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The Walking Dead 7X16 – I sopravvissuti siamo noi

Quando nel 2010 uscì Eclipse, io e un paio di amici decidemmo di accompagnare al cinema una nostra compagna di classe che in quel periodo era caduta nell’ignobile morsa di Edward Cullen e degli altri vampiri sbrilluccicosi del cazzo. L’unico problema era che io non avevo mai visto nemmeno il primo Twilight. E allora decisi di spararmi i primi due capitoli uno dietro l’altro nel pomeriggio, in modo da potermi vedere il terzo la sera stessa.

Che bello quando non avevo una minchia da fare tutto il giorno.

Da quell’esperienza traumatizzante, ho sempre giurato a me stesso che mai più mi sarei sottoposto ad una simile agonia. Non potevo immaginarmi però che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei dovuto spararmi tre puntate di fila di The Walking Dead per potermi mettere in pari in tempo per il finale di stagione.

Tre puntate di fila. Di The Walking Dead.

Non so ancora come io sia riuscito a sopravvivere a questa disumana tortura auto-imposta, ma quando sono arrivato alla fine ero più o meno così.

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Poi però mi sono ricordato che avrei dovuto scrivere di tutta quell’accozzaglia di roba che avevo appena visto, e allora ho cambiato subito espressione.

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Bisogna essere molto onesti, oggi vi scrivo per pura e autentica prostituzione intellettuale. Questa settima stagione di The Walking Dead, ed in particolare queste puntate conclusive, sono state così esasperanti che a questo giro avrei volentieri evitato di scriverne.

E questo semplicemente perché non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole, che tanto dei difetti di questa serie ormai ho già detto tutto nei vecchi articoli: di quanto sia lenta, noiosa, scritta con i piedi, imbarazzante dal punto di vista del coinvolgimento emotivo, totalmente succube della logorrea Negan e della speranza di un miglioramento futuro che non arriverà mai.

Quindi sono qua unicamente perché in questa gabbia di matti sono l’unico che ha ancora il fegato di seguire The Walking Dead, e quindi non posso far altro che sacrificarmi e caricarmi sulle spalle il peso di commentare questo finale di stagione.

Facciamo un bel respiro, e cominciamo.

LA STAGIONE DELLE CHIACCHIERE

Il primo giorno del resto della tua vita (che sarebbe il titolo dell’episodio) porta la storia al punto in cui pure tutti sapevano che sarebbe arrivata: la guerra totale fra l’alleanza formata da Alexandria, Hiltopp e il Regno contro i Salvatori. E quando dico “tutti” non mi riferisco solo a chi ha letto il fumetto eh, ma proprio a tutti. Tutti quei poveri cristiani che hanno guardato questa stagione nella speranza che non fosse quello che era sembrato fin dalla seconda puntata, e cioè un gigantesco, prevedibilissimo e pallosissimo filler di 15 puntate (la prima si salva) che aveva come unica ragione di esistere quello di allungare la trama all’inverosimile.

Questa settima stagione altro non è stata che una stagione di chiacchiere. Personaggi che parlano, parlano, parlano, e poi parlano ancora, mettendoci un quarto d’ora per esprimere sempre lo stesso concetto, concedendosi luuuuunghe pause di riflessione fra una parola e l’altra, giusto per enfatizzare l’inutilità del 90% dei dialoghi di questa serie. E poi, quando smettono di parlare e finalmente fanno qualcosa, ti tocca pure rimpiangere di quando parlavano e basta, vista l’assoluta idiozia delle loro azioni.

In tutto ciò, è francamente incredibile che Negan non abbia già rotto tre quarti di minchia agli spettatori, visto che in quanto a logorrea è il numero uno. Ecco perché  sarebbe da fare una statua a Jeffrey Dean Morgan, che riesce sempre a mantenere alta l’attenzione (e la tensione) ogni volta che entra in scena, nonostante intorno a lui ci sia il deserto. Solito discorso di Negan-dipendenza di cui ho già parlato, ma che si aggrava ad ogni episodio.

Sì perché poi, visto che alla AMC non hanno ancora capito che 16 puntate sono troppe e rompono i coglioni (non a caso lo show ha perso 7 milioni di spettatori fra la prima e l’ultima puntata), e che questa lunghezza, condita di mid-season e balle varie, costringe la serie a procedere con una lentezza tale che la noia passa come una ruspa sopra tutto quel poco che c’è di buono in The Walking Dead. In più la produzione è costretta a girare gli episodi in contemporanea per risparmiare tempo e soldi, al caro prezzo di rinunciare a molti dei suoi personaggi principali per intere puntate.

E quindi, quando Rick e Negan stanno girando dietro il capannone, a noi tocca sorbirci quella cosa infima e ridicola che risponde al nome di Eugene, la faccia da schiaffi perennemente imbronciata di Rosita, oppure i vani sforzi di farci apparire Sasha come un personaggio degno di essere ricordato. Ah, e mi stavo quasi dimenticando della cosa peggiore di tutta questa stagione: Morgan.

Penso di non aver mai visto in vita mia una svolta tanto mal gestita come quella di Morgan, una roba di una bruttezza e di un imbarazzo tali da rimanere senza parole. The Walking Dead ha l’incredibile talento di prendere ogni personaggio per il quale dovresti parteggiare e di fartelo odiare così tanto che alla fine speri di vederlo torturato.

