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Mi ha colpito anche la delicatezza con cui viene affrontato il tema del dramma famigliare dei protagonisti, che trova una ricomposizione sul finale di-cui-non-vi-spoilero-nulla, ma che offre una chiave di lettura diversa e molto interessante del film. Su quella due parole le spendo, e ve le beccate.

Il grande gioco dell’avventura

Tutta la sequenza finale del ritorno, che ho trovato tanto dolce, offre un taglio di luce nuovo sui Sister Brothers. I due killer talmente abili da essere quasi caricaturali, e di cui abbiamo già intravisto le fragilità, regrediscono a uno stadio infantile. Sembrano due bambini in cerca di accudimento e rassicurazione, dopo una giornata di “pericolose avventure” al parchetto.

Si ricompone il dramma di quell’infanzia per sottrazione, che ci è stata raccontata con poche parole, e si ritorna all’età dello sviluppo. Un’età in cui è ancora possibile imparare qualcosa di nuovo sul mondo ogni giorno e credere nella sperimentazione esperienziale del gioco. La stessa ambientazione Western ha il sapore di un gioco, e in effetti Audiard ha candidamente ammesso in conferenza stampa di non essere appassionato del genere. La frontiera, in The Sisters Brothers, è il luogo di scoperta di due bambini cresciuti, che cercano di ricomporre un modo diverso di stare al mondo.

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Io ve la butto lì

Film come The Sisters Brothers generalmente non vengono premiati, al Festival di Venezia. Salvo pregevoli eccezioni (che per carità, ci sono state anche in edizioni recenti), si tendono a privilegiare produzioni di taglio più autoriale (leggete le parole “più autoriale” ad alta voce con tono sinistro). E quindi, dopo giorni di burrosi sfilaccetti di film che se la credono e ci tengono a fartelo sapere, in rappresentanza del MacGuffin lancio una provocazione. Quattro stelle e mezzo a The Sisters Brothers, solo perché a darne cinque non sarei credibile.

Questo è un film che consiglierò ai miei amici e rivedrò volentieri con loro. The Mountain invece me lo sono già scordato (perché a Rick Alverson non erano fischiate le orecchie abbastanza).

Sara Boero

Sua madre dice che è nata nel 1985, a lei sembrano passati secoli. Scrive da quando sa toccarsi la punta del naso con la lingua e poco dopo si è accorta di amare il cinema. È feticista di Tarantino almeno quanto Tarantino dei piedi. Non guardatele mai dentro la borsa, e potrete continuare a coltivare l'illusione che sia una persona pignola.
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