
Theatre of Blood: un Vincent Price da… Oscar insanguinato!
Ciò che rende interessanti persino nel XXI secolo film come Oscar insanguinato del 1973 (ennesimo titolo italiano laido e insensato scelto per il ben più goticheggiante Theatre of Blood) è la loro sempreverde capacità di condurre lo spettatore odierno a compiere un tuffo nel passato dell’horror, alla scoperta di storie che forse per i suoi occhi (ormai anestetizzati dagli effetti speciali più all’avanguardia) sono fin troppo ingenue e pacchiane, ma che sarebbe un vero peccato snobbare alla luce dell’influenza avuta sullo sviluppo del genere nei nostri giorni. In particolare Theatre of Blood, con la sua ingegnosa struttura alla Dieci piccoli indiani condita di gustoso grandguignol, non è difficile immaginare sia stato una fonte d’ispirazione cardine (quasi ai limiti del plagio, mi permetto di dire) per James Wan e la sua creaturina fissata con gli esperimenti sociali truculenti.
Punta di diamante di questo piccolo gioiellino sottovalutato firmato Douglas Hickox è, manco farlo apposta, il grande Vincent Price. Il mattatore inglese, che assieme a Christopher Lee e Peter Cushing forma la Sacra Trinità dei volti dell’horror british più aristocratici e iconici nella storia del cosmo, veste in modo perfetto i panni del gigionesco e mediocre attore di teatro Edward Lionheart, schernito a tal punto da un pugno di spocchiosi e arroganti critici da andare fuori di testa e decidere di passarli uno ad uno al tritacarne, inscenando gli efferati delitti così come descritti da William Shakespeare in alcune delle sue più celebri tragedie (Giulio Cesare, Riccardo III e Tito Andronico in primis). Al netto dell’interpretazione gigante, carismatica, deflagrante di Price, troviamo un assortito campionario di co-protagonisti venuti fuori di sicuro da un qualche ospedale psichiatrico del tempo, estremamente funzionali ma nulla più che satelliti orbitanti attorno alla star indiscussa della storia, con personalità abbozzate ai minimi termini. Tutti comunque offrono delle interpretazioni teatrali ed eccessive ben sintonizzate sul registro ironico tipico dello stile di quelle black comedy britanniche che tra gli anni Sessanta e Settanta andavano forte, regalando, garantito, momenti di gran divertimento.
Discorsi su Price a parte, il fascino di Theatre of Blood si deve sia alla ricercatezza di costumi e scenografie (che, per quanto barocchi e pacchiani, trasudano un’eleganza capace di annullare qualsiasi accenno di ridicolo involontario) che alla cura con cui è stata composta la sceneggiatura. La creatività con cui vengono eliminati i personaggi della storia, derivata comunque dall’immagino scespiriano; la sagacia delle battute recitate con una teatralità così pomposa da non poter essere presa sul serio; e una regia adeguata nel valorizzare sia il decor che la vena macabra della storia impediscono al ritmo di arrancare, e tengono sempre la mente attenta; ma sopra ogni cosa emerge l’inquietante riflessione sul sadismo antropofago di una critica sempre pronta a fare a pezzi un artista che ci mette il cuore pur magari peccando di poco talento. Non manca inoltre una velata frecciata all’incompetenza della polizia, continuamente beffata dall’astuto Lionheart, e dipinta come incapace di sbrogliare la matassa. Il finale, inoltre, vanta un coup de théâtre da antologia.
Potrei fare mille pulci nell’orecchio a Theatre of Blood, soprattutto alla luce di alcune ingenuità di fondo molto figlie dei suoi anni. Ma… ma no: a questo film non cambierei una virgola.