Da questo punto di vista questa serie mi ricorda la WWE quando pushava all’inverosimile John Cena e gli faceva vincere gli handicap match anche contro Gesù Cristo e la Madonna, tanto che alla fine la gente si era talmente rotta che lo copriva di fischi, e quando alla fine arrivò Edge a rubargli il titolo la reazione dei fan fu simile a quella del San Paolo al primo gol di Mertens contro il Real Madrid.

BARE, TIGRI E CAZZATE

Ma torniamo a concentrarci sull’ultimo episodio, che fra le altre cose ha avuto l’immenso pregio di regalarci la morte di Sasha. Ce l’hanno messa tutta per rimarcare il coraggio di Sasha, la sua lealtà, la sua dignità, la sua forza e bla bla bla, ma alla fine la sua morte è stata proprio una di una di quelle cose che ti scaldano il cuore. Che bello. Certo già che c’erano potevano anche liberarci dell’inutilità di Tara, ma quella ormai si è capito che per qualche ragione ce la dovremmo tenere fino alla fine. E quindi che vuoi farci, dopo un po’ con le disgrazie impari anche a convivere.

Insomma, Sasha muore, ma è il come si arriva a quella morte a suscitare risate e pernacchie: la bara. LA BARA.Ormai gli sceneggiatori me li immagino esattamente come quelli di Boris, avete presente? No perché solo così si può spiegare una trovata così stupida, forzata e no sense come quella della bara, che ha come unica e sola ragione di esistere quella di reggere il colpo di scena della trasformazione di Sasha.

Cioè, Negan permette ad una che ha appena tentato di ammazzarlo di farsi un viaggetto da sola al buio, senza nemmeno legarla, e le lascia pure un po’ di acquetta e un Ipod.

Ma vi rendete conto delle cazzate che ci tocca vedere?

Fino a quel momento la puntata era stata solo un’immensa rottura, condita dai soliti flashback dei condannati a morte scritti con il pilota automatico, e che non aggiungono nemmeno una briciola al peso della storia o dei personaggi. Dopo la morte di Sasha, il delirio.

Negan si caga sotto davanti a zombie-Sasha come il primo dei pirla e si fa buttare già dal camion, mentre possenti Salvatori (che dovrebbero essere tutta gente che ormai falcia zombie anche mentre dorme) non sembrano neanche in grado di tenere a bada un solo vagante. Uno di loro riesce pure a farsi scannare, chapeau.

Nel frattempo, Carl trova il modo di fermare il tempo, in modo che i nostri eroi di Alexandria riescano a prendere il controllo della situazione nonostante due secondi prima avessero avessero TUTTI una pistola alla testa. Nel giro di mezzo secondo sono tutti armati e incazzati e sparano caricatori verso il nulla come se non ci fosse un domani. Non si è capito come sia potuto succedere, o come sia possibile che nessuno di quei ridicoli monnezzari abbia reagito. Boh.

Scoppia il delirio, la gente spara ovunque a tutti non si capisce dove, la cecchina assieme a Michonne invece di puntarle il fucile alla schiena decide di risolverla a pugni così tanto per (ovviamente nel fumetto era un uomo che pestava Andrea, e quindi la scelta di picchiarla e non di spararle aveva più senso, ma non sia mai che The Walking Dead si esponga a critiche di istigazione alla violenza sulle donne), e poi, ovviamente, il Regno e Hiltopp arrivano a salvare la situazione nello stesso istante, proprio mezzo secondo prima che Lucille si spaccasse sulla testa di Carl.

Anzi, per essere più precisi, arriva la tigre, che invece di scagliarsi su Negan si lancia su quello dietro, mentre nessuno dei Salvatori prova anche solo a spararle, nonostante fossero tutti lì belli pronti con le armi in mano. Ecco, Shiva è il classico esempio di una cosa che sul fumetto funziona da dio, ma che se poi la vuoi portare sullo schermo sono cazzi amari, perché devi inventarti qualcosa per renderla credibile. Ma a chi scrive The Walking Dead problemi del genere non passano neanche per il cervello.

I SOPRAVVISSUTI 

Dopo uno smielosissimo finale di cui nessuno sentiva il bisogno, la settima stagione di The Walking Dead passa agli archivi, e probabilmente sarà ricordata a furor di popolo come la peggiore di sempre. Ancora mi viene da ridere se ripenso alla marea di critiche che si era presa la bellissima seconda stagione. Bei tempi.

Per il resto, noi poveri spettatori che abbiamo resistito alla noia fino alla fine, buttando dalla finestra circa 17 ore della nostra vita per guardare questo ammasso di niente, altro non siamo che non degli autentici sopravvissuti. Sopravvissuti dalle grinfie di uno show che sembra fare di tutto per allontanarci definitivamente, ma al quale, chissà per quale ragione, continuiamo a rimanere aggrappati con le unghie e con i denti.

Nella speranza che in estate la AMC recepisca il messaggio forte e chiaro arrivatogli da mesi di critiche, fan incazzati e ascolti al ribasso, non possiamo quindi che ritirarci in preghiera.

Io personalmente pregherò che ottobre non arrivi mai.

Ma ottobre arriva sempre, purtroppo.


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Roberto Lazzarini

25 anni, cresciuto fin dalla tenera età a film, fumetti, libri, musica rock e merendine. In gioventù poi ho lasciato le merendine perchè mi ero stufato di essere grasso, ma il resto è rimasto, diventando parte di quello che sono. Sono alla perenne ricerca del mio film preferito, nella consapevolezza che appena lo avrò trovato, il viaggio ricomincerà. Ed è proprio questo il bello.
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